«Prospettiva Esse – 2005 n. 3/4»

Indice

  1. Quegli auguri alla città
  2. La ciliegina sulla torta (Cristina. B.)
  3. Consiglio d’amore (C. Marani)
  4. Una scoperta di nome “Lucky” (Valeria)
  5. Ed ora vivi con quella paura (Valeria)
  6. Quell’atteso soffio di vento e di libertà (Jany)
  7. Le mie gocce di cristallo (Valeria)
  8. La via della bellezza (Oreste)
  9. Politica e giustizia
  10. La buona educazione (Cristina B.)
  11. Ridateci la speranza (Rossella P.)
  12. Il mio amico musulmano (Antonio)
  13. Voli di dentro (poesie e quant’altro)
  14. Notizie dal mondo degli esclusi (M. Cocchi)
  15. Camminare sul ponte del perdono (Oreste)
  16. Hanno arrestato il sole, la luna e la stelle
  17. Con gli occhi di una madre (Donatella)
  18. Ogni cosa è una benedizione (Oreste)

 

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Quegli auguri alla città

 

In occasione del Natale 2005 i detenuti della casa circondariale di Rovigo hanno spedito una cartolina di auguri indirizzata agli abitanti della città, richiamando la loro attenzione sulla realtà del carcere,

un luogo collocato nel centro storico eppure così lontano, nascosto e a volte troppo ignorato.

Siamo le donne e gli uomini detenuti

nella Casa circondariale della città e scriviamo a voi, persone libere,

confidando nella sensibilità e attenzione nei nostri riguardi, in quanto,

anche se il carcere di Rovigo si trova nel centro del capoluogo,

noi ci sentiamo una realtà estranea!

L’esilio del carcere, in effetti, rende il tempo di detenzione una

ulteriore afflizione,

aumentando l’emarginazione dal territorio e l’allontanamento delle famiglie e dagli affetti,

anziché essere un’occasione di recupero e reinserimento sociale.

Chi è recluso è lo stesso parte della società e ha, per questo, la necessità di mantenere il contatto con chi sta fuori!

Abbiamo, perciò, un forte desiderio di poter incontrare quanti fra di voi sono disponibili ad intraprendere un dialogo con noi.

Da parte nostra lasciamo aperto ogni spiraglio per condividere

proposte, idee e soprattutto un confronto umano attraverso il quale arricchirci reciprocamente,

noi detenuti e voi cittadini.

Cogliamo l’occasione per augurare a tutti un sereno Natale.

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La ciliegina sulla torta

di Cristina B.

Il soggetto, motivo di disputa, ragione contestata, discussa, argomentata, esagerata all’eccesso è “la torta”.

Paradossale associare un innocente, antico piacere gustativo da condividere quale momento di calore ed allegria con la negazione assoluta di prepararle e sfornarle per tutte noi! Tale minaccia si è palesata una sera mentre banchettavamo l’ennesima creazione di Celeste rientrata dal lavoro in cucina. La cucina del carcere offre dove spaziare nell’impegno pasticciero, nulla di più ovvio, spignattare nei ritagli di tempo sulla tabella di marcia ministeriale accendendo una dolce attesa da parte nostra, su in cella.

Impossibile intravedere una qualsiasi artefice di reazioni contrastanti a un simile agire, talmente trasparente nella sua innocenza. Questo è il sentimento che ha accompagnato noi durante le discussioni sugli ingredienti da includere all’esordio di ogni ricetta vogliate. Dove si annida l’astio promotore di accuse infondate esposte modestamente da un unico individuo? Contestazioni basate sulla non conoscenza, sovrapposta ad atteggiamenti che non sono giustificabili, come le esternazioni.

Quel che ci ha lasciato sbalordite, preso atto della difficoltà di convivenza in un ambito collettivo per alcuni elementi, sono state proprio le reazioni delle agenti. Hanno amplificato un fatto fine a se stesso che una valutazione super partes avrebbe isolato e ignorato, soprattutto ignorato. Senza sorprenderci troppo davanti al significato dell’applicazione dei ruoli, la decisione di sospendere la distribuzione di gustose torte, ci ha lasciato un’amara delusione. C’è stato un notevole aumento di acquisti dopo l’episodio, nei generi di base, come lievito, fecola di patate, vanilina, tanto zucchero e pacchi di farina. Dalla cella del primo piano e del nostro, molte compagne hanno sostenuto le spese per qualcosa che ci accomunava nella semplicità di una porzione di torta.

Sorge spontaneo riflettere sull’esercizio del potere decisionale quando, in carcere, piccoli gesti hanno un grande effetto, alimentando quella tensione che in questi luoghi si ha difficoltà a stemperare, e rischia di discreditare i concetti rieducativi.

La torta nel caso specifico è una metafora delle negazioni subite, mentre la ciliegina sono le futilità propinate come in un buon esempio che, onestamente, non riteniamo esserlo.

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Consiglio d’amore

di Carla Marani

Sono Carla, un bacio a tutti quelli che leggeranno questo giornalino, un bacio fa sempre bene…

Non voglio raccontare la mia vicenda, perché non è per questo che mi rivolgo ai lettori di questo giornale, ma vorrei lanciare un messaggio, un consiglio a tutti i detenuti e a tutte le detenute che lo riceveranno. E’ un’idea basata sulla mia esperienza personale, vissuta in carcere, anche se per poco tempo, ringraziando Dio. Quando mi sono trovata tra le mura infelici di questo luogo, un anno fa, credevo di impazzire, non riuscivo a farmene una ragione, e tutta la mia forza mi stava lasciando. Mi rendevo conto di essere più fortunata di altre e di avere chi, fuori di qui, mi aiutava, una famiglia presente e un futuro che mi aspettava comunque. Ma dentro a questi luoghi, si sa, siamo tutti uguali, tristemente recluse, ugualmente infelici. Io sono una persona che deve sempre creare, scrivere, dipingere e così in poco tempo (in poco meno di un mese) ho tappezzato la mia cella e anche molte altre, di soli, stelle, dipinti e creazioni varie che rendevano un po’ felici me e le compagne. Ma non mi bastava più, sentivo che il mio cuore era ancora gonfio di sentimenti, la mia testa ancora troppo ferma sul pensiero di non essere libera… un pensiero che ti logora… ti distrugge…

Un bel giorno, bello e fortunato, una compagna di cella, che ringrazierò per tutta la vita, mi vede scrivere in continuazione e mi dice: “vorresti corrispondere con un ragazzo, compagno di cella del ragazzo con il quale corrispondo io?”. Ero molto tentata, ma altrettanto titubante. Non volevo incappare in una persona che magari cerca solo uno sfogo e che nel cuore non ha niente di buono; avevo molta paura. “Stai tranquilla - mi disse l’amica - ho capito che persona sei e questo ragazzo è serio, e scrive con l’anima e con la testa”. Con un po’ di riluttanza ho accettato. Bene cari amici, dopo due mesi, (periodo della mia permanenza in carcere) nei quali ci siamo mandati una corrispondenza fantastica, (ci siamo, credo, innamorati), abbiamo continuato a scriverci, anche quando io sono uscita e oggi, che sono mio malgrado ancora qui, essendo per lo stesso caso passata “definitiva”, la nostra meravigliosa storia continua. Io credo e spero di uscire presto, ma la tristezza mi è addosso comunque e ancora una volta, lui, il mio scrittore innamorato mi sostiene, ed io sostengo lui, con tutto il mio amore. In un anno ci siamo spediti oltre 250 lettere a testa, ma non è il numero che conta, ma quello che queste lettere hanno potuto fare. Lui mi diceva che in certi giorni, la mia lettera, arrivata a puntino, in un momento di profondo sconforto, gli salvava la vita, e per me è stato lo stesso, sempre. Le sue lettere mi danno ogni giorno il coraggio e la gioia di vivere, perché io amo così tanto vivere che l’ho trasmesso anche a lui, che sta facendo progetti e promesse per il futuro che non aveva più voglia di fare!

Il mio consiglio è quello di provare a cercare un amico, un’amica, attraverso una lettera, che possa condividere la tua esperienza nel bene e nel male, aiutandosi a vicenda. Tutto può succedere, soprattutto se le persone che vogliono provare a seguire il mio consiglio, sono sole, e nessuno in questo momento le sta aspettando. Non sarebbe magnifico, uscire un giorno, quel giorno di libertà, e trovarsi davanti un viso amico, che già conosce il tuo cuore, anziché la cruda realtà da affrontare da soli?

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Una scoperta di nome “Lucky”

di Valeria

Nessuno ha capito o voluto capire, è stato più eccitante sparlare, metterci tanta malizia da far arrossire persino me!

Invece, semplicemente, naturalmente, altro non era nata che un’inaspettata quanto timorosa, sempre per me, amicizia. Mi dava calore al cuore senza parlare, bastava uno sguardo e mi sentivo capita, amata, protetta.

Era come una bambina che giocava con i miei piedi, le orecchie, e a cui compravo il cioccolato e lo mangiava avidamente senza darne un pezzo nemmeno a me. Aveva gli occhi felici.

La mia amica, all’aria, in saletta, ai corsi, solo se ci andavo anch’io. Perfino in chiesa è venuta con me! Aspettavo i primi movimenti del suo risveglio per fargli trovare il caffè pronto e poi dirle: “Vedi che non sono la tua cameriera” e iniziava la giornata con un pizzicotto, uno schiaffo, uno sberleffo, e mi abbracciava forte.

Non per il caffè, ma perché, aperti gli occhi io c’ero e lei c’era.

Un segno invisibile, impalpabile, un turbine di belle emozioni che ci facevamo pesare meno le sbarre e la mancanza di libertà!

La mia ammirazione per lei, da tutte considerata “la pazza” (in effetti al suo arrivo ne ha combinata più di una) è partita dallo scoprire che aveva alle spalle otto anni di galera! Nessuna qui per un secondo si è fermata a pensare cosa vuol dire … ti può tranquillamente portare alla follia, ma Lucky non è pazza, era solo stanca, demolita, incazzata menefreghista ma né pazza, né tanto meno cattiva.

Un caratteraccio da maschio, duro, ma leale. Con lei un segreto resta tale, subito pronta alla lite per difendere le sue idee… in galera non si ruba mentre molte lo fanno.

Lei mai.

Lei chiedeva e se chiedeva a me, mi rendeva felice perché nel mio piccolo potevo aiutarla. L’amicizia è iniziata quando ancora stavamo in celle diverse.

Mi chiamava, mi cercava, mi voleva e io mi sentivo importante e considerata.

Poi i primi pettegolezzi mi avevano spaventato, da una goccia era nato un mare, ne parlavo con lei e le dicevo: “Non è meglio se stiamo lontane finché non la piantano?”

E lei: “Fai quello che ti fa sentire più serena”.

E nonostante tutti i miei conflitti interiori volevo stare con lei, attenta se all’aria appoggiava una gamba vicino alla mia, la zittivo perché mi chiamava vita. Tutte le mie paure e le mie attenzioni a niente sono servite. Se anche non c’era nulla da sparlare, le serviva per passare il tempo o per totale ignoranza. Quando me la mettono in cella è stato un turbine di emozioni, di paura e gioia che per un’ora e mezza sono stata inchiodata alla branda. Poi si è seduta accanto a me … e ho sputato fuori tutto.

La prima paura, che stando insieme, ventiquattro ore su ventiquattro, la nostra amicizia potesse rovinarsi.

La seconda, che le agenti ci piantonassero di continuo … Lei mi ha detto “andrà tutto bene”.

E così mi sono sciolta e, un po’ per prevenire e un po’ per fare la scema, ho iniziato a gridare “e adesso la morosa ce l’ho in cella”. Penso di avere chiuso la bocca a più di qualcuna.

Quel poco che siamo rimaste nella stessa cella è stato un gran supporto per entrambe: litigare, ridere, dormire, non fare niente, ma sempre unite.

Se avevo un momento buio saltavo nel suo letto e lei mi diceva “che vuoi?” ed io “picchiarti!” e avanti “con un cazzotto ti faccio girare!”. E il momento buio era già sparito, dimenticato.

C’era lei.

Gli voglio bene e abbracciarla o darle un bacio per me era segno di affetto, amicizia, gratitudine.

Se per lei era di più, mai si è permessa di dirlo o di fare qualcosa a cui io non sono abituata.

Ma se si scambiavano un bacio sulla guancia le altre, tutto ok, se avessero visto noi… guerra!

E ora non c’è più, mi manca, si è portata via un pezzo del mio cuore e la voglia di lottare!

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Ed ora vivi con quella paura

di Valeria

Mi vedono apatica, solitaria, che chiedo sempre della terapia in più (ma mica me la danno) non mangio e quindi sono dimagrita. Mi hanno strappato dalle braccia l’unica amica-compagna che avevo. Prendevo tre pillole alla sera e non dormivo lo stesso! Facciamo un po’ di chiarezza: solitaria in galera lo sono sempre stata, forse evito anche le amiche, ma di certo evito le indesiderate. Potrò decidere almeno chi e come essere? La terapia da scema la sto riavviando da sola, da più di una settimana ed ho ripreso a mangiare come un toro.

Ora la sera prendo una sola pasticca che mi fa venire sonno e fame. Ma per “loro” ho bisogno di consulti, di psicologi, di supporti. Io mi chiedo: “adesso che sto reagendo da sola, adesso che tutto è diverso, adesso mi siedo davanti a loro e mi prendo la soddisfazione, visto che sono arrivata lì con due mesi di ritardo, di dirgli: io non so proprio di cosa state parlando! e sorrido!”. Purtroppo il magistrato mi rigetta il permesso premio e mi scrive nero su bianco che il mio comportamento all’interno dell’istituto non è consono, non è sociale, ma cosa vuole dire? Non ho rapporti né segnalazioni, non ho mai litigato né con le compagne né con le agenti di polizia penitenziaria. Questo mese poi ho spedito la richiesta per i quarantacinque giorni di liberazione anticipata per l’ultimo semestre, spero non siano tutte scuse per non concedermi anche questo!

E intanto vivo in galera. Non dormire troppo, dimagrire, partecipare ai gruppi, socializzare o ti mandano una psicologa. Ed ho paura che con qualche cavillo i quarantacin-que giorni siano un sogno e vivo con questa paura perché me li sono sudati, guadagnati e meritati! Ma vaglielo a spiegare!

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Quell’atteso soffio di vento

e di libertà

di Jany

Sta per arrivare un forte soffio di vento che mi porterà a quella libertà, che in tutti questi anni ho sognato… Oggi piove e questa pioggia fa eco alla mia anima, perché penso a tutti voi; a chi rimane nella solitudine di un posto come questo.

Per tale motivo prendo questo foglio e scrivo; perché voglio lanciare un bel ricordo di forza e speranza. Sento di lasciarvi le mie emozioni per l’avvicinarsi di questo bellissimo giorno, perché vi riempiano il cuore di speranza e coraggio. Non dimenticatevi che un giorno, come me, volerete via da qui, e ritroverete quello che sempre ci aspetta … la famiglia, il sole, il vento libero, il mare … e tutta la libertà che vorrete.

Voglio dirvi che noi, nonostante il buio di un carcere e la solitudine fra queste mura, abbiamo un filo di speranza che ci lega ai nostri cari, ai figli, agli amici, a chi ci aspetta o comunque ad una vita nuova che possiamo riavere … questo filo non potete lasciarlo rompere da nessuno, perché nonostante le difficoltà, c’è sempre un raggio di sole che penetra tra le spirali tenebrose.

Sapete, io non avrei mai pensato di passare questa carcerazione con tanta forza, quella che il Signore ha saputo dare al mio cuore e quella forza mi ha aiutato a non lasciare che si spegnesse la luce della mia esistenza, anzi con il mio sorriso ho illuminato molti volti tristi di questo posto! E questo potete farlo anche voi. Non smettete mai di dare un sorriso in ogni momento perché fate del bene a chiunque lo riceva. Un sorriso costa poco e vale tanto per chi ne ha bisogno! Siate forti ragazze, e non mollate mai, fate sempre rispettare la vostra dignità, non badate alla discriminazione che ci appella “detenute”.

Noi siamo delle persone, delle madri, delle figlie e delle sorelle, oggi e anche domani, e nonostante abbiamo sbagliato, e siamo qui per pagare il nostro errore, continuiamo ad essere persone dignitose e con alti valori. Valori tanto alti da far sì che nessuna di noi torni mai più in un posto come questo!

Io vi lascio un sorriso ed un forte in bocca al lupo perché presto ritroviate la libertà … vi porterò nelle mie preghiere e nel mio cuore c’è sempre un posto per voi.

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Le mie gocce di cristallo

di Valeria

Li avevo visti fuori da un negozio che si chiamava “La civetta”, me ne sono innamora di Valeria subito.

Il mio compagno di allora (saranno passati 15 anni) il giorno dopo, perché li avevo visti di sera, mi fece il regalo di prendermi anche la collana che non era esposta, oltre alle gocce. Orecchini che brillavano di mille colori, di sera sotto le luci artificiali, di giorno sotto il sole.

Due piccoli pendenti a forma di goccia o di lacrima. Già, perché tutte e tre le volte che mi hanno arrestata li portavo addosso! Eppure sono un mare di bei ricordi, mi piacciono così tanto, sembrano i gioielli di una principessa che non mi va di sporcarli con brutti momenti né di bagnarli con le mie lacrime.

Non li porto sempre. Non sono adatti per andare a comprare il pane, ma per farti brillare gli occhi in una buia serata. Non li noti molto ma tutt’attorno emanano luce, calore e colore. Con quelli ho conosciuto mio marito, con quelli mi hanno arrestata, ora li tengo in cella con me.

Non sono fatti per la galera, ma averli mi dà gioia credo siano un po’ fatati. Si perché la matricola mi ha trattenuto un bracciale perché d’argento.

Gli orecchini invece? Manco me li ha fatti togliere e se guardiamo il costo, beh …sorrido! Al di là che le mie gocce non hanno prezzo, portano con sé belle serate in discoteca, ancor più belle se passate tra i campi con mio marito e occasioni speciali.

Fanno parte di me, sono le mie lacrime di gioia e di dolore.

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La via della bellezza

di Oreste

Se vi è una tendenza nell’essere umano ad abbracciare il puro piacere di esistere, questo si scopre grazie alla via della bellezza. Se i nostri pensieri, le nostre azioni ed il nostro modo di essere si trovano in armonia, allora stiamo camminando in bellezza.

Per trovare le benedizioni della via della bellezza, tutto ciò che dobbiamo fare è rendere ogni singolo atto della nostra vita importante e vero. Potrà essere uno sforzo per qualcuno, ma è possibile arrivarci. Rendendo ogni nostro atto il più vero possibile impariamo a notare che i nostri complicati passi del processo della vita sono tutte benedizioni.

Alcuni passi possono dimostrarsi una sfida o a volte, contenere sensazioni dolorose, ma esiste sempre, nascosta, una possibilità di crescita.

La vera libertà si raggiunge quando rifiutiamo di rinnegare o di giudicare una qualsiasi parte del nostro processo umano.

Possiamo imparare a concederci a noi stessi e agli altri, di provare le sensazioni personali e dei punti di vista che caratterizzano la volontà. Possiamo imparare ad onorare i nostri sogni e le nostre aspirazioni, come pure le mete personali di altri individui.

Possiamo imparare ad essere responsabili delle nostre parole e delle nostre azioni, mantenendo il valore personale e l’onestà alla luce dell’integrità.

Possiamo imparare a preservare la nostra energia per gli usi più appropriati, nutrendo se stessi e gli altri in modo tale da servire la realizzazione di entrambi.

Possiamo imparare a guarire i sentimenti negativi dell’autodistruzione e del rifiuto di se stessi evitando di rinnegarli e scegliendo piuttosto di sperimentarli senza giudicarli.

Vivendo, esprimendo e quindi eliminando questi sentimenti possiamo accedere al libero arbitrio.

A quel punto saremo capaci di scegliere il modo in cui desideriamo cambiare e guarire i nostri vecchi pensieri negativi. La libertà di provare ogni nostra emozione, senza rinnegarla, ci consente di accedere al vero dono della scelta e del libero arbitrio. Quando troviamo il nostro equilibrio personale attraverso prove ed errori, tale processo non deve essere giudicato enumerando gli apparenti fallimenti lungo il tragitto. Le lezioni della crescita umana sono tutti passi che ci portano a sviluppare le nostre abilità e qualità. Tutti hanno la capacità di sviluppare le qualità necessarie per raggiungere la felicità agognata, purché si sia disponibili ad imparare dalle sfide che si presentano senza considerare gli errori come sconfitte. Non potremmo mai raggiungere l’armonia senza sperimentare il contrasto.

E’ grazie alla sensazione di separazione, che si sperimenta nelle situazioni dissonanti, che proviamo il desiderio di trovare l’armonia; se non per altre ragioni, scegliamo l’armonia perché diventa piacevole e desiderabile. Solo così potremo permettere al mondo di diventare una visione di armonia di vedute.

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Politica e giustizia

 

Seppur la politica non sia delegata a gestire direttamente la giustizia, è innegabile che sia per dovere di “polis” che per immancabili ragioni di parte, si trovi al centro del dibattito politico e di conseguenza mediatico. La mia scarsa preparazione in materia, unita alla ancor più scarsa volontà di introdurmi in un così accidentato territorio come la discussione politica, mi consigliano di non entrare nel merito, ossia cercare di valutare se la ragione stia a destra o a sinistra e se le varie posizioni di giudici ed avvocati sulle recenti proposte e leggi siano corrette oppure no. Tuttavia la recente visita del ministro della giustizia alla città di Rovigo, mi offre lo spunto per dare una mia opinione sulla difficile situazione carceraria italiana. Sono fortemente convinto che in un paese civile la pena per chi infrange la legge debba essere certa ed equa, ma altresì che il detenuto sia prima di tutto “uomo”, perciò che la pena debba essere scontata in condizioni buone, tanto dal punto di vista psicologico che da quello igienico e sanitario.

Credo, quindi, che se non si hanno strutture adatte non si possano inventare; ma allora, che cosa fare se il sistema carcerario in Italia è al collasso?

Al momento l’unica cosa che si è fatta è quella più semplice, ovvero restringere gli spazi e continuare ad utilizzare le stesse strutture anche se obsolete e malsane.

Mi spingo a dire di condividere con il ministro la tesi secondo cui non si possa considerare una soluzione quella di mettere in libertà ‘tout court’ i detenuti, anche perché invece di risolvere i problemi forse se ne creerebbero degli altri, magari di ordine pubblico. E’ una tesi che, come già detto, in parte condivido ma con dei distinguo che preciserò in seguito.

Chiaramente, come sempre, le possibili soluzioni stanno nel mezzo o almeno in quella direzione. Innanzitutto una considerazione è doverosa in merito alla carcerazione preventiva, ossia di chi come nel caso del sottoscritto non è ancora stato giudicato, in quanto nel resto del mondo cosiddetto ‘civile’ tale ufficio è molto meno usato ed è in gran parte risolto da una semplice cauzione a garanzia della buona condotta da parte della persona sottoposta ad indagine, imputata o in attesa di giudizio definitivo. Se si pensa che la carcerazione preventiva, che personalmente considero una ‘anomalia’ italiana, permetterebbe da sola di alleviare alla congestionata situazione carceraria fino a circa un terzo del carico totale, si capisce come la stessa non è mai da considerarsi fattore marginale ma bensì sostanziale e determinante concausa.

Una seconda fonte di meditazione è innegabilmente la spesso disattesa concessione di misure alternative alla detenzione carceraria, come la detenzione domiciliare, l’affidamento al lavoro, ecc., che se da un lato allevierebbero il peso che le strutture carcerarie debbono sostenere dal punto di vista numerico e conseguentemente economico, dall’altro potrebbero, in linea di principio, agevolare il reintegro graduale nella società civile dei detenuti che spesso si trovano, viceversa a dover uscir dal carcere alla scadenza della pena, privi di mezzi economici e senza opportunità di lavoro e quindi di fatto senza alcun reintegro. Negli avanzatissimi paesi del nord Europa sotto questo punto di vista stanno tracciando una nuova via proprio favorendo un più graduale e veloce reintegro sociale e visto che da quanto risulta non hanno situazioni di delinquenza più alte rispetto al nostro Paese, si può supporre che il metodo funzioni.

In ultima, ma non meno importante, analisi vi è la paventata costruzione di nuovi e più efficienti istituti penitenziari, ma non prima di chiederci con quali tempi e con quali soldi. Infatti, se anche si volesse risolvere il problema del degrado carcerario italiano unicamente con la costruzione di nuovi plessi, credo sia chiaro che si tratti di soluzione con efficacia solo nel medio se non addirittura nel lungo termine.

Innanzitutto perché le costruzioni pubbliche necessitano notoriamente di lunghi tempi di esecuzione ed anche perché le risorse finanziarie sono sempre più scarse e permettono al più di rattoppare qua e là più che di risolvere il problema in via definitiva.

La politica italiana ha il dovere, se non di risolvere, almeno di alleviare la situazione, non per una questione di giustizia, ma di civiltà e questo senza valutare se un provvedimento di amnistia ed indulto siano una sconfitta oppure una vittoria. Quando uno Stato non riesce ad amministrare cose così importanti efficacemente ne esce chiaramente sconfitto in ogni caso, sia concedendo il provvedimento sia costringendo esseri umani a vivere in condizioni di degrado psichico e fisico.

Ci si deve insomma soffermare alla sola questione di opportunità, che magari si poteva palesare in un grande evento come l’avvento di un nuovo Pontefice; l’occasione comunque è stata persa ed ora che stiamo praticamente in campagna elettorale penso che le ragioni dei detenuti passeranno in secondo se non in terzo piano.

Il prossimo anno, in occasione dell’elezione del nuovo Capo dello Stato, l’opportunità di discussione si presenterà probabilmente ancora una volta.

Fino ad allora i detenuti e relative famiglie di tutta Italia rimarranno in attesa di novità e, c’è da giurarlo, in uno stato di superaffollamento e degrado ancora maggiori di oggi.

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La buona educazione

Vento di tramontana e vento di bonaccia soffiato sul tempo della nostra detenzione”

di Cristina B.

Ancora mi trovo a valutare accadimenti troppo frequenti quando si varca la soglia di questi cancelli.

Sarebbe facile commentare alcune esternazioni proposte come motivo di riflessione sull’insensa-tezza del percorso detentivo, sarebbe facile ritenere ovvia tale affermazione perché io stessa vivo questa realtà e molto più facile è sorvolare sulla “declamata” rieducazione durante il tragitto carcerario. Un’ambizione inclusa in quel definito periodo di osservazione e fase trattamentale (a me viene in mente il trattamento da ristretto) che non viene analizzata nelle piccole sfumature equivalenti al significato del senso “rieducare”.

Nessuno di noi ha preteso una cura psicologica dopo la condanna, nessuno ha mostrato esigenze particolari, anche i più eclettici si sono ridimensionati all’ambiente. Ambiente che racchiude – chiude le persone nel corso di un’espiazione pena. Clamori esasperati soltanto per manifestare fastidi personali o caratteri variegati delle persone, investite dal ruolo di agente, educatore ed anche repressore… un serpente che si morde la coda, ad ogni negazione si attribuiscono colpe o responsabilità a gerarchie o competenze diverse.

Comunque sia, la risposta rimane la negazione oppressione di ogni sviluppo creativo o morale, non ci sorprende e tristemente lo ammetto.

Ti senti la parte finale di una lunga catena che oltre a legare la tua libertà, imprigiona i valori del rispetto umano, un essere pensante secondo la propria dignità è costretto comunque a subire, addirittura anche se viene redarguito per sciocchezze. Piccoli esempi di stupidi puntigli che una volta ribattuti conducono a discussioni la cui fine è una tacita resa onde evitare il superamento di un corretto scambio di opinioni. Sì perché, lasciando all’alterazione il mezzo di comprensione si può facilmente rientrare nei toni offensivi che equivalgono a misure disciplinari. Quante volte il più banale dei ragionamenti ha trovato un muro piuttosto che la dialettica umiltà di ammettere che non è nel gioco delle parti che si può sempre essere nel giusto? Certo, l’istituzione dà per scontato il valore dei suoi organi operanti, perciò nei ruoli ripone fiducia e capacità a priori. Ruoli e gerarchie. Sarà comodità o uno status quello di trarre dall’incarico svolto, tra persone recluse, un senso di onnipotenza. Resta il fatto che vi sono degli esseri umani dentro gli abiti, nello svolgimento di un lavoro delicato sotto il profilo psicologico innanzitutto, dopo che umano, soprattutto Quanti si sono posti il quesito di essere prima uomini e poi operatori? Taluni, propensi all’ascolto e e sensibili al nostro stato di privazione, hanno incontrato ostilità da parte dei loro colleghi, e in qualche modo, costretti ad imitarne i rigori. In definitiva, c’è da riflettere sul senso che può avere l’esempio rieducativo qualora proprio chi se ne attribuisce la capacità, nella pratica è meno attento al nostro stato!

In teoria si dovrebbero ascoltare i buoni consigli ed insegnamenti corretti affinché diventino strumenti costruttivi. Nella pratica si è fortunati quando una buona comunicazione di essere e rapportarsi è già parte della persona detenuta.

In quel suo bagaglio educativo il ristretto è in grado di parare risposte che appaiono insensate, mantenere l’autocontrollo e soprattutto comprendere i limiti dimostrati in virtù del ruolo in cui opera. Talvolta nella veste di recluso si percepisce meno rabbia davanti all’impotenza di venire compresi e più compassione di individui forti di attributi discutibili.

Qualsiasi logica umana insegna che reprimere, obbligare secondo misure costrittive non conduce a rapporti basati sul rispetto. Pretendere una maniera educata nel rapportarsi esige un’educazione. Ma tu sei il detenuto. Chiedere a persone già poste in condizioni di svantaggio e privazioni, di prendere esempi simili quali rieducativi, è paradossale.

L’ordinamento elargisce questo formulario come modalità di espiazione per un reato, ovunque, in ogni zona d’Italia, in vigore nei vari istituti detentivi, alcuni più vivibili, addirittura con una qualità di restrizione migliore, altri, la maggior parte, strumento illecito delle applicazioni di legge.

Continuo a chiedermi sotto quali auspici può scontare la pena il detenuto e soprattutto se vi è consapevolezza che ‘rieducare’ significa tutt’altro nei fatti.

Cosa può nascere da una condizione di chiusura equivalente all’ammassamento di persone in una cella, scarsissime possibilità lavorative e, cosa gravissima nessuna garanzia sull’assistenza sanitaria.

Eppure tutelare la persona malata è un obbligo ed è un diritto venire curati. Ma ho scordato nelle mie farneticazioni, che i delinquenti siamo noi, che ci troviamo in carcere, perciò perché avanzare tante pretese?

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Ridateci la speranza

Alcune considerazioni sulla ex Cirielli

di Rossella P.

Nel periodo estivo è iniziato l’iter burocratico per l’approvazione della legge Cirielli, sospeso nel corso delle ferie e ripreso ovviamente in autunno, rinviato nuovamente a fine mese.

Abbiamo sperato che nel frattempo i nostri parlamentari e deputati dei vari schieramenti politici mettessero un po’ di buon senso e si soffermassero a pensare alla mostruosità di questa legge.

L’impatto che avrà nella società di oggi, in questo contesto sociale non relativo solamente ai sessantamila ristretti (quindi in generale) partendo proprio da quanti lavorano per legge, polizia, magistratura, segretari, avvocati e non meno gli agenti penitenziari e vari operatori, sarà sicuramente devastante nell’incremento.

Ricordiamo che a beneficiare della prescrizione dei reati, 80%, sono prettamente i politici o gli imputati di sfruttamento e violenza in genere, truffe quali bancarotta e reati legati a “tangentopoli” ad esempio.

Già attualmente sono reati ai quali viene applicata la misura alternativa e per i pochi politici condannati, forse 15 in totale, ma con nomi famosi, si partorisce un mostro.

L’esecuzione di tale legge porterà sovraffollamento e incremento di suicidi nelle carceri dove stanno persone con lunghe pene da scontare nel caso della recidiva. Agli imputati con recidiva, appunto, durante il processo, verranno escluse le attenuanti nonché i benefici della legge Gozzini già applicata secondo la direzione dei magistrati, nella politica col contagocce.

Ma questo Paese sta progredendo?

A noi, sinceramente, sembra di tornare indietro di trenta anni, quando non vi era ancora la legge Gozzini o ancor peggio, nel modello pseudo americano: condannato al terzo reato non ha più alcuna chance per ricostruire la sua vita.

Noi ci domandiamo: ma vi rendete conto, cari signori politici?

Immaginate le conseguenze che ora porterà la vostra legge Cirielli? Noi crediamo di no, pensiamo che, nella speranza di salvare qualche vostro amico (più che salvare, per paura che parlando vi comprometta) state facendo amnistia occultata, poiché è riservata a pochi eletti.

Si sa che il vostro slogan è “tolleranza zero”.

Speriamo proprio che questa pausa di tempo vi faccia riflettere, scuotendo le vostre coscienze.

Onorevoli parlamentari, salvate la giustizia, no alla legge Cirielli.

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Il mio amico musulmano

di Antonio

Compagni forzati, ma amici sinceri. E’ quello che ho trovato qui nel carcere di Rovigo, io padovano leghista convinto da anni, mi trovo a riconoscere in Abdù (così lo chiameremo) un amico sincero, al mio fianco da oltre due mesi, ragazzo marocchino di 24 anni. Lui è una persona dolcissima, pulito e simpatico nei suoi racconti di vita, in Italia. Il lavoro a Lusia nella campagna da cinque anni. Lui dice sempre: io odio la legge italiana, perché mi hanno preso al lavoro “in regola”, al sabato mattina, solo per una firma falsa, ha preso cinque mesi di carcere.

Io mi vergogno di essere italiano quando succedono queste cose. Mi dico sempre, io ho votato per questo governo che è peggio del fascismo o del comunismo… Abdù sta aspettando da giorni di uscire ai domiciliari perché ha scontato più di metà pena ed ha paura che gli scada il permesso di soggiorno. Lui non vede l’ora di tornare in Marocco dalla sua famiglia, almeno per trascorrere con loro il Natale.

Ricordo con piacere quando lui faceva il Ramadan, durante il giorno non mangiava, non beveva, non fumava (ma si faceva la doccia) e pregava rivolto verso est: un vero musulmano. Almeno lui merita rispetto, per quello che è, e in cui crede. Mi sorride mentre scrivo e mi dice: “Perché questa situazione? Io non ho mai fatto del male a nessuno, ho rispettato tutte le leggi italiane, ho lottato quattro anni per avere il permesso di soggiorno e ora rischio di perderlo. Comunque spero in Dio! E in Italia non ci tornerò mai più e spero che tu venga a trovarmi in Marocco, così ti renderai conto di come siamo ospitali noi marocchini”.

Noi siamo propensi a credere che lo straniero in generale sia sempre da condannare, perché cattivo, ladro o spacciatore. Invece come nel caso di questo ragazzo (e molti altri) ci dobbiamo ricredere e pensare che certi lavori, noi italiani cerchiamo di evitarli perché troppo faticosi o sporchi. Non scopro certo l’acqua calda con questa mia riflessione ma sicuramente capisco cose che mi erano sconosciute ed ero il primo a giudicare male gli stranieri in Italia.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

LA DANZA DEI PETALI

Ondate di eterno calore,

suscitano la nostalgia dei vecchi tempi,

la mente invasata dai ricordi …

tenere parole …ingenui sorrisi …

quell’onda che ti trascina via…

frammenti di un puro sentimento …

si diramano gelidamente nel mio corpo …

la musica percorre le mie vene …

la voglia di libertà sfonda tutto…

i petali di una rosa appassita e nera…

danzano ancora vicino a me…

l’atmosfera si è come incantata …

il tempo vola in questa dolce notte …

e si scatena dentro di me l’immaginario paradiso,

viaggio imperterrita con ali di magia …

l’autostrada illuminata sembra non finire …

gallerie e molteplici schizzi di luce …

abbagliano il cuore del mio istinto …

la luna mi siede sempre accanto …

invitandomi ad andare avanti con calma …

ma il mio animo è irrequieto, turbolento …

la fragilità immensa dei miei gentili pensieri …

cristallini puri ma sempre più strani …

dominano i riflessi del crudo specchio,

in lui mi trovo profondamente riflessa…

la speranza di vedere una stella cadente …

i miei più intimi desideri aggressivamente nascosti.

Fra un vortice di sensibilità incontrollabile

si intravedono nell’alba che verrà …

avvolta da delicate emozioni …

sfiorata dal respiro delle stelle …

i frammenti così puri di quei petali …

iniziano una danza che non avrà più fine…

I MIEI SOGNI

Arriva sempre dopo Morfeo. Ha mille volti, mille suoni di voci e mille posti dove portarti. E’ mia madre mentre stira e mi rimprovera. E’ il tunisino che dopo aver contrattato, (se soddisfatta) si combina. E’ mio marito con me in piscina, a volte è tanta gente anche quella che non c’è più e tutto sembra così reale, anche banale perché mai mi ha portato a Las Vegas. Sempre qualcosa di famigliare, a volte mi fa sentire tanta gioia e altre tanta paura. Carabinieri che mi cercano, mi inseguono ma mai riescono a prendermi, chissà come mai! Forse mi vuole bene e mi protegge anche se a volte mi gioca strani scherzi e mi ritrovo a letto o in macchina a fare del sesso con chi non lo farei mai. Ma a volte mi porta anche a fare l’amore con chi voglio io e con tutto il mio desiderio. Gente che mi appare in contesti contorti, posti che non frequento più da una vita e mi ritrovo con una delle mie attuali compagne. Abiti da sposa, capelli tagliati, telefoni che suonano e non trovi, a momenti così chiaro e limpido e altri solo un mare di caos di gente, rumori, fatti e misfatti …ma lo aspetto con l’ansia di un’innamorata perché i miei sogni ogni volta che arrivano mi prendono e mi portano fuori di qua!

Valeria

BIKER FIRST CLASS

Non chiamatemi “bandidos”

Io corro con gli “Angeli dell’Inferno”!

Il mio strumento gioiello è proprio l’Harley Davidson. Passione travolgente, fino ad entrare in simbiosi ogni volta che la cavalco. Sorella, amica, una figlia da accudire in ogni piccolo dettaglio, tanto da farla apparire più lucente di qualsiasi stella. Compagna di vita, di strada, consumata sopra al suo potente motore rombante. Attraverso chilometri, tra paesaggi da scoprire insieme. Fidata presenza silenziosa, palesata nella sua pomposa imponenza, mentre attende ore in quel parcheggio, che io torni con la saggezza, di aver smaltito la bevuta con gli amici. Complice quando rincasiamo a notte alta, e nella via, l’ardire del motore, sveglia il vicinato, si fa accompagnare dalle mie spinte, dispiaciuta dallo sforzo che richiede trascinarla!

La mia Harley… Anche in nave mi ha seguito. Insieme abbiamo goduto di soste in posti inviolati, pieni di energia, peregrinando tutti i raduni biker da sempre nostra meta… passione, passione che tocca il cuore, soltanto nel sussulto del motore, che apre le marce, la sento, è lei, la riconosco da lontano… Inconfondibile tanf, tanf, tanf…

La mia Harley

Cris for You.

Da Cristina per Giorgia

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Notizie dal mondo degli esclusi

di Marcella Cocchi, da “Il Resto del Carlino” del 4 dicembre 2005

Chiusi nelle celle, insieme ai detenuti, ci sono tanti sogni, storie e, sì, notizie interessanti. E’ paradossale ma vero: proprio dalle carceri si può generare un’informazione corretta. Esistono da anni e sono più di 50 in Italia. Alcuni come Carte bollate e Ristretti orizzonti, vengono perfino distribuiti nelle librerie. Sono i giornali ideati e realizzati nei penitenziari, con il supporto di volontari e operatori sociali. Finora però, ognuna di queste pubblicazioni ha fatto i conti con la propria, altalenante, sorte. Nei giorni scorsi, invece, in un convegno svoltosi a Bologna, e promosso dall’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, è stata posta la prima pietra per la creazione di una federazione che coordini i singoli giornali galeotti. “E nei prossimi due mesi – aggiunge il direttore dell’Associazione società informazione, Sergio Segio – nascerà uno statuto comune basato su due principi guida: la non appartenenza politica e la volontà di creare una struttura assolutamente non a scopo di lucro”. Ci spera davvero in questo progetto il fondatore dell’associazione terroristica Prima Linea, lui che avendo scontato 22 anni di detenzione, delle carceri ne sa qualcosa. E dei detenuti italiani dice: “Ascoltateli, hanno necessità di avere rapporti con l’esterno. Le prigioni non sono un mondo a parte ma riflettono tutti i disagi sociali dell’attualità”.

Ma che cosa si può trovare in una pubblicazione realizzata in carcere? Lo spiega Ornella Bavero, direttrice di Ristretti orizzonti, l’organo di informazione della casa circondariale di Padova e primo giornale ideato dietro le sbarre: “Storie personali, articoli su temi che riguardano la detenzione (dal lavoro all’affettività), perfino approfondimenti su questioni penali come la legittima difesa. E’ vero, si tratta di persone che non hanno mai scritto o quasi, ma se e quando decidono di farlo si assumono le loro responsabilità e mettono da parte il vittimismo. Soprattutto raccontano stralici di vita vera”.

I nomi: Ragazze Fuori, Ristretti orizzonti, Uomini liberi, Innocenti evasioni … Basta leggere le testate di queste 50 e più pubblicazioni per avere un’idea dello spirito con cui questi giornali vengono realizzati.

“La possibilità di raccontarsi – testimonia Carla Chiappini, giornalista e volontaria nella redazione del carcere di Piacenza , Le Novate – restituisce dignità al detenuto”. Per alcuni il vantaggio è concreto: nell’Ufficio stampa del Comune di Empoli, per esempio, lavora Patrizia Tellini, una ex-detenuta e redattrice di Ragazze Fuori, il giornale del penitenziario cittadino”.

Ma il punto è un altro.

Comunicare il carcere ha senso anche per noi che siamo fuori, “perché - spiega Chiappini – ci aiuta a leggere i problemi di oggi: immigrazione, povertà, consumismo sfrenato …”.

E ancora, commenta il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, Gerardo Bombonato. “strutture fatiscenti, condizioni igienico sanitarie precarie, 60mila detenuti a fronte di 40 mila posti, il costo di una persona in carcere (65mila euro all’anno), l’ex Cirielli che favorirà il ritorno in cella dei ‘soliti noti’ … il problema è comunicarle, queste cose, anche con l’aiuto della neonata Federazione per i giornali delle carceri.

Un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni troppo spesso passate in silenzio”.

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Camminare sul ponte del perdono

di Oreste

Quarantasette giovani di parrocchie e gruppi diversi ogni domenica tornano in carcere a Rovigo garantendo l’animazione delle due messe. Da anni svolgono questo servizio volontario con puntualità dalla prima all’ultima domenica dell’anno liturgico e nelle festività. A loro i detenuti hanno dedicato questo pensiero.

 

Entrate nelle nostre domeniche con gentile partecipazione, parlate con toni miti e generosi, cantate con noi la speranza e la ricerca della fede.

Qualcuno vi chiama semplicemente “volontari”.

La vostra costante presenza ci aiuta ad attraversare l’abisso della separazione che ci siamo autoimposti, camminare sul ponte del perdono, ci insegna ad abbandonare torti e dolori.

Siete ambasciatori dell’intelligenza edificata sulla sensibilità profonda, questa dote vi consente di agire con armonia e di alimentare la fiamma eterna dell’amore al centro di ogni essere vivente.

Questa fiamma è il legame che ci rende una sola famiglia, è colla che struttura la creazione rispettando il diritto alla vita di ogni essere umano.

L’amore per la vita vi ha guidato nella ricerca del cuore, insegnandovi ad avere rispetto, fiducia ed intimità come indicazione di base per ogni relazione.

E, solo quando impariamo a relazionare con gli altri così, possiamo volgerci verso noi stessi ed amare ciò che siamo, diventando i nostri migliori amici.

Grazie per il costruttivo affetto che ci mostrate ogni domenica.

Sinceramente vostro.

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Hanno arrestato il sole,
la luna e le stelle

 

Una palla rossa, gialla, arancione, con sedici raggi, serpenti aculei tutti dello stesso colore.

Un metro per un metro fatto da una ex compagna… il sole!

Attaccato sopra il cancello con le sbarre emana calore e colore; apro gli occhi all’alba e lo vedo e penso: “hanno arrestato pure te, vuoi dirmi cosa hai fatto? Forse il furbetto con la luna?”

Già, perché in cella con me attaccata alla porta del bagno c’è anche la luna nera, piena a spicchio e tante altre stelle nere che di sera con la luce accesa sembrano vive, e brillano. Sono diventate anche loro le mie compagne, silenziose ma sempre presenti.

E se si fossero fatti arrestare per fare compagnia a me?

Me lo merito un sacrificio così grande?

Boh… eppure le vedo felici, giocose, serene; il sole da un momento all’altro scoppia da quanto è caldo, grande, imponente… pezzi di carta colorati che mi fanno compagnia, allegria, ai quali mi sono pure affezionata, ne sono sotto sotto pure gelosa. Sono pazza? Fa niente, non è da tutti fare galera con la compagnia del sole, della luna e delle stelle. Sono fortunata. Manco ho fatto in tempo a scriverlo che mi hanno cambiato di cella!

Ma alla faccia dei cartoni vado con bella gente, quindi sono ancor più fortunata!

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Con gli occhi di una madre

di Donatella

Mia piccola cucciola, sembri una bimba come tante, con una cascata di capelli chiari, “raggio di sole”, pelle liscia e lucida come seta, un bocciolo di rosa e lo sguardo perso nei sogni e le favole, ma ogni volta che la guardo, mi affascina con la luce dei suoi occhi neri “antracite”, splendidi come la notte in un cielo d’estate, pieno di stelle, così profondi da poterle leggere nel cuore, la purezza e l’innocenza dell’anima.

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Ogni cosa è una benedizione

di Oreste

Eccellenza,

oggi venendo tra noi ha aperto i nostri poveri cuori alla speranza.

Bussando alla nostra porta, Lei ha invitato le coscienze alla riflessione.

La Sua presenza, ci ha ricordato che, qualunque evento abbia portato un sorriso alle nostre labbra, gioia al cuore o leggerezza ai nostri passi è una benedizione.

Qualunque cosa ci abbia fatto guardare più a fondo, abbia espanso la nostra comprensione o aumentato la compassione è una benedizione.

Qualunque cosa abbia messo alla prova la nostra fede, fortificato l’impegno o ispirato a crescere è una benedizione.

Qualunque cosa ci abbia ricordato quanto è preziosa la vita e abbia insegnato a far tesoro delle relazioni è una benedizione.

Qualunque cosa abbia alleggerito i nostri carichi o abbia portato calore e aperto il cuore è una benedizione.

Nella vita, solo il modo in cui noi scegliamo di guardare gli eventi può farceli riconoscere come benedizioni.

Quando siamo vittime dell’umano smarrimento, pensiamo si possa far poco con la fede, ma la Sua presenza tra noi ci dice che nulla si può fare senza di essa.

Oggi, ci è venuto a trovare un Amico.

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