«Prospettiva Esse – 2006 n. 1/2»

Indice

  1. Applausi a scena aperta (C. Marani)
  2. Le nostre giornate in carcere (A. Salvagnin e L. Bellan)
  3. Otto marzo 2006 (Cristina B.)
  4. Un drago a tre teste (C. Marani)
  5. La genialità dei Parlamentari (Cristina B.)
  6. La grande delusione (A. Salvagnin)
  7. Fiori per il piccolo Tommaso
  8. Coltura o cultura (Cristina B.)
  9. Il momento giusto delle cose
  10. La musica è libertà (“Free Notes”)
  11. Il tempo si è fermato (L. Bellan)
  12. Attese (Cristina B.)
  13. Un tappeto particolare (Michela)
  14. Voli di dentro (poesie e quant’altro)
  15. Rosa del deserto (da Rossella per Forida)
  16. Finestra sul mondo
  17. Quello che si è detto (D. Zanet)
  18. I ponti festivi (Cristina B.)

 

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Applausi a scena aperta

di Carla Marani

Martedì nove maggio la chiesetta del reparto maschile della casa circondariale di Rovigo ha per poche ore smesso i panni liturgici e si è trasformata in un piccolo teatro in quanto vi è stata rappresentata un’opera di Shakespeare: “Antony and Cleopatra” in lingua originale.

La compagnia teatrale in questione si chiama “Play Group” ed è composta da tre bravissimi attori, due dei quali inglesi ma residenti in Italia e uno di Napoli. Si sono esibiti rappresentando un’edizione dell’opera in versione ridotta, purtroppo, a causa del poco tempo a disposizione. Ma eccezionale perché in chiave “amica”.

Tutti coloro che di noi avevano partecipato al corso di lingua inglese hanno potuto trascorrere una mezzora circa molto piacevole, comprendendo facilmente la recita, in quanto ben animata e rappresentata dagli attori.

I tre artisti, fra l’altro simpaticissimi, sono stati oltre che bravi anche disponibili nel rispondere, alla fine della loro opera, alle nostre domande curiose sul loro lavoro.

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Le nostre giornate in carcere

di Antonio Salvagnin e Luca Bellan

Antonio:

“Vogliamo parlare della nostra giornata tipo in carcere. Anche se per noi può sembrare una cosa ovvia magari chi è fuori non ha idea di cosa si fa da ristretti.

Dobbiamo premettere che ci sono fondamentalmente due modi di vivere le giornate in carcere, quindi non si può parlare di un’unica giornata tipo.

Ci sono detenuti che lavorano, ma sono pochi, ed altri che invece non svolgono alcuna attività ed escono dalla cella solo per l’ora d’aria.

Si comincia alle 7.30 della mattina, quando arriva la colazione e uno può scegliere tra una tazza di latte, una di tè oppure un tazzina di caffè. Alle 8.00 c’è la “battitura delle sbarre”, gli agenti passano e danno dei colpi sulle sbarre per un controllo e per dare una sveglia generale. Dopo esserci lavati e pettinati, c’è chi va al lavoro e chi invece alle 9.00 va all’aria dove si può stare fino alle 11.00. E nel pomeriggio dalle 13.15 alle 15.15. Lì ci si trova in tanti, a volte anche cinquanta persone. E’ un recinto dove dentro si gioca a pallone e anche chi non partecipa può essere colpito da qualche pallonata, perché lo spazio è veramente ridotto.

Altri trascorrono il tempo parlando. In certi istituti di città come Padova e Treviso lo spazio a disposizione è maggiore. Qui sembra veramente una gabbia per i leoni. Piuttosto di andare all’aria ci sono tanti come noi che preferiscono leggere un libro nella propria cella.

Da novembre io lavoro come casermiere, sono addetto alle pulizie. Controllo che nei bagni ci sia la carta igienica e cose del genere. E’ un lavoro di fiducia, che uno deve guadagnarsi con la serietà, l’onestà ed il lavoro ben fatto. In questo modo la giornata trascorre meglio e più intensamente. Si lavorano quattro ore al giorno e c’è la possibilità di guadagnare anche 150 euro al mese. Inoltre 50 euro li mettono in un fondo vincolato in modo che quando uno esce si trova del denaro che gli può essere utile. Da questi soldi vengono detratte le spese carcerarie. Per alcuni lavori come lo “spesino”, si può guadagnare anche di più.

Ogni giorno alle 10.30 arriva un po’ di pane e della frutta. A mezzogiorno invece ci portano il pranzo, una pastasciutta, una cotoletta, diciamo che il menù è abbastanza vario. Poi nelle nostre stanze abbiamo un fornellino da camping ed una bombola a gas che compriamo noi, costa poco più di un euro, per cui uno può riscaldarsi o elaborare i cibi che gli portano, oppure a volte farsi da mangiare autonomamente, io mi preparo anche del ragù.

Quasi tutti hanno una moka per prepararsi il caffè o per offrirlo agli altri. Molte cose appartenevano ad ex detenuti che le hanno lasciate qui. Quasi tutto in carcere viene riciclato. Ci si da una mano l’uno con l’altro. In carcere c’è molta solidarietà.

Alla sera c’è un’ora di socialità, durante la quale uno può fare richiesta di andare nella cella di un altro e passare un po’ di tempo con lui. Oppure possiamo vedere un film.

Per ogni richiesta, c’è da compilare un modulo prestampato”.

 

Luca:

“Io da un po’ di tempo mi occupo di diverse cose tra cui la biblioteca.

Ogni tanto qualcuno mi chiede qualche Codice Giuridico oppure dei dizionari, arrivano richieste anche dalla sezione femminile.

La settimana scorsa una detenuta mi ha inoltrato la richiesta di un dizionario “Italiano – Croato”. Che purtroppo non abbiamo. Tra le necessità c’è anche quella dei vestiti e don Marino, cappellano del carcere, ogni tanto ci porta dei vestiti e questo è molto utile perché quando uno entra in carcere e magari non ha nessuno che gli porti da cambiarsi, rimane sempre con gli stessi indumenti.

Alla domenica c’è la Santa Messa, celebrata da Don Marino e animata con i canti da un gruppo di ragazzi volontari”.

 

Antonio:

“Quando uno entra in carcere gli danno la cosiddetta ‘fornitura’ che consiste in uno sgabello, un dentifricio, uno spazzolino ed una saponetta. Ci sono le docce per lavarsi che sono accessibili un’ora al giorno per tutti”.

Tre volte al giorno passa un’infermiere per dare quanto richiesto, magari un’aspirina oppure altri medicinali prescritti dal medico”.

 

Luca:

“Questa è la giornata standard, ma poi ci sono molti modi di vivere la galera, si può lavorare e partecipare ai corsi riabilitativi, come quello di pittura, c’è l’educatrice per i colloqui. Si può invece vivere la reclusione in maniera apatica, standosene tutto il giorno in cella a parlare con i compagni. Ma è ovvio che così, il tempo non passa mai. Infine, una cosa che può cambiare totalmente l’umore con cui affrontiamo una giornata, è una lettera. Ricevere una lettera è qualcosa di molto importante per chi è ristretto, quando ricevi una lettera vuol dire che da qualcuno sei ancora considerato e che ti pensa”.

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Otto marzo 2006

di Cristina B.

Si mobilitano Associazioni che si occupano delle tante situazioni  “a rischio” con cui ancora e, sempre, la donna si scontra. Protagonista e vittima di condizioni estreme, vissute soprattutto nell’ambito familiare. Violenze che spesso, la donna cerca di nascondere anche a se stessa nei timori di non trovare supporti o, la forza di riappropriarsi della propria identità violata. Il progresso, i mezzi d’informazione, hanno dinamiche veloci ed evolute, ma osservando la realtà singolarmente, si scoprono grandi sofferenze, vissute nel silenzio.

Alcune donne, solidali nel prodigare la loro disponibilità, creando un tessuto attutivo e, offrendo un aiuto morale e psicologico, hanno materializzato e diffuso, una rete di accoglienza, costituita, appunto, dalle varie associazioni.

Qui a Rovigo, tra le tanti operanti in Italia, sono venute a trovarci due “attiviste” del Centro Donna e Giustizia, con sede a Ferrara.

Simbolico l’8 marzo, data che riassume lotte del passato affinché venissero riconosciuti dei diritti nell’ambito lavorativo. Riflessioni condivise in un sereno dialogo, insieme a noi detenute, raccolte nella sala ricreativa. Molti i temi alla ribalta, ultime applicazioni di legge sulla separazione e affidamento congiunto dei figli. legge che, nei fatti, penalizza la donna e, non così equa come è stata dipinta.

Dure realtà di tante straniere, legate a concetti culturali tradotti nella repressione come normale condizione del loro ruolo.

Non abbiamo scordato di citare le numerose mamme che subiscono il carcere, dove la legge, impone di rinchiudere anche i figli, fino ai tre anni e mezzo.

Abbiamo visto gli occhi di quei bambini, veloci nell’apprendere i ritmi del carcere, vispi a riconoscere le persone in divisa e tristi, quei loro occhi, quando vedevano chiudersi i cancelli.

2006 e tante condizioni umane violate…

Beh, nella consapevolezza di chi ogni giorno vive sofferenze e privazioni, noi, donne detenute, abbiamo anche desiderato di condividere alcuni momenti di serenità, accedendo al gustoso carré di pasticcini e improvvisando alcune canzoni, accompagnate dagli strumenti della nostra band e sorridendo della partecipazione del direttore cimentatosi con i bonghi. Un simpatico apprezzamento alla visita delle due amiche, rappresentanti dell’Associazione di Ferrara. E, il nostro ringraziamento, lo rivolgiamo per la puntuale consegna del mazzo di mimose da parte dell’Assessore dei Servizi Sociali di Rovigo. I fiori sono sempre un gradito pensiero. Sarebbe una proposta valida inserire, all’interno della struttura, persone qualificate, sempre nel campo del volontariato, che possano dare delucidazioni e illustrare un percorso alle donne detenute straniere e sole in questo cammino.

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Un drago a tre teste

di Carla Marani

Sedute su di una panchina, in un pezzetto di prato e qualche albero attorno. Ogni giorno puntualmente ci ritroviamo..

Puntualmente? No, solo quando siamo fortunate che ci venga permesso, e sperando che il sole, o il bel tempo si sia anch’esso concesso.

Respiriamo un po’ d’aria, e buttiamo qualche parola, ma il nostro sguardo spesso si allunga fino a quel muro, dove il nostro guardare rimbalza, dove si fermano i nostri sogni e le nostre speranze… e continua l’attesa; questo “Drago a tre teste” che ci divora dentro, che ci toglie il respiro, che sembra non finire mai. Questo “Drago” di me tutto divora, sentimenti, pensieri, parole. Solo una cosa resiste, il mio cuore, che ancora combatte contro l’odiata e sofferta attesa della libertà. Perché l’amore che il mio cuore contiene, riesce ancora a curare le ferite di migliaia di attese in questa vita, dove tutto sembra farsi aspettare…

Naturalmente parlo dell’attesa di chi è chiuso fra quattro mura, per pagare un errore o per curare un proprio male. Ma ci sono attese diversamente felici, e importanti, come l’attesa di una vita che nasce, o quella di un amore che torna, di un’amicizia che cresce, o l’attesa di un’agognata pace, dopo lunghe ed inutili guerra.

Si, forse questa e l’attesa più bella e la più irraggiungibile: la pace del mondo. Quando vedremo le genti diverse fra loro, camminare uniti per mano, senza più odio nel cuore, e senza obiettivi diversi, ma uniti nel medesimo amore, forse l’attesa sarà finita e parleremo con la voce del cuore.

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La genialità dei Parlamentari

di Cristina B.

Sarà capitato a qualcuno di seguire le discussioni durante gli incontri alla Camera o Senato, oppure di sentire le opinioni dei rappresentanti politici nelle interviste o nei programmi televisivi.

In mezzo a teorie eloquenti si intoppa spesso in sparate senza cognizioni specifiche né considerazioni sulle realtà e conseguenze che, per “lor signori”, sono convinzioni. Hanno coraggio davvero, questi professionisti, comunicatori di concetti d’effetto, almeno quando salvaguardano il loro spazio politico, sciorinando proposte singolari.

Assurde talvolta come nel caso della legge “Giovanardi Fini” (in vigore dal 27 febbraio 2006), in tema di stupefacenti. Semplificando i concetti contenuti nelle 34 pagine di emendamenti, è sufficiente ricordare il limite di tolleranza all’uso personale, posto entro 23 spinelli… Un esempio esaustivo, assurdo e coraggioso al tempo stesso!

Belle, poi, le grandi strutture allargate a gestioni privatizzate che si basano sul profondo concetto d’aiuto terapeutico affidandolo al vasto giro economico che scaturisce nella pratica.

I dati forniti dalle Comunità spesso nascondono l’alto tasso fallimentare sugli intenti, palesati come efficaci risultati, nel miracolo all’astensione perpetua all’uso di droghe, un rifugio protetto dalle tentazioni…

Sono previste, nella normativa in questione, agevolazioni sul riconoscimento riabilitativo nel contesto sociale, l’alternativa al soggiorno in carcere e fino a condanne di sei anni. Questa proposta, letta dall’esterno, si presenta in modo alettante, ma è il caso che i consumatori di sostanze stupefacenti si informino e meditino…

Dichiararsi anche saltuari fumatori di canne innesca il meccanismo della segnalazione alla Prefettura per quanti hanno la patente, con relativi controlli medici presso gli Enti di verifica e, in pratica si torna ai tempi antecedenti alla Gozzini.

L’effetto che producono simili scelte sono come di un gambero mentre ripercorre un tratto che pensavamo d’aver ampiamente superato!

E poi, questa frenesia di concludere questo idilliaco disegno di legge al grido “prevenzione repressione”, in concomitanza alla discussione sugli investimenti per le Olimpiadi invernali a Torino, ha un gusto associativo di gran classe.

Di pari passo si compie un altro scempio con la promozione della Cirielli, in vigore da novembre, ancora poco chiara nella discrezionalità d’applicazione, “Legge ammazza Gozzini”.

I Giudici stessi sono in disaccordo nella decisione esecutiva, poiché consapevoli del notevole aumento delle pene e sconcerto vi è anche fra i legali, peraltro. Aggravi di pena considerando reati precedenti, anzi, su condanne già scontate che davanti ad un nuovo procedimento, prevedono aggiunte, e non di poco rilievo!

Insomma, pare inesorabile il fallimento di questo giustizialismo, confortato dalla certezza della pena che aumenta la disumana condizione dei detenuti sempre più numerosi in ogni struttura. Incontenibili i costi, evidenti le carenze di personale, di operatori e di assistenza sanitaria.

Un miraggio il lavoro per un dignitoso sostentamento.

Logico epilogo se l’Italia s’arrampica sugli specchi cercando di tamponare gli ammanchi del debito pubblico, togliendo dove già non c’è o aumentando i generi di prima necessità.

Eppure si investono capitali per sostenere l’intervento in Iraq, spendendo in nome della guerra combattuta in “casa d’altri”…

Cosa rimane alla classe più povera se non ulteriori privazioni, propinate dalla nostra società. E cosa possiamo intravedere per coloro che sono vittime di questo sistema, obbligati ad una severa modalità nello sconto di una pena? A questo punto, riponiamo quelle speranze di cambiamento, nei fatti sempre annullate per interessi pratici su quelli razionalmente cognitivi e di coscienza, nella sferzata della nuova corrente politica al Governo!

E, sperando, sperando, stiamo sempre scontando dentro strutture che “sono al collasso”.

Mentre piovono le ordinanze di sentenze esecutive, datate anche dieci quindici anni prima, riconducendo in carcere molti che, nel frattempo, s’erano ricostruiti un’esistenza tranquilla.

Meditiamo… Meditiamo… Quale il senso di tali condizioni e modalità?

Merito della “genialità” dei nostri Parlamentari, semplice!

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La grande delusione

di Antonio Salvagnin

La marcia… tanti discorsi sui giornali, radio e tivù. Promesse, illusioni. E noi carcerati? Pazienza! Ho letto un bellissimo articolo su Famiglia Cristiana firmato da Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani del carcere .. dice cose molto sagge, ad esempio parla che è necessaria un’amnistia per i reati non gravi, non condonabili per 2 anni almeno! Cosa che permetterebbe di fare uscire dai 20 ai 25 mila detenuti, portando le capienze delle carceri a livelli tollerabili. Cosa che sarebbe passata se certi parlamentari non avessero fatto un voltagabbana generale. Non è giusto illudere la popolazione carceraria con le marce e poi astenersi in aula. Solo la Lega Nord è sempre stata coerente, sbagliando e usando una severità assurda, con la loro certezza della pena. Ok certezza della pena ma non tortura, signori! Come dice l’articolo 1 dell’ordinamento penitenziario, il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona, cosa che purtroppo nella maggior parte delle carceri non esiste, soprattutto per il sovraffollamento dei penitenziari vecchi e decadenti.

Il sovraffollamento è un problema che coinvolge anche gli agenti della polizia penitenziaria, nonostante la stragrande maggioranza di loro siano persone molto umane, e spesso ascoltano le nostre lamentele come degli psicologi. Almeno ci aiutano a scaricare un po’ la tensione e, si sa, parlando con qualcuno dei nostri problemi ci sentiamo meglio, ed è un grande aiuto morale ed umano (un grazie di cuore assistenti!). Per quanto riguarda i volontari esterni, sono molto riconoscente a loro, ma trovo siano inutili, o quasi, perché non hanno mezzi. Non ci sono case, lavoro, alternative o poco per ciò che servirebbe realmente. Un’alternativa al carcere? Lo so, non è facile trovare una soluzione per tutti i casi, molto differenti uno dall’altro. Quello che penso io, ma anche molti miei amici che si trovano qui, è che un gesto di umanità da parte dei signori politici, non potrebbe che fare il bene di tutti. Dentro e fuori, per i familiari, gli amici e per gli agenti penitenziari. Il carcere cambia le persone nel bene e nel male. Se sei buono ti incattivisci, peggiori, se sei cattivo lo diventi di più, con le conoscenze interne, la sofferenza, l’odio, il rancore! Ma esistono le persone cattive? Io non credo perché se ci fosse più giustizia per tutti, ricchi e poveri e più lavoro per tutti, sicuramente ci sarebbero meno reati cattivi e forse meno tossicodipendenti. E’ una mia idea, ma credere in Dio mi dà una forza “sovrumana” cercare l’etica a tutti i costi, fare del bene a chiunque, bianchi, neri, stranieri ma nostri fratelli. Provate anche voi… Cercate Dio, vi accorgerete di essere più leggeri con la mente e vi sentirete avvolti da un senso di beatitudine per tutta la giornata. Provate anche voi.

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Fiori per il piccolo Tommaso

 

Lo scrittore francese Tristan Bernard disse: “Mi sorprendono l’intelligenza delle bestie e la bestialità dell’uomo”. E bestiale appare tutto ciò che non riesce ad avere un senso quando di mezzo ci vanno degli innocenti. Probabilmente è vero che c’è male e male.

C’è il male di coloro che rubano, che truffano. C’è quello di chi uccide inermi bambini. E che dentro ha una tenebra talmente profonda da apparire senza rimedio.

E ci sono coscienze e coscienze. Quella di chi non prova rimorso e quella di chi non riesce a restare indifferente dinanzi al dolore. E’ la coscienza dei detenuti del carcere di Rovigo, scopertisi vulnerabili e fragili davanti alla tragedia della famiglia Onofri e alla barbarie che ha falcidiato, ad appena 17 mesi, Tommy. In occasione del funerale celebrato a Parma, da Via Verdi è partito un mazzo di fiori, accompagnato da una lettera. Destinatari sono i genitori del bambino: “Tommy ora è sereno al fianco del nostro Signore Dio – si legge nella missiva – ma a noi rimane il dolore di una sofferenza senza limiti e con essa dobbiamo convivere per tutta la vita. E’ difficile ma ce la faremo. Al plurale. Perché insieme a voi soffriamo anche noi. Noi detenuti e detenute del carcere di Rovigo, che del male ne abbiamo fatto e subito, ma l’efferatezza ed il male di esseri senza definizione non passano indifferenti alla nostra rabbia di uomini e donne.

Con tutto il nostro affetto vogliamo esservi vicini ora, nel momento più difficile, e solidali con un dono al piccolo Tommy di fiori bianchi per l’innocenza e le rose per la mamma e il papà, segno d’amore. Che sia per sempre. Sappiateci vicini in questo doloroso e triste momento”.

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Coltura o cultura

di Cristina B.

Partendo da una individuale valutazione del livello culturale, osservandoci attorno, certo il termine cultura risulta ardito. Stiamo comunque parlando di persone detenute.

Diciamo piuttosto vi sia molta cultura illustrata nelle provenienze etniche o, estrapolate nel bagaglio di ognuna, a prescindere dalla nazionalità, diversità degli interessi coltivati, appunto.

Trovare un punto d’incontro tra scambi, paventati di cultura e la coltura, prevalente su visioni più spicce e venali, è un dilemma. Dilemma che avvolge come una nebbia soporifera, acutizzando l’atrofizzarsi dei poveri neuroni, anche quelli che ancora danno segni di reattività. Non si può certo affermare che la cultura si possa assimilare attraverso un’iniezione immunitaria alla demenza! Ma, uno sforzo allo stimolo di un mezzo che arricchisce e sviluppa le conoscenze oltre alla coltura di aspetto asettico, merita d’essere incrementata.

Incentivata, qui nella piccola realtà di Rovigo lo è, con molta disponibilità e la passione verso il nobile senso artistico, grazie al maestro Giuseppe Pietroni. Convinto del forte mezzo comunicativo che ognuno può esprimere nel linguaggio in versi o da quanto l’animo ispira. Conosciuto per altri impegni nel sociale, il maestro Pietroni si è affezionato a noi detenuti in questo tipo di interscambio, scoprendo in ognuno qualcosa che arricchisce vicendevolmente. Un personaggio atipico nella sua pacata costanza, proiettato in una dimensione assorta, in toni d’artista, poeta, tanto da porlo sopra ad ogni “schizzo” che il mondo reale propone. Non s’intravedono né frenesia né rincorsa a beni materiali, semplicemente il piacere di condividere le bellezze che lui sa scorgere dentro ad ogni verso scritto. Sicuramente dobbiamo dare atto alla intraprendenza del suo viaggio dentro ad un carcere. Considerando anche le iniziative, appoggiate dalla direzione, nei vari incontri sulle tematiche letterarie, poetiche, giornalistiche e pittoriche.

Peccato si debba riconoscere che in carcere si respiri una prepotente coltura, mentre la sublime contemplazione della cultura sia un dono, al quale pochissimi, danno rilievo, perché? Semplicemente perché la coltura è di più facile accesso. E’ l’accesso al soporifero avvolgimento nebuloso del “non sapere”, la scelta di essere coltori ma non di cultura!

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Il momento giusto delle cose

 

Che triste! È arrivata la risposta per il mio permesso, me lo hanno rifiutato perché la mia sintesi non è ancora chiusa. Ancora una volta, mi sento poverina. La mia sfortuna non è ancora finita. Oggi è il 15 marzo, e tra dieci giorni completerò i miei due anni di carcere. Non so se sia giusto. Ho seguito le regole del carcere, ho seguito le regole dell’umanità finché posso e lo so che ce l’ho fatta (se non tanto bene ma almeno credo, abbastanza bene). Ho combattuto le mie debolezze, i miei difetti, per essere nel giusto cammino. Ma perché dopo due anni trascorsi qua, sono ancora così sfortunata? Io ho provato a sentire il mio cuore: “arriverà il tuo tempo”, “c’è una ragione per ogni cosa”, “anche se tu non lo capisci adesso, lo capirai un giorno”, “abbi fede che tutto confluisce per il tuo bene”…

Che belle risposte! Ma sono ancora triste perché posso ribaltare queste risposte con nuove domande come: “Quando arriverà?”, “Quando capirò?”. Finché cadono ancora le mie lacrime, risuonano le parole di qualcuno che mi diceva: “Non piangere, fai la brava”. In quel momento sembrava solo una parola, una semplice parola, ma adesso che piango, sembra un’arma per bloccare le mie lacrime.

E subito una scintilla di luce è uscita dalla mia mente. Forse è così: è stata respinta la mia richiesta perché il direttore della mia vita, che è Dio, sa quale è il tempo per me per uscire anche solo in permesso. E adesso sembra solo una lunga e scomoda giornata.

In qualche modo questa risposta negativa mi servirà, alla fine, e in quell’ora capirò ancora una volta che per coloro che amano e si fidano di Dio, tutto confluisce nel bene.

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La musica è libertà

di “Free Notes”
(Rossella, ..., Celeste, Cristina, Kelly, Michela)

In occasione della manifestazione Civitas 2006, svoltasi in Fiera a Padova, il 5 e 6 maggio, mi è stata concessa l’opportunità di partecipare come rappresentante del complesso “Free Notes” con l’associazione “Viaggiatori Sonori”.

Non nascondo il dispiacere che ho provato quando alle mie compagne è stato notificato il rigetto del permesso, in quanto noi, come gruppo musicale, avremmo dovuto esibirci tutte insieme. Il Magistrato ha ritenuto opportuna questa scelta, (spero solo momentanea), visto che nel mese di luglio ci sarà una manifestazione e vorremmo esserci tutte. Speriamo il magistrato riconsideri il tutto, dando spazio e soddisfazione al gruppo musicale, dato che è quasi un anno che noi ragazze lavoriamo con grande impegno, e che, a parte la leader, nessuna di noi sapeva suonare o cantare.

Il bello di questo progetto è che noi porteremo all’esterno di queste mura la volontà dei detenuti nell’inserimento socio-culturale, esprimendo con la musica ed il dialogo le condizioni degli stessi; infatti, fuori, la gente comune, la “massa” come meglio vogliamo definirla, pensa che “detenuto” equivalga a gente da tenere chiusa per sempre. Purtroppo, tristi sono le note di cronaca su ignobili delitti che la televisione e i mass media in generale ci “sbattono” 24 ore al giorno. Con me c’erano anche i ragazzi detenuti al “Due palazzi” di Padova, con il loro gruppo musicale.

È stata una mega maratona di tutti i generi musicali, dalla ritmica al gospel, alla folkloristica, alla popolare, ecc…

La musica è l’elemento che unisce ed accomuna popoli e civiltà, perché non c’è differenza di lingua, colore o nazionalità. La musica è universale e da gioia a tutti, soddisfazione a chi la pratica e a chi l’ascolta. Noti musicisti si esibiscono in varie manifestazioni per raccogliere fondi a favore dell’Africa o per altre situazioni di disagio nel mondo.

Quindi quando c’è questa grande ed importante opportunità, di dimostrare che anche noi detenuti, pur essendo categoria disagiata, sappiamo dare il nostro contributo, con le capacità creative e costruttive, sensibilizzando su tematiche sociali, lasciatecelo dimostrare!

Ci auguriamo che per l’anno prossimo la Provincia voglia stanziare i fondi per il nostro corso perché Rovigo è una piccola realtà carceraria, ed il corso di musica è il modo migliore che ci sia per superare la fatica di vivere la reclusione, e siamo sicure che il nostro direttore il dott. Cacciabue, farà tutto quanto in suo potere perché tale attività non venga sospesa per mancanza di fondi. Sarebbe come uccidere un sogno che ci fa sentire meno diverse e più libere!

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Il tempo si è fermato

di Luca Bellan

Il tempo si è fermato quasi cinque anni fa. Si è fermato a riposare per quasi cinque anni. Sono tanti. Troppi al punto che anche il tempo ora si sta risvegliando. Anche il tempo ha il suo ritmo ed ora si sta ridestando per riprendere il suo regolare cammino. Sicuro che questa sua pausa abbia ossigenato il suo essere. Rinfrancato mi sta chiamando a prepararmi che prendendoci per mano, insieme in un tutt’uno camminiamo, camminiamo la stessa strada lunga, tortuosa, ma assieme. Riposa tempo, fra poco mi chiamerai ed in quel allora sarò pronto per ripartire assieme. Come lo è sempre stato.

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Attese

di Cristina B.

Proiettate nel corso dell’esistenza di ognuno, molteplici sembianze può proporre il sapore dell’attesa. Nel momento in cui la tua esistenza entra in collisione-immersione con il carcere, vive la proiezione dilatata di tempi senza definizione e l’attesa si dilaziona inesorabile.

Attesa in ogni piccolo spostamento per svolgere le più banali necessità quotidiane.

Apertura cella, arrivo agente, doccia, consegna del vitto, sopravitto (spesa acquistata internamente), attesa per accedere ai passeggi, preceduta da quella dell’agente e dell’apertura cella. Attesa del medico, nel passaggio fra la chiamata da parte dell’agente.

Attesa per scendere in sala colloqui o per effettuare le telefonate settimanali.

Attesa delle risposte alle “domandine”, via ufficiale per accedere a qualsiasi richiesta e colloquio con i vari operatori preposti nel trattamento d’osservazione o consulenza.

Sequenze infinite attinenti ai movimenti interni del carcere.

Il perno delle attese si concentra sullo svolgimento delle procedure giuridico legali.

Fissazione udienza per la “convalida”, attesa di risposte che capovolgono tale disposizione, quegli arresti domiciliari che non vengono concessi.

Attesa per il ricorso al “riesame” presso il Tribunale della libertà .

Questo l’iter ordinario ma, se ogni attesa ti ritrova ancora in carcere, inizia, quindi, l’attesa per la fissazione del processo, attesa che quella data arrivi.

Incertezze sull’epilogo, attese se vi sono date di rinvio e, poi, pare si giunga ad una prima tappa. Dipende se si aspettano altre pendenze sospese e, se si scelgono altri gradi di giudizio. Sempre da aspettare c’è, questo è scontato!

Quel giorno, quando la tua posizione giuridica diventa, come si dice, definitiva (quindi la sentenza ha effetto esecutivo), aspetti i tempi per inoltrare il periodo scontato nei termini della “liberazione anticipata”. E nell’attesa della risposta, calcoli tempi e fasi che possano attenuare il tuo soggiorno in carcere, scandagliando fra le misure alternative…

Per quanti hanno le opportunità di puntare alla discussione in Camera di Consiglio, sempre producendo relazioni e documentazioni ben specifiche, l’attesa diventa ansia, alimentata dai tanti timori di un diniego.

E, nel frattempo, assorbi anche le ansie dei vari coinquilini della struttura. Che stress! Alla fine è più saggio affrontare senza affanni, quel che, a priori, ti pone in balia di tempi privi di logica.

Attese…

Varia la proiezione nell’investire la qualità del tempo qualora le attese si dilatino, nel caso in cui si hanno anni di condanna da scontare.

Se ne presuppone uno svolgimento in strutture penali, sempre strutture di reclusione, ma più idonee ad impostare attività costruttive a se stessi nel colmare le fottute, lunghe, attese di anni di galera.

Circondariali o giudiziari, contemplano condanne fino a cinque anni e quattro mesi…

Ma ancora persistono subissali condizioni ad avallare il concetto di una condanna in modalità dignitose e moralmente edificanti. Si spengono, tra il grigiore dei muri, le tonalità più accese, legate ai normali istinti reattivi o propositivi. Galera è sempre galera, si suol dire, ma cambia, cambia totalmente lo spirito di chi se la deve fare fra quelle incertezze pregne di attesa e la staticità di celle chiuse con troppe persone che si spartiscono spazi e tolleranza in una convivenza non scelta.

Questo è un triste esistere, rafforzato soltanto dalla capacità del singolo che anela il passaggio delle attese senza rimbecillirsi del tutto.

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Un tappeto particolare

di Michela

Le culture si intrecciano come filamenti nell’immenso tappeto

colori frizzanti, colori tenui, colori accesi,

significativi per ognuno di noi ma alquanto inverosimili, da portare nel cuore

per la loro bellezza nell’insieme dell’immensa tristezza, rabbia, solitudine

e ancor più trasparente si vedono l’ipocrisia, la volgarità, l’invidia e la cattiveria.

Difficile la condivisione ma è l’umiltà che affiorerà alla fine

per poter filare il nostro tappeto.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

LA SERENITA’

Camminare nel giusto

appaga l’animo anche quando

le risposte dei gesti scorretti

non ripagano …

Pagarne le penalità protrae

i tempi di realizzazione

del “dovuto”

nel rispetto di quel “giusto” …

Molti consigliano l’astensione

dal sottolineare o esprimere opinioni

e ancor più critiche.

Altri aggiungono che il fine

giustifica i mezzi;

ma se i mezzi non rientrano

in modalità corrette, giungere al fine

non interessa a chi cammina nel “giusto”

possibile moderare le esplicazioni,

possibile evitare di sottolineare

ogni sfumatura,

possibile ascoltare un silenzio d’oro

come il bel tacer che non fu mai scritto ….

tutto è possibile …

Devo ricordarmelo. Anche se

per me è un arduo esercizio

potrebbe essere una disciplina

e ogni disciplina applicata

porta al rafforzamento

del proprio autocontrollo

Si ma sempre camminando nel “giusto” …

It’s better to think that wey say

Then say every thing we think.

Cristina

MAI PIU’

Non mi vedrai mai più...

Passeggiare con gli occhi a terra,

o alzarli al cielo

sognanti di libertà ...

Non mi vedrai mai più, cercare un altro viso

in un giorno nuovo,

per illudermi di non essere più qui.

Non vedrò mai più sprazzi blu-azzurri

passare davanti all’unica uscita

che il mio sguardo fissa ogni ora ...

non sentirò mai più lo stridore di certe voci

che battono e ribattono

né quel rumore indimenticabile

di un ferro che corre su ferro,

non dimenticherò mai più le buone

e le cattive parole

che hai inciso nella mia mente...

gentilmente o indifferente...

non mi vedrai mai più... agente!

Carla Marani

FANTASTICANDO... IL MARE

Tavolozza di mille colori sgargianti,

con miriadi di sfumature.

Nuvole di coriandoli pesciformi.

Fondali, regno di tesori e meandri inimmaginabili.

Ecco canti e suoni di musici pinnati, e l’impeto della furia tempestosa,

completa con tonfo sordo la sottostante sinfonia, ora forte, ora d’onde che pettinano il mare.

Nell’osservare si plasmano sensazioni estasianti, che nell’animo s’accende il fantasticare, ove odo il richiamo di femmine ibride., che mi accompagnano nell’abisso più profondo, dove mistiche mura le danno dimora.

É dunque l’Atlantide?

Ora il mare mi è ancora più dentro, lo assaporo ancora un po’.

Ora mi desto, sorrido contento e nel rincasare

mi porto l’essenza fantastica del mar.

Paolo Brancaleon

LA RINASCITA

Sono uscito dal grembo del tempo

E togliendomi le vesti della metamorfosi

Arranco nella fragilità

Scacciando gli spettri del passato

E ancora non mi ritrovo

Vivo passivamente, e un amore allevia

L’arduo intento

E mi allontano ancora dall’aberrante

Utopismo della negazione della vita

Ricevendo finalmente emozioni autentiche

Come il bimbo d’un tempo che tutto nutriva

La dimensione dell’essere

Come io nutro ora la rinascita

Non v’è più paura di ricadere,

solo timore di Dio

per rivivere nell’immaginabile

mistero dell’eternità

Paolo Brancaleon

ORA LEGALE

Sembra che le giornate si amplifichino, anzi

è la luce a donare una dilazione

di un tempo

che invoglia ad essere riempito.

Le prime ore del mattino

si annunciano con il canto

dei volatili nell’intreccio dei

loro giri dopo essersi destati.

Nel pomeriggio, il sole, sembra non abbassare mai

la sua collocazione in alto nel cielo

e la sera ancora l’armonia degli uccelli

mentre il crepuscolo è lontano…

Sei prevalsa da rinnovate energie,

desideri gustarti qualche scorcio panoramico,

incamminarti lungo una via del centro storico

calpestando i lastricati nel rimbombo attonito

dei tuoi passi.

Molte sono le voglie che ti attraversano

la mente e l’animo…

Si, ma tu rimani chiusa in una cella

E ti chiedi a che serva l’ora legale!

Una tortura psicologica per i reclusi?

Va bene, somatizzi tra la compressione

di muri sordi al tempo e alle stagioni

le represse nostalgie

di quel che ora ti sfugge…

Vincente è la tua essenza, immune

a questa tortura!

Cristina B.

LODE ALLA DONNA

Donna, grande elemento, complementare

All’uomo nell’equilibrio

E complementare a se stessa.

Donna provocatrice, intrigante con le

Sue arti seduttive, fedele ai suoi

Ruoli quando ama e

Capace di stravolgere situazioni

Forte del suo fascino.

Protagonista della storia nelle dispute

Politiche e di potere

Giocando nei ruoli d’amante

La donna, centro dell’universo, sempre

combattiva, sottomessa dalla pura

ignoranza sposata alla violenza

dell’uomo

e risorsa d’energie e

d’amore infinito

La donna, evocatrice di grandi

ceppi familiari, tipicamente matriarcali

Emersa da ruoli marginali

negli anni ‘70, espone la rivalsa

sulla disparità sociale

verso l’uomo.

Donna, ammaliatrice nel suo

stile raffinato

decisa nelle doti comunicative

Rincorsa di se stessa per coltivare

capacità intellettive, manageriali, artistiche

mantenendo l’esigenza di essere

anche, sempre, madre, amante, amica, donna!

Cristina B.

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Rosa del deserto

da Rossella per Forida

Come fuscello al vento

Profuma di Rosa The pelle ambrata capelli neri come la notte, sguardo dolce e sofferente di chi ha mille percorsi impervi carichi di dolore…

Questa è lei… “Omeri”… ma quando la guardo, scrutandone l’anima, m’accorgo che non esiste poesia migliore degli occhi che ho di fronte.

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Finestra sul mondo

 

Mi affaccio e cosa vedo? Il custode dell’Eden ha fatto scempio. Meditando con l’io più profondo mi do l’infausto responso: solo ovunque orrore e guardando di notte la giungla di asfalto, vedo furtivi automi che cercano la pozione della morte, e niente cambia perché le urla del povero non le ode l’uomo ma solo Dio. E da lontano mi giunge lo scoop del terrore, crollano due guglie nella culla del potere. E l’ostile e incertezza. E di guerra dove si dà e si riceve morte. E che infamia far cucire palloni ai bambini che non giocheranno mai. E la tua follia ti ha scatenato contro la furia inesorabile degli elementi, dandone ancora esito morte. E mi affligge ancora più sapere che sangue uccide sangue. Ma che c’è nell’aria? E’ forse l’inizio della fine? Ehi, uomo, non rincorrere più l’ignoto, fermati e guardati dentro, rinnega il male, colma l’animo d’amore come ti donò nel remoto colui che creò il mondo non ancora perduto.

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Quello che si è detto

di Donatella Zanet

Riguardo a quello che di tanto in tanto si è detto delle carceri, vorrei precisare che ogni struttura è un caso a sé. Variano le nazionalità; un regolamento è imposto a discrezione della direzione. Ritengo che ci siano strutture del tutto differenti tra loro.

Personalmente, avendo una lunga pena inflittami più volte per motivi ed esigenze personali ho richiesto tramite un’istanza di trasferimento verso strutture più idonee e adeguate considerando le carenze di spazi e situazioni ricreative di questo istituto, e sentirsi rispondere con rigetto che: “questa struttura è pari a tutte le altre”.

Sono delusa sul rigetto di trasferimento e del tutto contrariata di questa situazione.

Mi domando come è possibile che un provveditorato ignori delle problematiche, carenze di cose e di fondi, pertanto con quale criterio, dandomi una simile risposta, senza valutare la particolare situazione.

La mia opinione è che non è possibile paragonare questo istituto ad un altro, per il semplice motivo che ogni carcere è una storia a sè, sia nell’architettura che negli spazi, nelle persone che lo popolano e per molto altro.

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I ponti festivi

di Cristina B.

Come si organizzano i weekend unendovi le giornate festive che “cadono” lunedì o martedì? Si può puntare a qualche gita fuori città, un approccio verso zone di mare o, vagliare la visita in qualche museo.

Mentre scorrono le immagini dal tubo catodico, nei servizi di cronaca, i flash più frequenti sono le lunghe colonne di coda in prossimità dei caselli autostradali e le riprese di incidenti rocamboleschi che spezzano la gioia della gita festosa e, spesso, le giovani vite di amici o famiglie, nel groviglio delle auto accartocciate. Cavolo, sinceramente non trovo molto divertente il pazientare chiusa in macchina, avanzando a passo d’uomo…

Che piacevole visione, un rilassante passaggio per “timbrare il cartellino”, all’insegna del ponte festivo, fieri di raccontare, al rientro “c’ero anch’io!”.

Poco gradisco queste modalità di spostamento e, in particolare, preordinate in forma massiccia. Così, mentre scorrono le immagini propinate dai media televisivi, continuo a sviluppare, con il power della mente, viaggi e spostamenti, ben distesa sulla branda, rigorosamente ortopedica, inclusa nell’arredo dell’hotel a 4 sbarre!

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