«Prospettiva Esse – 2009 n. 1/2»

Indice

  1. In carcere per scoprire un mondo "più grande"
  2. Speranze ricoperte di bianco
  3. Caro diario: sono stralunata!
  4. Tanto buio intorno, ma è solo un brutto sogno
  5. Il piacere della musica
  6. Cura del corpo e della mente
  7. Giornata della memoria
  8. Guardatevi allo specchio della vostra anima
  9. Pensieri in libertà, di un'umana
  10. Ho sbagliato, ma voglio vivere
  11. Continua la speranza, ma per chi?
  12. Dalla clandestinità alla criminalità
  13. Due strade, tante strade
  14. Il Garante a Rovigo: attese e speranze dei detenuti
  15. Regolamento “Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo"
  16. Una visita virtuale alla Cappella degli Scrovegni
  17. Santa Messa di Natale
  18. Il messaggio al Vescovo dal cuore di tutti noi
  19. I pilastri della vita
  20. La gratuità dell’amore
  21. L'arma più potente: l'invocazione
  22. Non c’è mondo dentro a queste mura
  23. Il passato... il presente!! Il futuro??
  24. La storia della mia vita, dentro e fuori
  25. La depressione e il suo spazio vuoto
  26. Ai ragazzi che sognano di trovare un tesoro
  27. Il mistero del Natale
  28. Voli di dentro (poesie e quant’altro)

 

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In carcere per scoprire un mondo “più grande”

di Ela

Sono con questo foglio in mano e rimango a guardarlo per un paio di minuti, è così bianco e vuoto come la mia vita in questo momento. Vorrei scrivere tante cose, ma per alcuni minuti mi sono bloccata con la penna in mano, perché nella situazione in cui mi vedo adesso è troppo difficile esprimere i miei sentimenti.

Oh Dio!! Ho fatto un bel sospiro e mi sono buttata a scrivere senza paura. Perché questo è l’unico modo di sentire me stessa e cercare di capire cosa provo ancora per la vita. Provo la sensazione, come tutti quelli nel mio stato, di essere “chiusa”. Ma non ho la sensazione che la mia vita sia rinchiusa, perché la vita va molto più lontano di tutto “questo”… che viviamo adesso. Importante è essere viva e avere la forza per superare tutti i momenti più difficili.

La differenza tra noi “chiusi” e quelli “aperti” è che loro, talvolta, sono più “chiusi” di noi. Noi “chiusi”abbiamo imparato a capire che la vita non è solo questo piccolo mondo che loro “aperti” vivono, chiudendo gli occhi davanti alla realtà. Loro poi mi hanno rinchiuso in un piccolo mondo. Ma io ho trovato un mondo più grande stando “chiusa”, che nessuno può togliermi: me stessa. E quando sarò libera avrò un mondo ancora più grande, e sarò una delle poche persone che hanno imparato a vedere e rispettare la vita. Grazie per la vostra “giustizia”, che mi ha rinchiusa. “Chiusa” per la società, in questo piccolo mondo.

Questo è il momento più buio che sto passando, perché devo lottare contro me stessa, ma c’è una parte di me che vuole farcela.

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Speranze ricoperte di bianco

di Ulderico

Il nuovo anno ci accoglie con un manto tutto bianco. Che bella sensazione. Pace, silenzio, tranquillità, sembra proprio una bellissima cartolina, tra le tante che in questi giorni sono arrivate in ogni casa, e fortunatamente anche nelle carceri.

Neppure un segno su quel tappeto, tutte le cose brutte e negative, per magia, sono state ricoperte. Sembra che ogni piccola o grande “macchia” sia svanita.

Rimirando il panorama, anche se attraverso “grasse sbarre” che ogni giorno sopportano “sonore battute” seguendo uno schema di ordinamento penitenziario, i pensieri grigi sembrano essere sottomessi da riflessioni e speranze positive. Vorrei che questo manto potesse essere calpestato solo per eventi di vita positivi, propositivi per un domani colorato, splendente per tutti gli abitanti di questo mondo.

Ma la realtà è diversa, ci sono anche altre sfaccettature. C’è un mondo che ha bisogno di pensare al recupero di valori; etica e moralità. Valori che spesso vengono propinati in pubblico e nel privato, spesso si parla bene ma poi si razzola male, e questo tutto in funzione di un unico aspetto: l’ arrivismo.

Arrivismo che porta a sfruttamento, a calpestare gli altri per giungere primi, a distruggere il singolo, ma di singoli siamo tanti. Allo sfruttamento della persona che deve correre, pensare solo al lavoro e meno a se stesso e alla famiglia e tutti i valori che la costituiscono, che la dovrebbe mantenere come tale. Non esistono schiavi, ma di fatto lo siamo perché l’impostazione economica internazionale ci ha portati alla necessità di rispondere alle esigenze del mondo, ormai globale, in corsa continua.

Non si vedono segni di frustate esterne, ma ferite interne dovute al non fermarsi mai, raggiungere obiettivi fissati da altri e su quello che tu dovrai fare, avranno poi lauti guadagni. Ti mettono in competizione, ti danno responsabilità operative ma sotto sotto ti fanno capire che per giungere a quell’obiettivo si potrebbe agire in modo “diverso”. Ma se poi succedesse che….? Ti arrangi e ne rispondi. Se tutto va bene magari la tua sedia si trasforma. in qualcosa di più conveniente.

Ma dobbiamo essere persone o solo” leve” di questo mondo? Ma se non sai subire questo cosa rischi? Magari trovi tante porte chiuse ed allora come puoi vivere e far vivere te stesso e tutti i tuoi familiari. con cosa dai da mangiare al tuo piccolo nucleo se non hai uno stipendio, una casa, anche se modesta; questo arriva solo se tu lavori.

Per fortuna ci sono altri valori nella persona che ci aiutano a fare molte scelte propositive. E allora si sopportano impegni assurdi ma si cerca di trovare i giusti, anche se piccoli, spazi per dare forza ai sentimenti, emozioni, pace ed amore.

Rimarranno i nostri migliori ricordi e rimarranno racchiusi nel nostro essere e saranno frutto del nostro insegnamento per i nostri figli che sono il “domani”.

Ma se anche il resto del mondo si convertisse ad un ritmo umano, tutto sarebbe molto più facile, più bello. Chimera? Chi farà il primo passo?

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Caro diario: sono stralunata!

di Sara Sorrentino

Caro diario, a questo punto penso tu sia ormai l’unico ad ascoltarmi, capirmi fino in fondo ma soprattutto, non hai parola e quindi posso fidarmi di te come nessun altro può farlo.

Sono stanca, se potessi parlarmi, mi chiederesti, ma soprattutto mi diresti.

Ma qui ci sono solo io a parlare, ponendomi solo dei grandi e grossi perché, interrogativi su tutto, sto triste e, anche se non si scrive in questa maniera, io mi sento una poetessa e in tale caso il poeta in sé può scrivere la sua poesia come vuole, può pure dire frasi scombinate, saltare o mettere punteggiature quando gli pare, in questo caso quando mi pare e piace.

Non so da dove cominciare la mia storia di delusione, non so nemmeno quasi perché mi trovo qui e gli altri dove sono?

Si, quando vivevo in strada non mi chiedevo questo, ma ero strafatta, dalla mattina alla sera spesso e volentieri pure la notte, ora no sono lucida, lucida come non mai, ma nessuno sembra rendersene conto, allora che dire? Che fare?

Non voglio più scrivere, perché con le lettere ho solo sprecato il mio ego, ma soprattutto i miei soldi in francobolli per poi marcire dentro aspettando una risposta, ora caccio la testa sotto le lenzuola, diario non ho voglia di sentire e vedere nessuno un bacio, tua (…)

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Tanto buio intorno, ma è solo un brutto sogno

di Ela

Quando sei qui dentro, capisci tante cose. Il mondo là fuori diventa immenso, così grande che hai paura anche di uscire ed affrontarlo a quattr’occhi, perché sei delusa di tutto.

Ma la delusione ti fa sentire più forte di prima e cominci a vedere tutto quello che fuori non riuscivi a capire, diventando più esperta dopo ogni vicenda che vivi.

Non guardi più il mondo come prima, desideri solo allontanarti dal male, cercando disperatamente la strada giusta e illuminata, perché la sofferenza fa diventare tutto buio e non credi più a niente.

Finché arriva qualcuno che ti tocca la spalla e dice: “Svegliati! Hai avuto un brutto sogno”.

C’è ancora dentro di me, nella mia anima, una piccola speranza, che tutto possa cambiare per il meglio. Come dice un vecchio proverbio, “la pazienza e la virtù del forti”.

E questa è la prima cosa che ho dovuto imparare per superare me stessa qui dentro, perché ho ancora tanta voglia di vivere e voglio lottare fino in fondo per cercare un filo di luce in questo immenso buio.

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Il piacere della musica

di Roberto La Mantia

E’ la prima volta che mi capita di assistere a un concerto di flauti e per me è stata una cosa bellissima. Tutto questo grazie alla disponibilità del quartetto femminile “Jeunesse” del Conservatorio statale di musica “F. Venezze” di Rovigo: Laura Mazzuccato, Roberta Boldrin, Giulia Bertomoro e Caterina Pavan che hanno suonato i seguenti brani di Alexander Tcherepnin: quartetti per flauti op. 60, “in the church”, “parents hope for children” e “in the kitchen”; di Eugene Bozza: Jour d’été a la montagne, “aux bords du torrent”, “pastorale e “ronde”; di Marc Berthomieu: le chats, “persan bleu“, “puma“,“lynx“ e “siamois”.

E grazie anche agli assistenti dell’area pedagogica, della direzione e a tutti quelli che hanno fatto si che questi sia stato un momento di gioia. Sicuramente se fossi stato in libertà non avrei mai pensato di andare a seguirne uno e, se lo avessi proposto a qualcuno, avrebbero pensato che stavo impazzendo. Ritengo, invece, anche per tanti altri detenuti che sia stata una bellissima esperienza e in qualche modo mi sono sentito arricchito culturalmente. Spero tanto che occasioni del genere ce ne siano ancora.

Con questo voglio poi ringraziare ancora tutto il quartetto che ci ha portato “arie” nuove, bella musica e ben interpretata.

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Cura del corpo e della mente

di Roberto La Mantia

Come occupare un po’ di tempo in carcere per curare la mente ed il corpo? Sono due cose che potrebbero sostenere il detenuto in maniera combinata e cerco quindi di pensare a cosa si potrebbe fare per raggiungere questo obiettivo. Come si sa, per superare l’usura della mente e non precluderne il buon funzionamento occorre tenerla occupata, con il lavoro ma anche con lo sfruttamento delle ore di libertà, come le ore d’aria o l’uso della saletta giochi, che è l’unico locale nella sezione maschile della Casa Circondariale che potrebbe ospitare altre funzioni, in alternativa.

Quali e come? Ci viene spesso detto che esistono attrezzi da palestra che non vengono utilizzati e che sono ora in un apposito locale del femminile. Perché allora non trasferire tali attrezzi nella sala giochi e metterli a disposizioni di tanti detenuti che da tempo vorrebbero avere questa possibilità in sostituzione dell’ora d’aria?

Ma arrivare a questo potrebbe essere alquanto difficile o addirittura non possibile per il fatto che il personale di sorveglianza ha tanti altri compiti a cui badare. Dobbiamo quindi rassegnarci e abbandonare l’idea e l’esigenza espressa da tanti detenuti? Perché non provare?

Altri spazi mancano, una sala di lettura per esempio, visto che c’è una biblioteca, perché non avere a disposizione uno spazio attiguo dove rintanarsi a leggere in tranquillità?

Sono idee e richieste che si ripetono in più celle; sfruttare momenti e spazi di tempo per evitare di tramutarsi in vegetali, non imparando nulla.

Non si può solo rimanere rinchiusi in cella! Sì, abbiamo anche la possibilità di lavorare di fantasia, ma oltre ai corsi o al lavoro che qualcuno riesce ad ottenere, altre opportunità di vivere la giornata in modo diverso potrebbero contribuire ad un recupero dei carcerati, nella mente, nel corpo ed in uno stile di “vita” più decoroso.

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Giornata della memoria

a cura della sezione femminile

Anche nella Casa Circondariale di Rovigo, il giorno 22 Gennaio 2009, si è voluto ricordare uno dei momenti più recenti ed angoscianti della nostra storia: lo sterminio di persone secondo un ordine ed un progetto ben delineato da altre persone. Ergersi onnipotenti e decisori della sorte altrui, eliminare quello che, secondo loro, non è ritenuto degno di avere un futuro su questa terra.

Incontro organizzato dall’Associazione Fiume:” Shoah e Memoria”.

Dopo aver predisposto il nostro “teatro – scuola – incontri di gruppo – e la domenica Chiesa”, per accogliere i “residenti” della locale casa circondariale – sezione maschile e femminile, sono stati fatti entrare gli ospiti: il presidente dell’associazione culturale “Il Fiume”: signor Bombarda, la relatrice Francesca Cappella, ricercatrice presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’ospite principale: Sandy Speier Klein, figlia di persone deportate e a suo tempo presenti nel comune di Costa e che da anni si dedica alla ricerca delle sorti di un suo fratello, che oggi avrebbe 77 anni, e del quale si sono perse le tracce.

Era stato ospite di una famiglia italiana, e sottratto alla deportazione subita dai genitori. Poi successivamente è stato arrestato dai tedeschi e se ne sono perse le tracce. Sandy può contare sulle memorie e ricordi di abitanti di Costa, al ritrovamento del suo passaporto e quindi un’ immagine alla quale collegare una persona cara, mai vista.

Ha avuto modo di vedere documentazioni, registri del carcere di Rovigo che attestano la presenza dei suo genitori che qui hanno vissuto parte della loro prigionia e poi, come milioni di altri ebrei destinati ai Lager e allo sterminio. La Professoressa Nicoli insegnante di lingua inglese, in questa occasione interprete, il comandante Rosanna Marino, il cappellano don Marino, il signor Maffione coordinatore e presentatore dell’incontro, e la “sorpresa”, la signora Migliorini ... che con il suo violino si è esibita suonando due motivi all’inizio ed uno alla fine della manifestazione, musica piacevole e gradita.

Ne è seguito un saluto indirizzato a tutti i presenti ma soprattutto a colei che con la propria triste storia si è resa disponibile a condividere la sua testimonianza con il fine di trasmettere il pensiero che tutti noi condividiamo: mai più guerre, atrocità, distruzioni, annientamenti, dolore, separazione, disprezzo, odio, razzismo, privazione della libertà, qualsiasi diritto, dignità …. della vita, la cosa più bella che un qualcuno di Superiore ci ha donato.

Il saluto, che ci ha coinvolti, è passato nelle nostre relazioni, predisposte con l’impegno e la voglia di trasmettere anche la nostra motivazione e non solo presenza passiva, e per non dimenticare.

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Guardatevi allo specchio della vostra anima

di Ela

Sono una persona che ha sempre amato se stessa. Non sono un tipo egoista, parlo solo della vanità. Sono stata solo vittima del narcisismo perché vivevo in un mondo di sogni e circondata di bellezza.

Il carcere ha distrutto anche questo in me, non sono ridicola!! Perché lo so che esistono tante persone che parlano di valori e sentimenti perduti, cosa più importante alla quale pensare quando sei qui dentro, anch’io ho perso questo, però questa volta voglio pensare anche come si sente una donna quando si guarda allo specchio e vede che la sua bellezza e la sua luce sono rimaste fuori. Ammiro quelle che sono rimaste loro stesse, che non peccano di ipocrisia, tutto cambia sulla nostra persona, il capelli, la pelle, gli odori di femminilità. La luce negli occhi e la vivacità di ogni espressione del tuo corpo.

Non sei più la stessa, anche se le mie compagne provano a consolarmi dicendo: “non ti preoccupare quando sarai fuori metterai tutto a posto Sim!”.

Si può anche mettere tutto a posto, però non vedrò più quella luce di donna quando mi guardavo nello specchio, non vedrò più quella ragazza. Vedrò una persona molto più bella. Ho imparato a ammirare la mia semplicità e la forza di donna che esiste dentro di me.

Per superare tanta sofferenza, sono guarita dal mio narcisismo, anche se continuo ad essere vanitosa, perché continuando a prendermi cura della mia anima, sentendomi più matura, comunque mancherà sempre il mio rossetto.

Guardatevi allo specchio… della vostra anima.

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Pensieri in libertà, di un'umana

di Ifeomi Ozoeze

Mi faccio chiamare Nengi, che è un nome che mi sono inventata quando vivevo in America e che ho assunto come nome d’arte. Sono una scrittrice, inoltre dipingo e sono interessata al ballo, come ballerina e nella realizzazione di video a teatro. A dirla tutta i miei interessi sono infiniti ma quello che prevale nella mia carriera professionale è la scrittura, avendo pubblicato nel 2000 un libro, il cui titolo è “Sintesi”.

Mi ritrovo ora in carcere per motivi di tossicodipendenza. Ho rubato una borsa e qui è per ora finita la mia corsa e, a dirla veramente, aggiungo un gran “per fortuna”! Perché il mio lavoro non trovava più sbocco con la vita da cocainomane che ho condotto negli ultimi cinque anni.

Ho trentasette anni, sono del segno del leone e, come ho già accennato, un’artista. Lo ripeto per far capire che quello dell’artista è un lavoro che non finisce mai, perché l’ottica artistica, nel bene o nel male, non mi lascia mai. Il fatto è che se non fossi arrivata qui, proprio in cella a Rovigo, avrei continuato a credere nell’illusione che la sostanza mi dava di essere onnipotente e, se succedeva qualcosa di brutto, attribuivo sempre la colpa agli altri.

Parlare o, meglio, scrivere della mia esperienza in carcere non è facile, perché i sentimenti sembrano puniti e umiliati, ma non so cosa voglia dire, in senso intimo, cioè, sentirsi detenuta, perché scrivendo ho sempre uno sbocco alla libertà, con carta e penna che mi permettono sempre non solo di continuare il mio lavoro ma anche la libertà di pensiero che esercito ancora di più paradossalmente con questa reclusione, visto che sono ancora più concentrata. Senza cogliere assolutamente la sofferenza che comportano le sbarre e i limitati scambi diretti, cioè la solitudine, ho esercitato per anni la scrittura, che mi permette ora di scambiare con il foglio e gli eventuali lettori, messaggi di vario tipo.

Non è bello stare in prigione e lo vivo il dramma, ma quando scrivo lo dimentico o descrivendolo lo analizzo, per quanto questo serva a me, per lavorare su me stessa, leccando questa enorme ferita che mi sta fortemente segnando.

Conduco una vita molto solitaria, essendo pure in cella da sola, ma ho una mente molto fervida e creatività da vendere. Sto scrivendo infatti il mio settimo libro che s’intitola “Estetica del movimento”. Questo testo era un mio progetto da molto tempo, che però non avevo ancora intrapreso.

Svegliarsi la mattina e, aprendo gli occhi, vedere la cella, e tutto ciò che significa, è sempre molto doloroso, ma dopo una tazza di latte bollente e una doccia, altrettanto bollente, riesco a riavviare le “periferiche” e mettermi al lavoro. Questo mi garantisce una buona dose di buon umore. Sono qui in custodia cautelare e sto aspettando di essere trasferita in comunità. Anche questo alleggerisce il fardello perché in comunità, dove andrò perché necessito di cure specifiche per la tossicodipendenza, sarò molto più occupata e concentrata per sradicare dai miei sensi la maniacalità a cui porta la cocaina, che in astinenza si fa sentire una irrequietezza fastidiosissima e sbalzi di umore improvvisi, altrettanto molesti.

Sto descrivendo in chiave positiva tutto quello che sembra il male, che non viene solo per nuocere, che comunque non comporta soltanto uscire dalla legalità, ma farsi avvelenare la testa e lo spirito da una sostanza con tutti i sensi inclusi, a cui porta questa oltremodo difficile piaga sociale che è la droga. Infatti, per esempio, il male che ho inferto a mia madre mi tormenta, per quanto riguarda amici e parenti, vicini, conoscenti che, visto anche il mio passato di atleta ad alti livelli e la mia pubblica vita artistica di esposizioni e manifestazioni. Sono molte le persone che sanno che sono “in gattabuia”.

Ho distrutto tutto chiamando catarsi il livello a cui voglio arrivare con il mondo, dicevo il male che dirimpetto vive e ha subito mia madre per opera mia, non artistica, e la preoccupazione che ancora vive sono una grossa pena per me, che però, rivedendo ancora il lato buono della cosa, sta rinvigorendo il bene che provo per quella persona, santa donna, che pur avendomi già perdonato è comprensibilmente ancora toccata e da rassicurare da parte mia il più possibile. E questo è uno dei miei impegni, se non il primo, a cui adempio giorno per giorno, cercando di condurre una vita, qui in carcere, più ordinata possibile. Le scrivo tutti i giorni e lei viene a trovarmi ogni martedì e venerdì. Momenti talmente belli che sono commossa ogni volta, e sorpresa, di quanto bene può farmi scaturire quella donna… modestia a parte… mia madre.

Il mio quarto libro s’intitola ‘umana’, lo cito per un motivo, perché qualsiasi sia la deviazione sociale che ogni fuorilegge o dall’altro estremo i cosiddetti “fortunati” che sono, per esempio, gli artisti, vanno ad intraprendere, si tende a considerarli in qualche maniera disumani. Su ciò verte il trattato del mio libro, denunciando il fatto in forma artistica che, come ho detto, è un filtro costante per l’artista, o per il cosiddetto “delinquente”, un certo tipo di mentalità per tutti diventa etichetta che dà il via ai cosiddetti “letali” pregiudizi.

Il fatto che io abbia entrambe le etichette mi ha spinto a scrivere “Umana” e su quel fatto così paradossale da me vissuto e rivissuto in altri come me, ci sia il bisogno che gli altri, appunto, pubblico, opinione pubblica o chicchessia, riflettano per non tendere a impropri giudizi, che fanno molto male, fino a soffocare e a far peggiorare l’emarginazione e dar via a oltremodo risaputi crimini o guai personali e vitali.

La cella è piccola, le giornate lunghe, mi sembra di vivere in eremitaggio e spesso penso a quante cose saranno cambiate nel mondo, quando io ci tornerò.

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Ho sbagliato, ma voglio vivere

di Roberto Ruzzante

Si dice che qua si conoscono le persone per quello che sono… è vero! Maschere, falsità e doppie facce, ma poi il tempo svela i misteri della gente. Pensavo di essere a contatto con persone amiche, invece… alla prima o seconda occasione, cambiano e si trasformano. Esiste un detto: l’occasione fa l’uomo ladro, io invece ne direi un altro: una eccezione cambia la persona!

Quando un uomo tralascia i veri valori: onestà, amicizia, amore, insomma essere veramente uomo, tutto ciò per dare valore al denaro o alla stupidità, allora c’è qualcosa che non quadra.

Da un mese in questa stanza è cambiato tutto, anzi sono cambiato io, lo sono sempre stato; dentro di me regnano valori insormontabili al punto di farmi del male per aiutare persone in difficoltà.

Nella mia sfortuna, ho avuto la fortuna di tornare indietro e fermarmi a riflettere sui miei errori commessi.

Ora sto pagando e subisco ingiustizie, tempi duri e malinconici. Ma va bene così, in fondo mi sta bene e mi fa ricapire che nella vita non si deve cedere a lusinghe, o cercare la via più corta ma piena di insidie.

Avevo la mia strada in salita, con il mio lavoro guadagnavo bene perché lavoravo tanto, avevo una famiglia, ho due splendide bimbe da mantenere, alle quali, in questo periodo, non sto dando la mia presenza, ed esempio. Comunque i valori che mi sono sempre portato dentro non tramonteranno mai. Ho quarant’anni e sono pieno di vergogna per ritrovarmi qui. Non credo di poter vivere altri quarant’anni, ma spero tanto di uscire per poter ricominciare la mia vera vita di prima, povera ma ricca: onore e valore.

Ringrazio Dio perché so che mi è sempre stato vicino e non mi ha fatto cadere in tante tentazioni, e so per quel po’ di vita che mi resta che sarà sempre così. Basta voglio vivere e non morire.

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Continua la speranza, ma per chi?

di Natale

L’anno nuovo è arrivato con la promessa di sostituire la parola “sopravvivenza” con la parola “esistenza”, ma nel frattempo altri detenuti si tagliano a brandelli, tanto che il loro sangue segna i corridoi delle nostre patrie galere. Certo è che del carcere tutti sappiano tutto, ma a pochi importa qualcosa davvero.

Questo vale anche per chi in carcere muore, per chi in galera sopravvive e poi ci lavora, poiché ognuno parla, agisce, dimentica o per ideologia o per appartenenza. Ognuno mira al proprio interesse personale, al rafforzamento della propria casta, al male minore da scegliere. E così “i morituri” non fanno notizia, ne suscitano pietà; quella è finita da un pezzo nelle carceri italiane.

Esauritasi pietà e sensibilità la prigione così deve essere: un luogo di morte, in cui ipocritamente spacciata come richiesta di speranza, riabilitazione per un futuro reinserimento nella società.

Il carcere e la persona umana, il carcere e la pena, il carcere e gli operatori mai sufficienti, il carcere e la sicurezza, il carcere… e l’uscita con i piedi in avanti, in questa inumanità che allontana e divide, appare presente una domanda.

Si tratta di stabilire una certezza, non solo quella della pena, troppo spesso usata come nascondi-mento di ben altre assenze politiche. Occorre una certezza della vita, della dignità, della speranza. E lo si può fare partendo da un interrogativo: a chi il compito di educare? Educare perché e a che cosa, e quando?

Questi sono interrogativi esistenziali e della risposta che daremo, responsabile, dipende, in generale, la qualità della vita sociale, nello specifico il sentire e l’agire di chi il carcere lo gestisce e ancor di più lo vive subendolo passivamente.

Non ci sono soluzioni esaustive e convincenti per far si che quando accadono fatti tragici non si ripetano, ma almeno si può tentare di chiamare con il suo nome quella assenza che causa il danno: in questi casi l’attenzione, soprattutto in quelle case disconnesse, fatiscenti e riconosciute inagibili da più di un decennio.

Si parla spesso di rieducazione, di trattamento, di pena che recupera persone nella posizione che ognuno occupa educatori e educandi. Ma educare o rieducare non è uno slogan, né una critica bensì è intrattenimento e capacità operativa affinché il costruire o ricostruire insieme non rimangano forme dialettiche rinsecchite.

Forme che servono solo a giustificare il proprio compito, ma ritrovino un sistema di valori, di diritti e doveri condivisi, come processo veritiero per una conquista di coscienza.

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Dalla clandestinità alla criminalità

di Ezzahi Said

Vi racconto la fine delle persone che vengono dalla fame, dalla miseria e dalla sofferenza per costruire un futuro migliore, per se stessi ma anche per i loro familiari. Ma purtroppo finiscono nei posti sbagliati e nelle mani sbagliate, nella terra cattiva.

Per venire in Europa devi avere un grande coraggio e senza alcuna paura, perché stai affrontando la “meraviglia” della morte. Lo sgomento di fronte al mondo europeo, alla sua imprevedibilità inaccessibile di bene e di male, di gioia e di dolore, di odio e di amore.

Per esaudire il tuo desiderio prima devi passare la frontiera dove succede di tutto. Tanta sofferenza e tanta fatica e speranza per il futuro, senza sosta, che ti guida verso essa, con il vento secco che ti trattiene e il mare che ti trascina per ore e ore, finché arrivi nella realtà che si chiama Europa.

E qui dove credi di cominciare il “tuo desiderio”, senza pensare e sapere di avere un reato in mano. Ti trovi per strada come un cadavere, senza cibo, senza doccia; in Europa non conosci nessuno che può accoglierti.

La prima cosa che ti capita è un controllo normale e ti trovi dentro le sbarre per tre giorni. Per fortuna, almeno qualcuno “il più fortunato” può fare la doccia e mangiare qualcosa. Tre giorni che sei senza documenti. Poi esci e dopo mesi di vita malvagia, per la strada incontri delle persone “giuste” che ti fanno dimenticare il passato: con uso di stupefacenti! E così comincia una nuova vita piena di guai… Continua….

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Due strade, tante strade

di Roberto Ruzzante

Nel mondo ci sono innumerevoli strade da percorrere, ma in questo momento voglio parlare solo di due strade: quella corta e quella lunga. Io vi assicuro che le ho percorse tutte e due.

Quella corta, piena di insidie, falsità, disonorevole, per arrivare a … quella lunga, faticosa, dolorosa ma piena di moralità, per arrivare a … 40 anni e, non credo di poterne vivere altri 40, ma già ho visto e soprattutto capito tanto.

Io continuerò la mia strada in salita, faticosa e piena di valori ma fino a quando la maggior parte del mondo prende la via più corta, allora è tutto inutile.

Ormai io posso pure morire ma i figli no e, fino quando avrò fiato, non smetterò mai di dire che la colpa e’ solo nostra, dell’uomo!

Io sono del mondo! Sono il fratello più “scuro” e mi mandano in cucina a mangiare quando ci sono ospiti, ma io rido, mangio bene e divento forte. Un domani siederò a tavola quando verranno gli ospiti e nessuno oserà dirmi: “mangia in cucina”. Allora poi vedranno come sono bello e si vergogneranno, perché anch’io sono il mondo!

Sarò pure stupido a credere nel rapporto d’amicizia, ma fino a quando ci saranno persone che si vendono per ottenere cose, favori e intrallazzi vari, io non ci sarò più! Meglio solo che male accompagnato.

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Il Garante a Rovigo:
attese e speranze dei detenuti

di Ulderico

Da tempo si aspettava l’istituzione di tale figura e di recente, in occasione della riunione del tavolo comunale sul carcere, avvenuta in istituto il 15 settembre 2008, ci era stato consegnato dall’assessore comunale ai servizi sociali Giancarlo Moschin il regolamento del “garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Rovigo”.

Attualmente in tutta Italia i garanti dei diritti dei detenuti sono 21 e tra questi la recente nomina del Comune di Rovigo, individuata nel signor Ferrari Livio, persona già nota e conosciuta in quanto fondatore e direttore dell’associazione di volontariato Centro France-scano di Ascolto, che da oltre venti anni lavora all’interno degli istituti di reclusione, e fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia.

Notizia che noi apprendiamo dagli articoli dei giornali del dieci ottobre 2008, attraverso i quali il garante Livio Ferrari esprime alcune sue riflessioni: “c’è tanto da lavorare, la situazione nelle carceri è drammatica. Non so se essere più contento per questa scelta o preoccupato, perché i problemi che vive il carcere oggi sono davvero tanti. Sarò una presenza scomoda perché la dignità della persona detenuta viene prima di tutto”.

Nomina avvenuta con decreto del Sindaco e con condivisione unanime dal Consiglio Comunale.

I detenuti si aspettano cose concrete, tenendo presente che il carcere è si un luogo di pena ma deve tendere anche al riscatto e recupero della persona privata della libertà.

Al signor Ferrari Livio diciamo: buon lavoro.

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Regolamento
"Garante dei diritti delle persone
private della libertà del Comune di Rovigo"

 

Art. 1 – Istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

Il Comune di Rovigo istituisce il “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale”, d’ora in poi denominato Garante. Il Garante è un organo monocratico.

Art. 2 – Nomina

Il Sindaco nomina il Garante scegliendolo fra persone di prestigio e notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, delle attività sociali negli Istituti di Prevenzione e Pena e dei Centri di Servizio Sociale, tendendo presente eventuali elementi di inopportunità. Il Garante può essere revocato dal Sindaco, anche su richiesta del Consiglio Comunale per gravi motivi connessi all’esercizio delle sue funzioni o per gravi inadempimenti nei compiti affidati. L’incarico di Garante è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche sei settori della giustizia e della pubblica sicurezza. E’ esclusa la nomina nei confronti del coniuge, ascendenti, discendenti, parenti e affini fino al terzo grado di amministratori comunali

Art. 3 – Durata

Il Garante resta in carica per 5 (cinque) anni e opera in regime di prorogatio secondo le norme legislative in materia. L’incarico è rinnovabile per una sola volta.

Art. 4 – Compiti del Garante

Al Garante sono attribuiti i seguenti compiti: a) promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone comunque private della libertà personale, ossia limitate nella libertà di movimento, residenti, domiciliate, dimoranti nel territorio del Comune di Rovigo, con particolare riferimento, per quanto attiene le attribuzioni e le competenze del Comune di Rovigo, ai diritti fondamentali, al lavoro, alla formazione professionale, all’assistenza, alla tutela della salute, allo sport, tenendo conto della loro condizione di restrizione; b) promuovere iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e dell’umanizzazione della pena detentiva; c) promuovere iniziative congiunte e coordinate con altri soggetti pubblici e in particolare con il Difensore Civico comunale; d) esaminare e predisporre iniziative rispetto a segnalazioni che riguardino violazioni di diritti e prerogative delle persone private della libertà personale, ricercando ulteriori informazioni presso autorità competenti; e) informare e confrontarsi con le autorità competenti riguardo alle condizioni dei luoghi di reclusione, con particolare attenzione all’esercizio dei diritti riconosciuti ma non adeguatamente tutelati; f) promuovere con le pubbliche amministrazioni interessate dei protocolli d’intesa utili a poter espletare le sue funzioni anche attraverso visite al luogo di detenzione; g) promuovere i rapporti con le Associazioni interessate ai problemi penitenziari .

Art. 5 – Rapporti con il Comune di Rovigo e le Associazioni

Il Garante: - riferisce al Sindaco, alla Giunta, al Consiglio Comunale e alle Commissioni Consiliari per quanto di loro competenza sulle attività svolte, sulle iniziative assunte, sui problemi emersi ogni qualvolta lo ritenga opportuno; - può avanzare proposte e richiedere iniziative e interventi ai fini dell’esercizio dei compiti di cui all’art. 4, con richiesta scritta da inviarsi al Sindaco; - è tenuto ad inviare al Sindaco apposita relazione sull’attività annuale svolta; - è tenuto a riferire sull’attività svolta alle Associazioni interessate ai problemi penitenziari su richieste delle stesse; - è tenuto a partecipare e a dare il proprio contributo ai lavori del Tavolo Carceri, promosso dal Comune, e può riferire allo stesso, su richiesta, sull’attività svolta.

Art. 6 – Indennità di funzione

Il Garante, per l’esercizio delle funzioni attribuite, ha diritto a: - un’indennità simbolica determinata dal Sindaco di anno in anno; - rimborso delle spese documentate ed ammesse.

Art. 7 – Logistica

Il Garante, per lo svolgimento dei propri compiti, si potrà avvalere delle strutture e del personale messo a disposizione dall’ufficio comunale stabilito dal Sindaco.

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Una visita virtuale
alla Cappella degli Scrovegni

di Ulderico

Dire che giovedì 27 novembre 2008 è stata una giornata interessante e coinvolgente ritengo sia una verità non contestabile. Un incontro con “l’arte” che ha una sua storia di partenza.

Eravamo a poco tempo dal Natale e qualche giorno prima avremmo potuto partecipare alla Messa celebrata dal Vescovo Lucio Soravito De Franceschi, al quale tutti noi detenuti si avrebbe voluto offrire, donare un nostro pensiero.

Un modellino di barche costruito dagli “inquilini” ristretti della Casa Circondariale? No! E’ un pensiero già fatto in anni precedenti. Un libro? Sì. Ma la prima scelta, da una ricerca effettuata, era impraticabile in quanto il testo scelto non era più disponibile.

Altro suggerimento, condiviso: una pubblicazione che riporta integralmente le immagini che affrescano la Cappella degli Scrovegni di Padova, un capolavoro del grande “Giotto”. A chi affidare la ricerca? Ad un volontario del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo: Innocente Lorenzetto.

E qui nasce un’idea: perché non organizzare un incontro in carcere rivolto ai detenuti, sezione maschile e femminile unite, per fare conoscere e approfondire il grande racconto di vita che Giotto ha voluto riportare su quelle pareti della Cappella degli Scrovegni a Padova? Sarebbe una gita culturale virtuale e soprattutto non si pagherebbe il biglietto di ingresso avendo comunque l’opportunità di analizzare ogni “fotogramma” con dovizia e particolareggiata descrizione di che cosa ha voluto esprimere l’artista.

La nostra modesta ma accogliente cappella è stata allestita per accogliere il pubblico, con un grande telo bianco appeso in zona centrale, impianto voce, tavolo per il proiettore, finestre opportunamente oscurate con appositi pannelli ma soprattutto un ottimo “cicerone”: Roberto Filippetti, studioso d’arte e di letteratura.

Già dall’aspetto traspariva la simpatia e cordialità dell’illustre studioso che dopo una sua presentazione ha dato inizio, con l’ausilio del computer, al viaggio nei colori ed immagini di Giotto. Rappresentazione descritta con terminologie appropriate, semplici, coinvolgenti che non hanno consentito di distogliere l’attenzione su ogni piccolo particolare, usando la “verbalità” accompagnata dalla gestualità e toni di voce a calcare la espressione dei personaggi riportati negli affreschi. Anche le ombre, le prospettive, le decorazioni, il ripetersi numerico dei personaggi, oggetti, animali, croci, ecc. anche segni e figure che ad occhio nudo, molto probabilmente non sarebbero stati visti in caso di visita effettiva alla Cappella degli Scrovegni. Anzi sono convinto che il tempo concesso non consentirebbe una esaustiva capacità di cogliere ed assorbire tutti i passaggi.

Noi sì, siamo stati fortunati e soddisfatti, compiaciuti e piacevolmente intrattenuti. C’è stato interesse e compartecipazione e la possibilità di intervenire con domande al fine di capire concetti e spiegazioni sul perché certe immagini erano riportate in un certo modo. Immagini e spiegazioni che hanno dettato l’interesse anche di quella parte di detenuti “stranieri” che non hanno mai avuto modo di toccare visivamente tale grande opera.

Un ringraziamento particolare è dovuto al professore Filippetti per la sua “interpretazione” ma senza dimenticare chi ce lo ha fatto incontrare, chi ha autorizzato e predisposto l’organizzazione nel suo complesso, amministrazione, agenti penitenziari addetti alla sorveglianza, operatori interni, esterni e, non come ultimi, a chi ha sistemato i locali che hanno accolto tutti i partecipanti.

Questo incontro ci messo in grado di valutare, capire e conoscere quanto abbiamo donato al nostro Vescovo.

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Santa Messa di Natale

 

A sua Eccellenza il Vescovo Monsignor Lucio Soravito de Franceschi

Noi tutti, reclusi della Casa Circondariale di Rovigo, le rivolgiamo il nostro sincero ed accorato benvenuto. Apprezziamo la disponibilità e volontà di dedicare una porzione del suo prezioso tempo a questa parte di persone italiane e straniere, lontane dagli affetti dei propri cari, ma che con il pensiero rivolto a loro, intendono celebrare questa Santa Messa assieme a lei. Cerimonia che porta in noi emozioni che non si dissolveranno e rimarranno nei nostri cuori.

L’essere detenuto non significa non avere fede, non provare sentimenti di amore cristiano, anzi la situazione ed i fatti che per ognuno di noi è diversa, ma che ci ha fatto essere qui detenuti, ha amplificato la voglia di riscatto personale, di fede, di ricerca di affetti, di sostegno, di aiuto, di riallacciare rapporti veri e che magari, per il vivere di questo attuale mondo, non lasciava spazi di sana umanità e fratellanza.

Ma il Santo Natale oltre a farci riassaporare l’evento della nascita di Gesù, aumenta la parte affettiva ed emozionante della nostra vita. La nascita di un nostro figlio, di un fratello o sorella, l’amore che si amplifica e rende gioiosi , raggianti, anche espressivamente, nei volti e nel modo di porsi verso il prossimo. Grazie di essere con noi.

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Il messaggio al Vescovo dal cuore di tutti noi

 

Questo è stato il messaggio di benvenuto rivolto al nostro Vescovo che da anni non si dimentica dei privati della libertà e ci fa dono della sua attesa presenza. E’ un messaggio scritto con sincerità assoluta, parole che provengono dal cuore di ognuno di noi che a nostra volta accogliamo ed assorbiamo i messaggi di fede che ci vengono donati: “Un po’ di bene è presente nell’animo di tutti gli uomini, anche nell’animo delle persone che hanno compiuto del male. Il Signore permette a tutti di ritrovare la retta via, quindi non bisogna mai abbandonare la speranza in un futuro migliore”.

Parole rivolte dal Vescovo Monsignor Lucio Soravito de Franceschi a noi, “ospiti” della Casa Circondariale di Rovigo il 21 dicembre celebrando, assieme al cappellano del carcere Don Marino Zorzan, la Santa Messa di Natale.

La commozione, la nostalgia per i propri cari, era visibilmente presente in tutti, impossibile tenerla celata nei nostri cuori e, con estrema sensibilità, il Vescovo ha detto: “Siamo qui apposta per farvi sentire un po’ di conforto, per aiutarvi a ritrovare la speranza e la fiducia in voi stessi.”

E’ stata offerta e portata all’altare da parte degli scout dell’Agesci la “Luce di Betlemme”. Una fiamma accesa in Terra Santa, nel paese dove è nato il Redentore.

Non è mancata l’apprezzata presenza del Sindaco di Rovigo Fausto Merchiori, all’Assessore ai Servizi Sociali della Provincia di Rovigo Tiziana Virgili, del Garante dei Detenuti Livio Ferrari. Presente pure il Commissario della Polizia Penitenziaria Rosanna Marino e del Magistrato di Sorveglianza Giovanni Maria Pavarin che ha espresso la richiesta al Vescovo ed alle autorità presenti, di sollecitare la realizzazione, entro breve tempo, del nuovo carcere per garantire un trattamento più dignitoso ai detenuti. Non va dimenticata l’immancabile presenza dei ragazzi del Coro che con i loro canti hanno allietato non solo questa cerimonia ma anche le restanti domeniche.

E’ stata una giornata “speciale” che si è conclusa con la consegna di un dono ed il saluto di commiato al Vescovo: “Al termine di questa celebrazione, oltre ad uno scambio di reciproci saluti, vorremo lasciarLe un dono a ricordo della sua odierna presenza. Due pubblicazioni che raccolgono tutte le immagini degli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, opera del grande artista Giotto e sottoposte ad un capillare lavoro di restauro in periodo recente. Opere che grazie alla volontà di persone esterne e all’autorizzazione e assistenza delle persone preposte alla gestione della locale Casa Circondariale abbiamo potuto ammirare stando comodamente seduti qui in questa accogliente cappella.

La valida presenza del Prof. Filippetti, esperto e studioso dell’arte, accompagnata dal suo affabile, cordiale e caloroso modo espressivo, con uso di toni di voce variabile a seconda del personaggio o scena descritta e a volte mimata, ci ha travolti ed entusiasmati.

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I pilastri della vita

di Daniele Antico

I pilastri della vita, per ognuno di noi, sono fatti di sogni, di speranze d’amor proprio, degli affetti che proviamo per i nostri cari, oppure per il migliore degli amici, per i cani che sono affettuosi, istintivi e protettivi per i loro padroni; questi ultimi darebbero la vita per il proprio padrone, mentre non lo farebbe nemmeno il migliore degli amici.

I pilastri della vita si stanno sgretolando giorno per giorno, non c’è più sostegno per chi non crede più in Dio.

Non si crede più negli altri nemmeno nei valori come sono stati per i secoli considerati, importanti e incisivi per la vita di ogni essere umano che abbia ancora la voglia di credere in ognuno di noi, che ci sia moralità, comprensione, cordialità, rispetto oppure socialità e trasparenza, nel portare conforto a chi ne ha bisogno.

Basterebbe poco per dimostrare quanto si possa amare, dare o fare felice qualcuno che della speranza ormai gli è rimasto ben poco. Io credo che i valori siano uno dei pilastri più importanti, poi l’amore e l’affetto, tanto possa essere il rispetto per sé e per gli altri, ma …

Tutto si sta perdendo come la polvere dei pilastri che sostengono questo mondo così assurdo, incompreso e distaccato da questi valori che non vengono più compresi e rispettati o considerati. Nulla può cambiare questo mondo che ormai si sta sgretolando come i pilastri della vita.

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La gratuità dell'amore

 

Ci sono momenti in cui vorremmo aiutare chi amiamo, tuttavia non possiamo fare nulla: le circostanze non ci permettono di avvicinarci…

Allora non ci resta che l’amore, nei momenti in cui tutto risulta inutile, possiamo ancora amare senza aspettarci ricompense, cambiamenti o ringraziamenti.

Se siamo in grado di comportarci in questo modo, la forza dell’amore inizia a trasformare l’universo intorno a noi.

Quando compare quella energia riesce sempre a portare a compimento la propria opera.

Né il tempo né il potere della volontà cambiano l’uomo, è l’amore a trasformarlo.

Sì, l’amore trasforma e guarisce ma, a volte, architetta trappole mortali e finisce per annientare chi ha deciso di concedersi totalmente. E’ un sentimento davvero complesso, anche se può rappresentare l’unica ragione per continuare a vivere, a lottare, a cercare di migliorarsi.

Sarebbe irresponsabile cercare di definirlo perché sarebbe come ridurlo, e come tutto ciò che alberga negli esseri umani, si riesce solo a provarlo!

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L'arma più potente: l'invocazione

di Ibrahin Adam Karim

La gente cambia nel cammino della propria vita, tra giorni felici e di gioia e altri giorni di sofferenza; ostacoli e castigo che passeranno negli anni.

La gente si gode nella vita del buon venire ed altri passeranno con miseria e si raccontano del passato com’era bella la vita.

In tutte le situazioni il credente ha una fede forte, collega il suo cuore con il suo Dio avvicinandosi con la preghiera, invocazione e orazione. Ciò da la possibilità di vivere in pace, in tranquillità: “la sua anima è in pace”.

Nella nostra odierna civiltà avanzata, ogni giorno sentiamo che nel mondo si parla di nuova creatività o più giustamente scoperta di nuove armi; sopra la terra o nel cielo o sott’acqua. Armi che vengono viste come una sicurezza per le Nazioni e con le quali fare la guerra contro il nemico. Sono diventate la misura di chi ha la forza e la potenza per chi le può avere e la debolezza per chi non le possiede.

Però c’è un’arma che non viene prodotta da industrie belliche, ne nel paese Europa, Est o Ovest, America o Russia … quest’arma può averla solo l’uomo Credente che possiede una grande Fede. Ha usato l’arma dei profeti, dei messaggeri di pace. Quest’arma ha salvato Noè, Mosè e tanti altri profeti. Questa arma si chiama: “Invocazione”.

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Non c'è mondo dentro queste mura

di Autò

La struttura del carcere è un accavallarsi di muraglie lisce e respingenti, non serve solo a segregare delinquenti o chi come me ha sbagliato. Sono isolata dal mondo esterno a parte il Tg della televisione, oppure qualche volta in sala giochi leggo il giornale.

Sono scoraggiata tanto che a volte per qualsiasi interessamento morale mio o di qualche amica ci passo sopra con uno zero. Per me che sono ammalata non poco, tanto, mi ritrovo a pensare alla libertà, ai figli che ho. Mi viene da pensare “Dio aiutami, aiuta tutte le ragazze della sezione femminile”. Con qualche agente a volte mi sono trovata sguardo con sguardo, capivo a volte il suo pensare positivo. Anche loro hanno un lavoro duro ... La mia fede è tanta, in una libertà vicina che mi dico “ragazze e ragazzi, dai che tutto questo passerà, abbiamo fede”. Sono entrata in questa struttura il 9 gennaio del 2009. Fino ad ora ho cambiato due celle e finalmente sono con due rumene e una amica italiana. Mi trovo bene e ripeto essendo ammalata e avendo bisogno d’aiuto, anche di piccole cose, loro mi aiutano, Liliana, Mioara, Renata vi ringrazio di cuore. Non potrò mai dimenticarle tutte, agenti e detenute.

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Il passato... il presente!! Il futuro??

di Roberto La Mantia

Il passato… per fortuna se n’è andato, meglio dimenticarlo. La mia età non ha importanza. Il mio passato è stato abbastanza, per non dire molto, burrascoso! Problematico, sin da piccolo, per una serie di continui sbagli che ho continuato a commettere, purtroppo.

Ma adesso basta! Basta!

I miei familiari, da un po’ di tempo hanno gravi problemi di salute. Ho avuto diverse carcerazioni, “visitato” più istituti. Il presente! Il futuro? Per chi sta leggendo questi mio racconto si chiederà perché i puntini sul passato e i punti di domanda sul futuro. Giusto? Semplice, il passato non esiste più. E’ già scritto. Il presente e il futuro sono di una totale incertezza!

Questa mia attuale carcerazione, penso proprio sia la peggiore, per tanti motivi. E’ iniziata a Padova, per poi proseguire a Rovigo, tra l’altro, ho anche fratelli in altri carceri. I genitori malati, che non vedo e non sento da tempo, sono molto distanti dal luogo dove mi trovo; sono in attesa di una risposta per andare a visitare a casa mio padre, a Palermo, visto che è su una sedia a rotelle e non so niente di niente.

Qui a Rovigo, diciamo la verità, non mi trovo per niente bene; se riesco ad andare avanti è solo grazie all’aiuto e sostegno dei miei compagni di cella. Se un detenuto non ha soldi non si può permettere nemmeno di radersi. Difficoltà di pulizia personale, dovendosi accontentare di una saponetta al mese, della difficoltà per lavarsi gli indumenti e soprattutto di spazi e/o dove stenderli per asciugarli: in cella è proibito da regolamento, neppure con appoggio sulle sbarre. Per chi non è nelle condizioni di avere colloqui non può contare sull’assistenza di alcun tipo. Conclusione: l’igiene personale è precaria.

Fortunatamente mi hanno concesso di lavorare come porta pacchi, almeno così posso comprarmi un bagno schiuma ed un detersivo per il bucato, quello fornito non basta. A mio avviso ritengo che anche per altri lavori la paga sia misera. Con tutte le carceri che ho girato è la prima volta che mi trovo in una situazione simile.

Che sia colpa dell’attuale situazione economica? Capisco che l’Amministrazione di questo Istituto faccia il possibile per i detenuti, perché stando bene noi, stanno bene anche loro, meno lamentele. Mi riesce comunque difficile accettare questa situazione, specialmente in un carcere come questo dove anni fa si stava bene, come può essersi creata una simile situazione.

Capisco la cronica mancanza di personale e l’eventuale altrettanto pesante mancanza di fondi… ma si potrebbe fare di più!

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La storia della mia vita, dentro e fuori

di Lula Duric

Io sono una nomade e mi trovo qui in carcere con una pena di tre anni e dieci mesi da scontare. Sto soffrendo molto per i miei bimbi, che adesso si trovano con il padre, e voglio raccontare la mia vita da quando ero ragazza fino ad ora, che sono una donna.

Avevo solo 17 anni quando mi sono trovata per caso con un ragazzo in Croazia. E’ venuto ad una festa, era di un altro paese, ed io ero con i miei genitori. C’erano tante persone a quella festa, la musica era bella e io ballavo, mentre lui mi guardava ballare, mi fissava con il suo sguardo e anche io sono rimasta a fissarlo per due-tre minuti. Subito è stato un colpo di fulmine per tutti e due, ma dopo la festa ognuno è tornato a casa sua, e non ci siamo più visti per quindici giorni. Lo incontrai di nuovo in città e lui mi fermò per parlarmi, mi offrì un caffè e, appena usciti dal bar, mi chiese di sposarlo. Sono rimasta senza parole, non sapevo rispondere! Lui ci è rimasto male ed io sono tornata a casa, pensandolo molto a lui e alle sue belle parole. Successivamente ci siamo di nuovo trovati in città, lui non ha resistito e mi ha baciata e per me è diventato un amore bellissimo. Lui mi chiese di nuovo di sposarlo e questa volta gli risposi subito di sì, ma i nostri parenti non sapevano nulla di tutto questo e di noi due.

Tornata a casa ho chiesto a mio padre e a mia madre di potermi sposare, ma mio padre si mise ad urlare. “Cosa dici, con chi ti sposi?”. Gli ho risposto ”con questo ragazzo, tu lo conosci come il figlio di tuo zio” ma mio padre non era per niente contento. “Lula no, tu non lo sposi! - così mi rispose - perché è tuo parente”. Ed io gli dissi: “Ma guarda che io e quel ragazzo non siamo mai cresciuti insieme come parenti. Mi sono innamorata di lui la prima volta che l’ho visto! Hai capito bene papà? Io lo sposo lo stesso anche se tu non sei d’accordo”.

Lo stesso valeva per il padre del mio ragazzo. Non era d’accordo, disse le stesse parole di mio padre e il mio ragazzo rispose con le stesse mie parole. I nostri parenti non erano d’accordo per niente ma a noi non interessava nulla perché noi due ci amavamo molto. Alla fine quindi i nostri parenti hanno accettato il nostro matrimonio, così ci siamo sposati subito ed il giorno delle nozze è stato bello, come un sogno. Una settimana dopo siamo partiti in viaggio di nozze per l’Italia, in Sardegna, ed è stato bellissimo stare noi due, da soli. Da lì ci siamo poi spostati a Padova per lavoro e sono rimasta incinta del mio primo bambino, che ho chiamato Marco. Il giorno della sua nascita era bellissimo e noi tre insieme eravamo molto felici, anche se non avevamo alcun parente vicino, eravamo i soli in Italia, ma stavamo molto bene io, mio marito e mio figlio. Il nostro amore era più forte di prima e il mio bambino cresceva bene.

Dopo Marco è arrivato il nostro secondo figlio, Kristian. Io poi volevo a tutti i costi una bambina, che non arrivava. Così è nato il terzo figlio, ancora maschio e io ci sono rimasta male. Il giorno dopo il parto, l’infermiera dell’ospedale l’ha portato da me per allattarlo, ma io non volevo né allattarlo né vederlo, perché non era una femmina. Ma mio marito mi diceva: “Non fa niente è lo stesso nostro figlio ed è bellissimo”. Quando me l’hanno portato di nuovo per allattarlo e me lo hanno messo in braccio e l’ho guardato, mi sembrava incredibile, era bellissimo, come fosse caduto dal cielo, così bello che non credevo a me stessa che quel bambino l’ho fatto nascere io, la mamma, e così era mio il bimbo più bello del mondo e buono, pesava quattro chili e il suo nome era Michele. E così la femminuccia che io desideravo tanto non è arrivata e perciò non volevo più avere altri figli. Sono rimasta con i miei tre figli non volevo più sapere di mettere al mondo altro figlio mi sono fermata con tre figli maschi e così piano piano i figli crescevano, gli anni andavano avanti e io e mio marito sempre più in litigio, tanto che a volte volevo andarmene via da lui ma sempre con miei bimbi, andarmene. E quando me ne andavo via, dopo qualche giorno tornavo da lui perché lo amavo molto e mi faceva molto pena, e anche lui quando me ne andavo soffriva molto. Il tempo passava i bambini crescevano ma io soffrivo molto, lo sai come si dice “maledetto il giorno che ti ho sposato”, ma lui sempre mi amava di più ma io non sapevo se lo amarlo o odiarlo. Non capivo: quanto era davanti a me lo odiavo molto e quanto ero lontano da lui lo amavo. Non so perché questo, credo che nella vita non lo capirò mai, ma ho capito una cosa: che miei figli sono cresciuti. Il primogenito ha venti anni e si chiama Marco, e mio marito mi chiede “Lula dobbiamo sposare Marco con una bella ragazza cosa dici?”. Io non volevo saperne e allora Marco mi dice “si mamma io devo sposarmi con una ragazza che conosco” e il gli ho risposto “va bene, se vuoi così, così sarà figlio mio” e alla fine Marco si sposa con questa bella ragazza della Croazia. Si è bella davvero e si chiama Fatima e così viviamo insieme a Marco e Fatima. Ma con mio marito il nostro matrimonio è ancora in crisi. Io voglio il divorzio da lui.. Dopo un po’ di mesi Marco mi da la notizia che diventerò nonna e io gli chiedo perché. Perché Fatima aspetta un bambino sarò padre, mamma. E io ero contenta ma non tanto perché stavo per mollare tutto e per andarmene via lontano, non volevo più stare con mio marito, e così andiamo avanti. E arriva il giorno del parto di mia nuora Fatima e la porto in ospedale a Monselice e sto con lei fino alla fine del parto e nasce una bellissima bambina ma così bella. Io ero la donna più felice del mondo. Le abbiamo dato il nome di Jasmin. Era la mia piccola principessa e anche adesso è la mia principessina. E‘ la mai vita, la mia Jasmine è tutto per me e ho fatto io da mamma per lei, dalla nascita sempre attaccata alle mie braccia.

Il mio sogno era avere una femmina e così avuto una nipotina da mio figlio, il mio sogno si è avverato e io mi sono calmata dopo con mio marito perché ero impegnata con la mia nipotina, non avevo tempo più per nessuno solo per la mia bambina e così con mio marito un po’ alla volta andavo d’accordo.

Così sono tornata la moglie di prima, cominciavo ad amarlo di nuovo e ho superato la mia crisi matrimoniale. Lo amavo da sempre e lo amerò fino alla mia morte perché è stato il mio primo amore, solo dopo che sono nati tutti i miei figli le cose non andavano bene e ci odiavamo tanto, litigavamo e così io volevo andarmene da lui, ma adesso non lo lascerei mai da solo perché ho capito tante cose della mai vita, perché è sempre il padre dei miei figli e sento che mi manca molto e sento dentro di me che soffro per lui, per il mio amore. E così adesso sto bene con mio marito. Mi viene a trovare in carcere a Rovigo, con i miei due nipotini, perché dopo Jasmine è arrivato anche un altro bambino che ha due anni e loro mi conoscono come fossi la loro mamma, perché gli ho fatto io da mamma, li ho accuditi sin dalla nascita e il mio cuore soffre per loro molto.

Il mio reato e questa condanna è vecchia di otto anni fa e adesso mi trovo a scontare la pena che ho commesso a diciotto anni. Sono trascorsi tredici anni da allora e non ho commesso più nessun reato.

Aspetto attendo giorno per giorno che mi diano gli arresti a casa, dai miei figli che si trovano da soli con il padre e i miei due nipotini.

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La depressione e il suo spazio vuoto

di Ela

Ho dimenticato il tempo, il giorni, le ore, così una giornata è diventata tante e, dopo tante giornate, ho capito che ho vissuto la stessa giornata senza capire cosa accadeva nella mia vita, vedendo solo cosa accadeva intorno a me, chiudevo gli occhi perché le immagini sparissero, perché è troppo duro guardare la realtà, non faccio parte di questo mondo, ma soffro come tutti e un po’ di più, perché sono consapevole di quello che non ho fatto, per questo le giornate diventano sempre più lunghe. Infinità e i sogni lontani, non sono più la stessa, non ho una immagine sulla mia persona.

Sento ancora che dentro di me esistono vita e morte, ma nello stesso tempo i sentimenti sono sepolti dentro di me. Ho bisogno del silenzio, di stare da sola, del buio, ho bisogno di trovarmi senza guardare dove sono. Non lo so cosa sento ma sicuramente non lo sento, è per questo che non riesco a capire la difficoltà di questo momento.

Sono seduta sul mio letto, non c’è aria, non c’è vita, sono sola, chiusa nel mio mondo, un mondo che nessuno può togliermi, toccare o aprire, perché questo è l’unico spazio che mi resta, e lo spazio intorno a me è così vuoto.. così spaventato, ma con la speranza che possa riempirsi di nuovo un giorno. Se ci sarà!

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Ai ragazzi che sognano di trovare un tesoro

di Sara Sorrentino

A voi, che venite qui, rischiando la vita, e a volte pagate per la vostra morte. Quando montate in quelle grandi barche e restate in balia del mare giorni, quando vi fanno scendere, in un punto oscuro dove non si vede né capo né coda e vi dicono: “Aspettate qui”, e li rivedete dopo tre giorni. In quei tre giorni solo la disperazione regna, la fame e la sete le saziate a modo vostro, come si fa in extremis, è spaventoso ma così verosimilmente umano. Quando un ragazzo di soli 20 anni mi ha raccontato la sua storia, mi teneva per mano, seduti su un letto, uno di fronte all’altro, quella stretta di mano era come un filo collegato dentro di me, ho potuto sentire il suo dolore di quei giorni ormai lontani, ma che ti toccano il cuore. Era talmente tanto il dolore che sentivo, che mi sono scese le lacrime, come quando guardi un film drammatico e sei così attento ad ascoltare tutto, e a soffermarti ad ogni singola parola, che chiudi gli occhi e ti sembra di vedere tutto.

Che dire? Vieni qui piccolo uccellino che ha saputo volare nel ramo più alto, per salvarsi la vita. Ora guarda avanti e addentrati in questo mondo che hai voluto tanto raggiungere, per poi dire: “Tutto qui?!”. Ebbene sì. A tutti gli stranieri, che siate buoni o cattivi, condividete però la stessa esperienza. Fate tutti i bravi, in bocca al lupo.

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Il mistero del Natale

di Ulderico e Natale

Ma come si è partiti a fare il presepe? Prima cosa un invito arrivato da don Marino a chi già l’anno precedente se ne era occupato ed allargando l’intervento ad una terza persona. Ma come impostarlo? Dove? Nello stesso posto? Già nella cella 27/a si stava pensando a questo progetto, visto che nella saletta hobbystica si stava completando l’assemblaggio di una barca ed il recupero di una seconda, ci è sembrato giusto pensare di fare entrare nel presepe anche un po’ di mare. Sarà un po’ fuori cliché ma Gesù è nato per tutti.

Volendo avere un’ idea o un abbozzo prospettico si è pensato di predisporre una specie di progetto su carta, era convincente ed anche attuabile. Unico pensiero: ma cosa diranno per la presenza di barche?

Avanti tutta! Arriviamo verso fine novembre, eravamo pronti ma ci viene segnalato che il comandante avrebbe gradito tante montagne. Erano già previste, ma accogliamo con piacere l’invito e “ordiniamo” altra carta per roccia. Verifichiamo tutte le luci: funzionano. Le statuine le suddividiamo per dimensioni. alcune sono proprio scolorite, evidenziavano la loro età ed utilizzo negli anni. Solo l’abile mano di Natale gli ha ridato vita. ricostruite ove mancava qualche pezzo, riprese nei loro colori e sfumature e ben “lucidate” che sembrano nuove, migliori di quelle più moderne, stampate con materiale di plastica.

Accaparrati scatoloni, cassette di legno e di plastica e tanto nastro di vario tipo, abbiamo iniziato a dare forme alla base del paesaggio, applicato a muro e creando un arco di cielo abbiamo disteso i fogli azzurri con mille stelle. Poi è venuto il momento delle montagne, di varie dimensioni, utilizzando fogli con tonalità diverse. Il “giro montagne”, una volta finito, è stato contornato da luci bianche, intermittenti; ogni lampadina applicata con il suo pezzetto di nastro adesivo trasparente.

I vari livelli per il paesaggio, sormontando scatoloni, trattenuti tra di loro sempre ed esclusivamente con altro nastro-carta o bi-adesivo, creando collegamento tra loro con gallerie, rese possibili con l’uso di un taglierino. Gallerie necessarie per eventuali passaggi di linee di luci. Il tutto poi ricoperto con altra carta verde per la parte calpestabile da statuine.

Per creare le due sponde di mare abbiamo dovuto creare una prolunga esterna, con il ricorso ad un tavolino e lateralmente due colonne di cassette, agganciate tra di loro per formare un corpo unico e stabile.

Si è arrivati, quindi, alla distribuzione sui vari piani delle statuine, controllando la giusta disposizione con rispetto, per quanto possibile, delle proporzioni e riflessi giusti delle lampadine che erano state precedentemente fissate sul piano di lavoro. Poi è stata l’ora della copertura con muschio e questa volta vero, per creare sfumature varie abbiamo fatto accostamenti e aggiunte con quello finto. Creato i vialetti e percorsi collinari con la ghiaia bianca, fissata in alcuni punti con il vinavil ed ombreggiati con i colori acrilici..

Se dovevamo avere il mare con le barche, non poteva mancare la spiaggia anche perché sulla stessa dovevamo porre le conchiglie di vario tipo, gentilmente offerte dal vice comandante.

Come si è capito il coinvolgimento è stato ampio. A don Marino il compito di spendere per altro nastro, carta roccia, carta per il cielo stellato e altra carta per coprire il tavolino e cassette antistanti il presepe, acquistata bianca e successivamente colorata con uso di spugnette.

In mancanza di sabbia si è pensato alla farina di mais per polenta bianca ed assieme a questa anche quella gialla per creare la parte di deserto. Una cosa stonava, la seconda parte della volta del cielo che era stata creata con carta da pacchi. I giudizi interni hanno influito e condotto alla necessità di acquistare altro cielo, trovare nel magazzino Mof dei listelli di plastica per la struttura a semicerchio. Un ulteriore lavoro poi per togliere la parte visivamente non accattivante sostituita con quella definitiva e più adatta al completamento di un bellissimo presepe.

Eravamo soddisfatti e ripagati di ore di tempo dedicate a questa piacevole ricostruzione dello scenario della natività. Ultima aggiunta: mancavano alcuni alberelli; detto e fatto; l’ingegno e fantasia li ha fatti apparire ricorrendo all’intreccio di alcuni pezzi di filo di rame inutilizzato ed opportunamente intrecciato per formare l’oggetto desiderato.

Il nostro presepe l’hanno potuto ammirare tutti i partecipanti alla Santa Messa celebrata dal nostro Vescovo, con la presenza di autorità locali: sindaco, assessore provinciale alle politiche sociali, garante dei diritti dei detenuti nonché responsabile del Centro France-scano di Ascolto di Rovigo ed il magistrato di sorveglianza. I complimenti li abbiamo avuti e sono stati graditi.

Da alcune posizioni, la vista del paesaggio era un po’ coperta dalle vele del galeone e alcuni commenti ci hanno portato a cambiare ancora lo scenario il giorno successivo. Via il bel galeone e immediato inserimento di un piccolo rigagnolo d’acqua ed ampliato lo spazio di spiaggia che andava degradando dal deserto verso il centro del camminamento alla base della collina e inserimento di altre statue.

Ora è un peccato disfarlo. Non e’ stato dimenticato neppure l’albero di Natale. Quest’anno era nuovo, con rami più folti. E’ stato adornato pure lui ma con meno filamenti lucidi, solo palline colorate e luci sia fisse che intermittenti. L’ambiente natalizio ora Ok. Yes we can (e’ di moda).

Anche in carcere si vive il Natale, ci crediamo, ci siamo impegnati, ci ha coinvolti e soprattutto ci ha fatto piacere l’attenzione ed il coinvolgimento, diretto ed indiretto, del personale addetto alla gestione della Casa Circondariale, anche se poteva essere solo la curiosità del seguire la costruzione del nostro presepe.

Cosa ne pensate? Accettiamo anche le critiche, sono sempre costruttive.

Grazie per l’occasione che ci è stata data per vivere il nostro Natale da detenuti, ma tutti in compagnia.

[Indice]

Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

IERI, OGGI E DOMANI

Due uomini si incontrano e vanno a sedersi in un bar.

Uno dice all’altro: amico mio, guarda quella donna la che è seduta accanto a quell’uomo,

Ma ieri e proprio ieri era seduta accanto a me.

L’amico disse: eh amico mio, vedrai che domani si siederà con me.

Poi disse di nuovo: guarda come fissa i suoi occhi con amore, parlano e sorridono;

Ma ieri e proprio ieri faceva la stessa cosa con me.

L’amico disse: eh amico mio, vedrai che domani farà lo stesso con me.

Poi disse di nuovo: guarda come scambiano i bicchieri di vino e si scambiano baci;

Proprio adesso stanno uscendo abbracciati come due amanti;

Ma ieri e proprio ieri ha fatto la stessa cosa con me.

L’amico disse: vedrai che domani farà la stessa cosa con me.

Poi disse di nuovo: che strana questa donna.

L’amico disse: non è strana amico mio, questa è la vita che tutti possiedono

E come la morte la abbracciano

E come l’eternità tutti la vorrebbero.

Che strana questa vita.

Un giorno ti abbraccia e un giorno ti attacca come un leone.

Ibrahim Adam Karim

LIBERI COME IL VENTO

Nei pensieri di noi tutti c’è sempre la libertà.

E' normale, è umano.

Ma al nostro risveglio vediamo la realtà: quella è il sogno vero!

E guai se non sappiamo accettare la croce che ci siamo posti sulla spalla.

Bisogna portarla con serenità, con le colpe da noi volute.

A volte “costretti”, ma se pensiamo al vento che ci ha portato questi guai, un giorno se li porterà lontano e quello sarà il nostro momento;

noi in un gioioso evento.

Il vento ci sussurrerà: rivuoi i tuoi pensieri?

"No! - risponderemo - preferisco quelli che mi hai portato via,

sto bene oggi con quelli che mi hai sussurrato".

Gabriele Beccheri

LUCE, CONTRASTO E COMMISERAZIONE

Acri vagiti si diffondono incestuosi nel tempo

Mescolando anime caste che si aggrovigliano tempestose

nel dilemma

Aspidi camuffati palesemente in cerca

del contatto con la forma

Vigilano destinati a frantumarsi totalmente con la risonanza

Povere creature,

tendenzialmente inclini a roteare perennemente "nell’insoluzione"

Mentre urla impotenti si disperano

Fortemente disintegrati dall’eco

Di chi come loro non percepisce suono

Annientato e spazzato via dal dominio

Delittuosamente concepito dall’insabbiamento

Alla perseveranza dell’inferno - Perché cessino le guerre –

Che alimentano la fame - Amplificando la malattia

E quando molti credono di aver fatto tanto

Forse è meglio fare subito qualcosa

Affinché il male si estingua in eterno.

Luce, contrasto e commiserazione.

GRAZIE MAMMA, MIO ORGOGLIO

Solo il tuo affetto fa volare il mio cuore… verso mete fatte di immense dolcezze,

dove riesco a provare ancora… grandi emozioni.

Mamma…

Ad ogni colloquio… la tua presenza, è ciò che da senso e gioia alla mia vita;

e potendo… vorrei fermare lo scorrere del tempo, così scaccerei quella paura che un giorno

questa realtà finisca, così come accade quando si è assorti in un meraviglioso sogno

e un brusco risveglio ci porta a ciò che ci circonda.

Grazie del tuo immenso affetto… Mamma;

grazie di avermi regalato l’esistenza… Mamma;

Sei l’unico mio vero orgoglio… Mamma;

Perdonami Mamma… le volte che per te sono stata causa… di patimento.

Buon compleanno mia adorata Mamma

Con profondo affetto e bene… un bacione

Giulia

IL FIUME DELL'ANIMA

Nel mio profondo scorre un fiume libero, senza mete,

percorre una strada senza fine,

come l’infinito dell’anima che galleggia nell’aria

disperdendosi nell’universo stellare.

Andrea T.

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