«Prospettiva Esse – 2005 n. 1/2»

Indice

  1. Dal giornale al confronto (Donatella)
  2. Lo spettacolo del 19 maggio
  3. Il carcere ti cambia (Valentina)
  4. Il Santo Padre (Linnoto Cristina)
  5. La mia vita per mia figlia (Lara)
  6. Liberazione anticipata (Valeria)
  7. Buon compleanno Matteo
  8. La mia vita di straniera in Italia (C. Pante Pangilian)
  9. C’è un’età per innamorarsi? (Valeria)
  10. Ho sempre avuto tutto, e ora? (Angela)
  11. Una donna venuta da lontano (Kriss)
  12. Voli di dentro (poesie e quant’altro)
  13. L’8 marzo, ieri ed oggi
  14. Il Paradiso in me (Cristina)
  15. Compagna di strada
  16. L’orso bruno
  17. A Celeste

 

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Dal giornale al confronto

di Donatella

“Prospettiva Esse” che gran bella iniziativa, ti porta a conoscenza di svariate situazioni, disagi, problematiche e sfumature che sono costantemente presenti all’interno di ogni “Istituto”, ma tutto ciò mi fa andare lontano col pensiero, con la testa e con la presenza, talvolta incostante. Ai vari incontri di gruppo ci sono comunque persone che ci credono, con convinzione! Mi è capitato di soffermarmi, nel leggere degli articoli interessanti, in affermazioni dove si intravedeva la realtà di questo mondo di cui, tutti noi detenuti, facciamo parte.

Ma non basta, come per qualsiasi altro giornale, leggere e basta se poi tutto rimane come era prima, usato e messo da parte. Ogni individuo ha delle sue teorie, è così difficile mettersi in discussione e confrontarsi? Vorrei esprimere questo: “Prospettiva Esse” dovrebbe servire anche a capire, riflettere, migliorarsi, e sopperire a lacune che esistono all’interno di qualsiasi istituto. Ogni qualvolta esce un’edizione del giornalino è un messaggio che si trasmette, anche agli agenti di polizia penitenziaria, perché abbiano una più ampia veduta della realtà, del nostro punto di vista. Sarebbe più semplice partire da questo per venirsi incontro, comprendere appieno i tanti perché delle cose di qua dentro e delle tante questioni da risolvere nei nostri confronti.

Il confronto sarebbe la risposta a tanti interrogativi, per le necessarie distinzioni, per un quieto convivere. Guardarci in faccia, “superare le sbarre che ci separano” unendoci nella condivisione di idee, mentalità, nazionalità, … quanto questo potrebbe rendere la convivenza meno pesante.

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Lo spettacolo del 19 maggio

 

Lo spettacolo che si è tenuto all’aria della sezione è stato comunicato all’ultimo momento. Un invito che abbiamo colto con piacere, considerato il tempo che trascorriamo in spazi senza molti contatti con l’esterno. Alla domanda su quale fosse la tematica della rappresentazione ci fu risposto che dei giovani studenti, di una scuola locale, portavano un loro spettacolo. Dopo il transito del nostro esiguo gruppetto verso la sezione maschile, ci siamo accomodate davanti a quello che era stato organizzato come palco. Un gruppo di ragazzi speciali era schierato ai lati, pronto per entrare in scena dopo le presentazioni dei vari organi rappresentati. Indossando una polo bianca, che portava la scritta “attori” sulla schiena, hanno dato inizio ad una energica e divertente recita. Il loro intento di illustrare l’allestimento di una grande casa dove creare un accogliente abitazione per tutti, è stato raggiunto con successo.

La forma gioiosa con cui hanno recitato ci ha divertito, mentre seguivamo le varie fasi nel compimento di quella mega casa allegorica. Neanche i supporti della regista e gli assistenti si sono rivelati  indispensabili per i provetti attori che hanno rotto il ghiaccio entrando nella parte come dei professionisti. Da parte nostra siamo grati ad ognuno di loro per averci trasmesso un messaggio positivo accentuato da una sensibilità che ci ha toccato il cuore. Auguriamo allo staff teatrale un prosieguo dell’attività, coinvolgendo nuove platee anche se la nostra manterrà una tifoseria particolare verso tutti loro. E non scordiamo la promessa per cui torneranno presto ad allietarci.

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Il carcere ti cambia

di Valentina

Mi chiamo Valentina e sono ligure, di Savona. Da un mese, come dice Valeria, un numero di matricola. Appena entrata, adesso penserete, questa è pazza, ero quasi contenta che mi avessero arrestata . Ora vi spiego: io  vivo per strada, non ho una casa fissa, e fino a due mesi fa, per strada, ci vivevo con il mio ragazzo Walid con il quale stavo ventiquattro ore su ventiquattro, sempre io e lui, lui e io. Un giorno Walid viene arrestato per una condanna definitiva da scontare e mi sono sentita persa e sola, perché nel mio mondo, quando hai qualcosa da dare, se gratis ancora meglio, sono tutti amici, quando invece anche tu sei incasinata nessuno ti considera meno che meno, una inutilità.

Quindi, quando il giudice ha deciso che era meglio venissi qui all’albergo di Rovigo, da una parte ero quasi contenta. Ho pensato che per lo meno non sarei stata sola, due pasti caldi li avrei avuti, doccia calda e letto in un posto caldo (se no,  magari, avrei fatto la fine del mio amico Pado, morto assiderato vicino a me). Poi, non essendoci Walid, tirare su i soldi per andare avanti era difficile. Io non mi vendo la vita che non ho, in cambio tanto meno di una dose (ma neanche critico chi lo fa) sono scelte di vita. Alla notte poi era il momento peggiore, dormivo sola, in quella grande casa fredda (Pado era morto) avevo tanta paura, penso sia normale per una ragazza provare queste sensazioni. Dopo dieci giorni di carcere avevo già cambiato idea. Ed io sono stata fortunata che pur entrata senza soldi ho trovato due amiche Lara e Valeria, Lara che non mi ha fatto mancare niente: sigarette, shampoo, detersivo, caffè, tutto, finché non ho ricevuto i soldi da mio padre, mi ha mantenuto lei (naturalmente arrivati i soldi ho pagato il prestito com’era giusto che facessi). Pensavo ci fosse più solidarietà fra noi detenute, specialmente con le nuove arrivate, o con chi come me aveva avuto la fortuna di non esserci mai stata in carcere, invece ho visto tanto razzismo e tante cattiverie gratuite, tanta ipocrisia. Io non sono mai stata in carcere quindi mi veniva spontaneo chiedere alle ragazze, se non sapevo qualcosa. Ho imparato che è meglio non chiedere, almeno ti eviti risposte sempre arrabbiate e scortesi, eppure anche loro avranno chiesto a loro volta, la prima volta che sono entrate in carcere!

Ora capisco quando parlavano della cattiveria che ti porta il carcere che forse, loro, neanche pensano di avere e quindi di risponderti male, (per fortuna non tutte sono così). Eppure quando chiedo mi sembra di farlo educatamente, almeno credo, dico, credo, perché ultimamente mi sono ritrovata a rispondere in modo sgarbato ad una ragazza che solo voleva un’informazione.

Già dopo un mese sono così cambiata, tra tre mesi come sarò? Ditemelo voi.

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Il Santo Padre

di Linnoto Cristina

Il commento alla figura del Santo Padre si potrebbe sintetizzare citando l’incisivo messaggio di fede che ha trasmesso durante il suo lunghissimo pontificato “Ecco, io sto alla porta e busso … se uno udendo la mia voce mi aprirà la porta io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”, “Spalancate le porte a Gesù”. Lui stesso si è proposto come umile conduttore degli insegnamenti predicati dal ministero che rappresentava. Umiltà costante compagna espressa da un uomo saggio estremamente colto, capace di mediare situazioni nell’ambito politico qualora vi fossero diritti umani violati. Il Santo Padre “super partes” in visita ad ogni angolo della terra per farsi partecipe dei mali del mondo. Un Papa che ha saputo spiazzare gerarchie diplomatiche ponendo il senso della giustizia sulle ingiustizie come fine comune da perseguire.

La sua semplicità nel mettersi in prima persona per espandere i suoi messaggi di pace ed uguaglianza nel rispetto dell’uomo hanno avvolto di fascino ed ammirazione la sua persona. Nessuno è mancato al suo capezzale, tutti gli uomini di potere da ogni parte del mondo erano presenti, svariati i riconoscimenti da esponenti di altri ordini religiosi. Rispettato come Papa soprattutto per la sua essenza profonda, stimato da persone culturalmente diverse e valorizzato anche da correnti di pensiero in antitesi, eppure rispettose in quelle espresse da Padre.

Dal settantotto iniziò un percorso di crescita che l’ha posto sempre in discussione con se stesso ed il suo agire fra il popolo, interessandosi se fosse in grado di assolvere il suo ruolo. Quel ruolo che per Lui significava rendere merito al senso di essere Padre, predicatore, benefattore, promulgando insegnamenti di fede.     Certo che nel lungo tragitto, intercorso dal settantotto ad oggi, molti sono stati gli accadimenti tali da porlo in riflessione quando alcuni eventi parevano sminuire la valenza della sua figura. Ma Lui ha  vinto ogni volta, hanno vinto: la sua tenacia, la totale serenità nel superare i momenti più difficili fino alla condivisione della sua malattia con i suoi figli a cui ha lasciato le degne tracce dei suoi pellegrinaggi accompagnati da una volontà inesauribile di profondere il bene per la pace.

“Apritevi al perdono” quando le condizioni di salute del Pontefice si sono aggravate l’attenzione dei cittadini, qui in Italia e non solo, si è catalizzata sui mezzi mediatici seguendo le fasi emozionali del trapasso del Pontefice. Quanti hanno vissuto questo momento storico tra le mura di un carcere, l’epilogo della vita terrena del Pontefice ha colpito particolarmente. Nessuno dei numerosi detenuti può scordare l’espressione dimostrata dal Pontefice per le condizioni dei carcerati. Emblematica la sua visita a palazzo Madama nel duemila due quando chiese “un atto di clemenza”. Rimbomba ancora alle nostre orecchie il fragoroso applauso con cui i vari parlamentari risposero alla sua preghiera cristiana.

Un atto di clemenza che toccasse la coscienza dell’uomo, non la veste dei politici prigionieri di schemi terreni. Allora sperammo… Molti intrapresero forme pacifiche di protesta come il digiuno, per sollecitare una applicazione di un “atto di perdono” nei termini previsti dai dettami di legge.

Ultima amnistia: aprile millenovecentonovanta. Sperammo, nell’illusione si concretizzasse uno spiraglio di luce. Ma dopo le lunghe trattative parlamentari, il contentino fu l’indultino o “insultino” che niente ha mutato nella realtà dei carceri. Sempre affollati, più affollati, diritti violati e condizioni inaccettabili, aggravanti sulla condanna di ognuno, mentre la società civile vuole convincersi che nei doveri sono impliciti i diritti. La realtà ha ampiamente dimostrato che bisogna prendere provvedimenti precisi affinché si allenti una tensione prossima ad esplodere a discapito di tutti.

Il deputato radicale Pannella ha espresso tempestivamente la richiesta di un’amnistia e indulto, arenatisi in parlamento tre anni fa. Secondo le dichiarazioni dei deputati, esclusi i rappresentanti della Lega, tutti sembrano concordi sulla necessità di riprendere in esame il tema di allora. I tempi sono maturi, dicono, seppur insorgono divergenze che ostacolano il raggiungimento di un accordo senza tagli sul tema. Il ministro di giustizia definisce già affondata l’amnistia, inoltre ritiene pericoloso scaldare gli animi dei detenuti con false speranze. Ma noi non ci aspettiamo tagli, solo una risposta umana, e prima ancora, di coscienza da parte dei signori del Palazzo. Quale esempio possono dare ai cittadini, dei quali fanno parte anche i detenuti, i nostri zelanti politici, professanti il cristianesimo, quando sono incapaci di praticarne gli insegnamenti? Forse hanno sorvolato sul senso profondo del perdono, poiché noi stiamo pagando e patendo il fallimento della giustizia, agonizzante, nell’impossibilità di adempiere ai suoi ruoli.

Processi infiniti, tempi detentivi senza percorsi di reinserimento, negazione della riabilitazione e problematiche di salute che si consumano nella detenzione. Ma, allora, se è palese che un collegio difensivo di classe garantisce vie celeri per un alternativa al carcere, cosa rimane a tutti gli altri che sono la grandissima parte? Una riflessione è doverosa, la risposta alla coscienza di ognuno non può trovare giustificanti, è tempo di rendere lode al desiderio del Papa, Messia e portatore delle sofferenze dell’uomo. “Misericordia voglio, e non sacrificio” disse Gesù.

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La mia vita per mia figlia

di Lara

Mi chiamo Lara, è la prima volta che scrivo per un giornale del carcere. Nelle altre carcerazioni, che avevo fatto, non c’era la possibilità di esprimere tutto quello che ti passa per la testa perché questo mezzo, almeno in quegli anni, a Rovigo non c’era.

Sono definitiva di una condanna di quasi tredici anni, di cui dieci già scontati, ora sono qui da circa cinque mesi, dopo aver fatto un’evasione da casa dov’ero in detenzione domiciliare. Ora me ne mancano tre di anni, ormai siamo quasi alla fine!

Il “grosso” è passato, direte voi, invece è la parte più difficile per ben due motivi: il primo perché avevo riallacciato un rapporto, che prima non c’era, con mia figlia che è divenuta da pochi giorni maggiorenne, il secondo perché dopo tanto penare ero riuscita ad avere una casa dell’Ater (case comunali)  a basso affitto, questo dopo sette anni di domande. Ogni anno partecipavo al bando di concorso finché ce l’ho fatta con il punteggio e l’ho ottenuta. Ora non sono più ai domiciliari è come se non l’avessi: per fortuna c’è una mia sorella, l’unica che mi dà una mano, un sostegno economico e di tanti in tanto una lettera che più che sollevarmi si sfoga lei dei suoi tanti problemi.

Fin da piccola sono sempre stata il perno principale della famiglia, tutto ruotava intorno a me. La preferita dei fratelli (per mio padre ero il suo Dio) la “confidente” di mamma (matrigna) l’aiuto fisioterapico per mio fratello, solo perché l’unica capace di fargli fare certi esercizi.

Lara era la persona su cui contare per tutto, ma io su chi potevo contare? All’epoca ero solo una bambina di dieci anni con la responsabilità di venti. Pochi giochi, solo tanta responsabilità da portare avanti per non deludere nessuno. Poi è arrivata la droga “l’unica mia colpa” l’unica a cui non dovevo dimostrare se ero brava oppure no. Era lei a dovermi dimostrare se era “buona” o no. Finalmente uno scambio di mali. Allora, a quattordici anni la vedevo così, ora a trentasei le cose sono diverse. Ho smesso, ho ricominciato  varie volte, ma solo ora …. ora che ho visto mia figlia donna ho capito che non ne valeva la pena. Ora lei è nell’età vicina a quella in cui io ero in attesa di darla alla luce, di darle la vita, forse ore è giunto il momento che lei dia la vita a me.

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Liberazione anticipata

di Valeria

Per fortuna tutto passa, il tempo che qui è così lento rispetto a fuori, passa lo stesso e un nuovo mese inizia.

Li conti i mesi con la speranza di arrivare al sesto “casta e pura” e di meritare quei tanto sognati quarantacinque giorni in meno, è davvero come fare i conti senza l’oste perché motivi per negarti la liberazione anticipata ce ne sono più di quanti ce ne sono invece per concedertela. Stupidamente si crede che basti un corretto comportamento carcerario, che tradotto in parole povere vuol dire che devi reprimere ogni istinto di contestazione, di ribellione o di semplice confronto senza violenza né verbale né fisica.

Solo risposte invece del silenzio, solo convinzioni invece della sottomissione e ribellione alle ingiustizie o i tanto desiderati quaranta-cinque giorni te li scordi. Tanto valeva allora… meglio non pensare di fare valere la tua persona e le tue idee o anche i prossimi quarantacinque giorni saranno solo un sogno!

Chissà perché se mai li otterrò, almeno io, non mi sento premiata ma solo piegata!

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Buon compleanno Matteo

 

Tanti auguri pulcino mio, l’unico che resterà sempre dentro di me, tanti auguri per i tuoi dodici anni. E mentre tu stai, magari, festeggiando e vorresti  che ci fossi anch’io, io sono rinchiusa in un posto di pazzi, a lamentarmi per una sigaretta. Che vergogna, pulcino mio, spero che la nostra brutta esperienza ti abbia aiutato a crescere ed a capire i veri valori della vita: onestà, amicizia, sincerità e spero, anzi prego Dio, ogni giorno, che tu mi possa, anzi, mi abbia perdonata. Ma tu sei un bambino intelligente, sono sicura che ci chiariremo. Sai Matteo, tu sei l’unico che mi vuole bene veramente, che non farebbe niente per farmi soffrire, sei come me (una volta ho pagato e sto pagando) mi preoccupo per gli altri e gli altri boh?! Non sanno neanche come sono e danno giudizi. Lo sappiamo solo io e te, perché sei un bambino e quindi sei pulito, e anch’io, se ora sono quasi donna mi sento pulita, con il cuore bianco come te.

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La mia vita
di straniera in Italia

di Celeste Pante Pangilian

“Conta le tue fortune …dà loro un nome, una per una” una bella canzone, che ho imparato dalla chiesa, una bella parola che ho sentito dalla mia mamma quando ero disperata, un bel consiglio che ho dato quando qualcuno era abbattuto. Ma come posso raccontarlo a me stessa adesso? Tutto quello che voglio è piangere, piangere e piangere. Mi sento perduta. Ho provato a chiedere a me stessa come sto, ma non riesco a trovare risposte. Non so come sto. Ho provato a guardare avanti, un anno dopo o un anno e mezzo dopo, non riesco a vedere niente … non riesco a immaginare niente. Cinque fottuti anni e quattro mesi per portare trentotto grammi di “ghiaccio”. La più moderna droga sintetica. Trecentosettanta euro a grammo, è sei volte più forte della cocaina secondo il rapporto della polizia.

Essere qui è come un incubo, specialmente quando penso al mio passato. Ogni giorno, ogni notte prima di dormire, chiedo a Dio qual è il suo piano per me, perché sono qua? E’ solo un passaggio della mia vita, o è per imparare di più? Voglio sapere perché devo stare qui così a lungo. Ma  grazie a Dio alla fine della mia ricerca, in fondo all’anima, la mossa finale è sempre la stessa: correre da Dio per dirgli tutto quello che voglio, per esprimere quello che sento, per ringraziarlo con tutto il mio cuore perché nella mia solitudine, nella parte più scura della mia vita, io posso ancora contare sulle benedizioni di cui Lui mi sta coprendo per cominciare. Lo ringrazio per la mia vita. Grazie  a Dio sono ancora viva. Finché c’è vita c’è speranza. E poi la mia forza di mattina, posso alzarmi dal letto, posso camminare, posso saltare senza l’aiuto di nessuno. Grazie per lo splendido mattino …. per il giorno nuovo di zecca, grazie per l’aria che respiro! Ho guardato un film. Un uomo respirava con l’aiuto dell’ossigeno, pagava per questo. Ma guardate, noi  lo stiamo prendendo gratuitamente. Immaginate quanto sarebbe duro per noi se dovessimo comprare o se qualcuno dovesse comprare ossigeno per noi, solo per respirare? E poi grazie per le mie compagne di cella. Anche se mi hanno fatto stare male qualche volta, mi fanno sentire bene dopo …. Anche se mi buttano giù qualche volta, mi risollevano dopo. Qualcuno ti parla aspramente dietro ma dolce davanti. Dopo tutto succede ovunque, ma è l’essenza della vita qui. Forse rende la vita più eccitante qui in carcere. Puoi andare avanti a vivere indovinando cosa succederà domani, cosa altro si trova davanti il giorno dopo.

So che non è una grande questione! Forse per tanti è una stupidità. Ma chi diavolo se ne importa? L’importante è che io sappia molto bene che le piccole cose buone esistono ancora nella mia vita. E poi, e poi,  poi … questo “e poi” non ha fine se vogliamo veramente contare le benedizioni di Dio per ognuno di noi. Ti dico che questa non è stupidità, perché se tu riunisci insieme ogni piccola cosa buona, tu puoi avere una grande cosa, più che abbastanza per dire “grazie Dio”.

Come tanti ho lasciato il mio paese, la mia casa, la mia famiglia, era l’anno 1993, pensando che potevo diventare ricca un giorno qui in Italia. La terra del latte e miele. Convinzione di tanti come me, specialmente per noi che veniamo da un paese del terzo mondo. Per i primi tre anni, ho lavorato come collaboratrice domestica e giuro che non era facile. C’erano giorni in cui pulivo il terzo piano dalle 9 alle 12, il quinto piano dalle 12 alle 15 ed il secondo piano dalle 15 alle 18. Non c’era tempo per il pranzo, ne potevo chiedere caffè o una tazza di latte al mio datore di lavoro. Alcuni giorni, quattro ore alla mattina nel sud di Milano, altre tre o quattro ore al nord: tre volte alla settimana lavoravo in un ristorante a lavare tutte quelle pentole grandi e pesanti, e file di piatti alte due metri. Ti dico, mangiavo un panino per strada mentre andavo da un posto ad un altro. Era troppo duro, vero? Ma io so che posso farlo, dicevo. E’ solo il problema di guardare il lato positivo della vita. Ogni notte, prima di andare a dormire non dimentico mai di ringraziare Dio per la forza che mi sta dando. Lo ringrazio anche per il mio lavoro, e più di tutto, dico sempre, “grazie Dio perché mi ami”. Ho imparato questo dalla mia infanzia, da mia madre … la mia grande madre che ci chiama e ci riunisce prima di dormire, per pregare. Ogni notte senza insuccesso. Quando ero giovane, lo facevo perché avevo bisogno di farlo per mia madre, non avendo altra scelta da seguire, ma da anni e fino ad ora lo faccio perché Dio vuole che lo faccia, e amo anche farlo con tutto il mio cuore. Parlo sempre con il Signore come un bambino con suo padre. Ancora una volta, ho scoperto che il verso scritto nei Proverbi 22-6 è proprio vero. Dice: “Insegna al bambino nel modo che dovrebbe andare così che quando è vecchio non devierà da esso”.

Dopo tre anni di duro lavoro come collaboratrice domestica, ho incontrato un uomo italiano, che è proprietario di una tipografia. Mi ha dato lavoro nella sua tipografia ed io ho preso con me un’altra persona perché non riuscivo a farlo da sola. Per le prime due settimane facevamo pulizie dalle 17.30 alle 19.30,  dopo due settimane lui ci ha dato da lavorare otto ore, ogni giorno, come operai. Per me è il premio di Dio … e come al solito, ho dato tutta me stessa al mio lavoro: il mio cuore, la mia forza, la mia cura, dalle cose più grandi alle più piccole. Dopo due anni avevo otto persone sotto di me. Ero diventata controllore di qualità e responsabile della legatoria. Dio mi sta mostrando che ogni cosa ha il suo tempo. Ero soddisfatta e felice del mio stipendio e mi interessavo dei miei guadagni. Allo stesso tempo, diciamo che ero molto fortunata nel guadagnare denaro extra. Alcuni compra e vendi, ma non contro la legge, e durante questo tempo non avevo paura di niente: avevo la pace dentro di me. Ringraziamenti e apprezzamenti erano sempre sulle mie labbra. Qui in Italia, Dio mia ha permesso di avere un bel appartamento (anche se in affitto), un buon lavoro, una vita soddisfatta, e si, anche una macchina, che ho amato tanto. L’ho comprata fuori del mio lavoro. Senza dubbio c’era ancora solitudine dentro di me, perché lontana dalla mia famiglia, ma è la comunicazione che conta, riguardo al resto, posso dire che tutto stava andando bene. La mia vita è stata così fino al duemiladue. Di certo la vita non è sempre un paradiso, i problemi sono parte della vita, gli ostacoli arriveranno sicuramente, ma grazie a Dio Lui è sempre lì anche nella parte più buia della mia vita. Io credo alle sue promesse. Dice in Pietro 5:7 “Proietta tutte le tue preoccupazioni su di Lui perchè Lui si prende cura di te”. Giovanni 14-14: “Qualunque cosa chiedi nel mio nome, Io la farò”; Giovanni 14-1 “Non lasciare che il tuo cuore sia turbato. Confida in Dio e confida in me, Gesù ha detto”. E l’insegnamento di mia madre suona sempre nel mio orecchio. Posso sentire ancora adesso la sua voce mentre diceva: “Figlia mia, ricorda sempre, Dio ha un numero di telefono”. Si riferiva a Geremia 33-3 “Chiamami ed Io ti risponderò, ti mostrerò cose grandi e impenetrabili che tu non conosci”. Per me, la Bibbia è meravigliosa, amo leggere le parole di Dio. Mi dà forza, speranza, coraggio. Dio parla a noi persone attraverso la Bibbia, ecco perché è chiamata la parola di Dio, e noi parliamo a Dio attraverso le nostre preghiere. Che bel rapporto avevo con il mio Padre celeste…. Dio del cielo e della terra. Amo fare ciò che Lui vuole. Non mi piace ferire le persone perché la Bibbia dice: “Colui che opprime il povero, opprime il suo creatore”. Così se ferisco qualcuno, sto ferendo Dio che ha creato l’umanità. Ma un giorno ho sottovalutato il potere del nemico (il diavolo, il cui nome è Lucifero, che una volta era il capo degli angeli, il più intelligente ed il più potente tra tutti gli angeli. Dichiarò guerra contro Dio e convinse un terzo degli angeli perché voleva essere pari a Dio). Nel mezzo della mia vita, quando pensavo di stare in piedi fermamente, quando pensavo di stare bene, forte abbastanza da affrontare tutto quello che normalmente agita nella vita di qualcuno, sono caduta nella tentazione di assaggiare droghe. Volevo solamente provare, dicevo “niente male”. Sveglia tutta la notte, a parlare, scherzare con gli amici, giocare a carte, e il giorno dopo, niente appetito, posso fare la dieta, dicevo, così da quel giorno, la stavo usando ogni fine settimana senza fare attenzione che settimana dopo settimana, stavo sprofondando nel precipizio. A questo punto, voglio mostrarti come è maligno Satana. Per essere nel suo lato, non ti mostrerà la parte brutta del suo piatto. Come ciò che ha fatto a me, mi ha offerto questo piatto in un vassoio d’argento, lasciandomi provare piacere dall’effetto che mi faceva all’inizio: come la dieta e la compagnia, ma dopo, diventa troppo tardi per comprendere che sta vincendo sulla mia vita. Dopo sei mesi di stordimento del suo effetto ogni fine settimana, (il mio peso andava da cinquantuno a cinquantatre kg.) il diavolo ha fatto ancora in modo di farmi cadere in peggio, ho incontrato uno dei signori della droga. Ho visto la sua vita con più denaro, potere e la fama …. Dopo due mesi mi sono trovata a vendere. In un breve periodo di tempo divenni popolare, ma allo stesso tempo non so cosa sentivo. Avevo denaro, va bene, gente intorno a me, va bene, quattro guardie del corpo, va bene, ma d’altro lato ero molto dispiaciuta per loro. Quella gente viveva ogni giorno solo per comprare droghe, per usare droghe, se non hanno il denaro per pagarti, daranno cellulari o gioielli, tutto quello che possono ottenere, da dove li prendono non so …. solo in cambio di droghe. Quante vite ho visto spezzate, ho visto rapporti spezzati, famiglie spezzate … è, forse, colpa mia ? Ma se io non esisto, esiste un’altra. Dicevo: “Meno male che esiste una come me, che prima di dare droga gli dicevo di mangiare, di pensare un po’ a quello che stanno facendo”. Quanti sermoni ho predicato a ognuno, quante volte ho teso la mia mano per raggiungere i bisogni di qualcuno. Ma ora so, fare due cose diverse nello stesso tempo non è possibile. Esprimo la mia gratitudine ringraziando e pregando Dio, ma allo stesso tempo ferisco troppo profondamente. Come ero stupida, meno male che Dio non si arrende ad amare la gente. Mi ha mostrato che il mondo della droga non ha niente da offrire. Infatti alcune delle persone intorno a me sono andate dai carabinieri a dire che avevo droghe in casa, così un giorno hanno fatto un raid a casa mia e hanno trovato qualche grammo per il mio uso personale. All’interrogatorio mi hanno liberato, ma hanno preso il mio denaro. Dopo questa parte disgustosa nella mia vita, ho progettato di tornare a casa. Ho lasciato il mio lavoro, sperando di poter avere la liquidazione, ma anche questa cosa è andata male. Il mio ex capo non vuole più pagarmi. Sono andata dall’avvocato a chiedere il suo aiuto, e mi dispiace dire che ancora sto lottando per questo. In questa mia critica situazione ho lavorato ancora come collaboratrice domestica, mentre aspettavo la liquidazione, ma sembra che la mia fortuna se ne sia andata tutta. Ogni volta che trovavo lavoro, il mio datore di lavoro mi telefonava sempre per invitarmi a cena, a mangiare una pizza. Odio tanto questa cosa perché so cosa vogliono. Così, anche se voglio lavorare sono costretta a lasciare il lavoro. Cosa farò adesso? Senza lavoro, senza liquidazione, senza droga, devo avere una di queste tre. Sono tornata ancora nella droga. Sapevo che era un passo sbagliato, ma a quel tempo sembrava non avessi altra scelta. Il venticinque marzo duemilaquattro, la mia prima mossa dopo le disgrazie di tutta la vita, ero d’accordo con qualcuno di portare alcuni grammi a Padova, appena quaranta grammi. E lì, alla stazione di Padova, i carabinieri aspettavano una donna con minigonna gialla, calze nere e gialle fino al ginocchio e una giacca di pelle nera. Perfettamente io, e sono finita in carcere. Sto qui da un anno. Ora ho avuto il mio interrogatorio, la mia prima udienza, ho ricorso in appello, ma secondo esperti della legge devo stare in carcere, cinque anni e quattro mesi. Ho ragione a piangere, e piangere e piangere, vero? Ma come diceva Freddie Mercury, nella sua canzone: “Lo spettacolo deve continuare”. Niente può cambiare se incolpo me stessa. Devo affrontare questo destino se questo è il mio destino. Certo, mi sto ancora muovendo, sto ancora sperando che ci sia un modo per me per accorciare la mia punizione. Ma qualunque cosa sia nel mio futuro, non me ne preoccupo troppo ora, ho lasciato il mio domani nelle mani onnipotenti di Dio. So che Lui terrà il mio futuro. Lo voglio condividere, alla fine, con voi e, credetemi, è vero! Ho provato il mondo della vita con Dio al mio fianco, ho provato il modo di vivere solo con me stessa, ho provato anche il mondo della droga. Ti sto dicendo che il mondo migliore è la vita con Gesù. Parlare con Lui, camminare con Lui, credere nel suo potere e nelle sue promesse, e vedrai ti porterà verso il destino migliore che tu neanche puoi concepire

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C’è un’età per innamorarsi?

di Valentina

Stasera ho capito quanto siano assurdi certi rapporti umani, soprattutto in questo luogo, in questa sezione. E’ tutto abbastanza strumentale, specialmente con quelle appena entrate, ti fanno fare e dire cose che neanche pensi. Io sono di carattere debole, mi faccio convincere facilmente. Vogliono persino sapere, anzi decidere loro, cosa provo, quali sono i miei sentimenti per Walid.

Una di queste sere, durante una discussione mi hanno detto che a trentaquattro anni non si può essere innamorate, si può voler bene, ci può essere passione, rispetto, ma non amore. Quello c’è solo a quindici-diciotto anni! Secondo me tutto quello che ho elencato: rispetto, passione, ecc., fanno parte dell’amore. Secondo me è il contrario: mi ricordo da ragazza mi innamoravo ogni settimana, sono stata sposata dieci anni, sono separata da quasi cinque, vivo con un ragazzo di 29 anni e tra noi c’è passione, comprensione e tanta fiducia; questo secondo me è amore. E’ così strano provare tutte queste emozioni contemporaneamente per un uomo a trentaquattro anni? Mi sono sentita dire che  a trentaquattro anni mi comporto come una quindicenne, solo perché con lui sono sincera, perché non mi interessano altri uomini, io ho lui che mi dà tutte le emozioni di cui ho bisogno. Secondo me è più bambina chi a trentacinque anni non ha ancora trovato un uomo che gli sappia dare tutte queste emozioni solo guardandolo. Mi hanno detto che c’è un’età per volersi bene, una per fare sesso, non lo sapevo. Io ed il mio compagno stiamo insieme ventiquattro ore su ventiquattro ed ogni giorno è sempre una nuova scoperta tra me e lui. Litighiamo spesso, ma poi fare pace è la cosa più bella. In più lui è musulmano e ci siamo dovuti venire incontro su tante cose, un po’ io, un po’ lui; ed intanto sono passati quasi cinque anni, erano quattro mesi che non lo sentivo, e ieri, quando gli ho telefonato ed ho sentito la sua voce, ho pianto, mi hanno presa in giro. Mi devo vergognare per questo? Mi devo vergognare perché non ho voglia di fare sesso con altri uomini? Non capisco più niente.

Qual’è l’età giusta per essere innamorati e quale quella per volersi bene?

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Ho sempre avuto tutto, e ora?

di Angela

Ciao, sono Angela, arrivo da Cittadella, sono qua da un mese e tredici giorni, mi sembra sia passato un secolo! Sono qua per un reato di spaccio con concorso, sono una tipa impulsiva e forse un po’ ribelle perché da quando sono uscita di casa a ventiquattro anni ho sempre avuto tutto! La mia casa, la macchina, soldi; ero abituata ad avere subito tutto, e forse in certi momenti non mi rendo conto che sono in galera! Sto soffrendo molto, vado in crisi per una lettera, e per di più sono sempre io quella che urla, fa casino, chiama la sua amica, sempre sgridata. Ho avuto problemi in cella perché ero sola io, loro erano di più, abituata all’ordine, e così ad ogni mia parola un casino! Ora mi hanno cambiato cella, sono con un amica, Lucky, un monolocale, così diciamo noi per riderci un po’ su! Ce la siamo preparata a modo nostro e viviamo a nostro modo.

Ora mi sento molto più serena; si, so che sono in galera, ma sto bene, sono tornata a muovermi, e questo mi aiuterà molto. Solo mi manca la socialità, il giocare a calcetto, ma ce la farò, diventerò ogni dì più serena, combatterò con tutte le mie forze per poter passare questa galera più in fretta, ce la devo fare per sognare quella libertà e rivivere di nuovo, una parola detta da un’amica per me è un grande tesoro.

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Una donna venuta da lontano

di Kriss

Mi colpì subito la macchia di colore appena intravidi quella donna passeggiare all’interno della sala ricreativa, io ero appena salita con il bagaglio perciò ero una curiosità che spezzava la monotonia, ossia il tam tam “new entry”, peccato io rientrassi nella fascia “old entry”. Incrociando il suo sguardo percepii che mi stava osservando, avremmo scoperto solo dopo che eravamo in cella assieme.

Fu una nuova esperienza, per questo meritevole di ricordarla, perchè mai avevo convissuto con una persona tanto diversa da me, del resto io stessa appartenevo ad una realtà che Zmretta teneva distante. Sarebbe stato istintivo mollare subito ogni tentativo di trovare dei punti d’incontro, ma in fondo era una motivazione per mettere alla prova il mio spirito d’adattamento e verificare l’autocontrollo.

Zmretta era partita dalla Bosnia quasi trenta anni fa seguendo i suoi familiari e sposando l’uomo che era suo promesso. Dopo aver peregrinato in roulotte lungo l’Italia, insieme al marito aveva acquistato una grande casa popolata da tutta la numerosa famiglia: figli, nuore, nipoti...animali da cortile, oltre allo spazio adibito alla coltivazione di ortaggi. Conduceva il suo ruolo all’interno della famiglia proprio come sua madre quando lei era piccola, mantenendo salde le sue radici e restando fedele alla sua cultura.

Partendo da questi dati può risultare più chiaro comprendere la sua maniera di non integrarsi con i ritmi del carcere. Il suo modo naturale di non tenere conto delle disposizioni interne, cosa che fa sorridere tanto che le agenti di polizia penitenziaria pur esasperate trovano divertenti i suoi atteggiamenti disarmanti soprattutto quando fa la sua faccia stupita dopo un’ennesima spiegazione.

In cella ... beh, è tutto un folklore kitch, partendo dalla gestione della branda fuori da qualsiasi logica di un letto ordinato, perchè sopra vi deposita le cose più impensabili. Penso che per lei abbia poco senso l’uso dell’armadietto, meglio tenere tutto a portata di mano, sempre che la mano riesca a trovare quello che cerca. Comunque di certo l’armadio non ha miglior sorte, per i tentativi di piegare ogni capo aggrovigliato e pigiato all’interno che sono finiti in un nuovo groviglio. Zmretta si sente a suo agio così.

Una delle cose che ho compreso, e mi è costata numerose infuriate, è che per lei l’ordine e la pulizia viaggiano su dinamiche particolari, soprattutto perchè è abituata a vivere in spazi aperti. Bisogna comunque ammettere i suoi miglioramenti nella convivenza, sembra che i continui solleciti all’ordine abbiano sortito degli effetti che lei somatizza, talvolta sbottando!

Certo analizzando il tutto dal suo punto di vista si può capire quanto sia difficile per lei concepire una gestione diversa di sè stessa a quarantacinque anni.

Normale, perciò, cucinare di tutto e di più, possibilmente pastrocchiando in giro l’impasto per il pane, come le tracce di farina disseminate ovunque. Le sue domandine per poter avere cibi extra, che spaziano dalle cotenne di maiale alle teste di agnello. I nostri consigli collettivi, per fortuna, sono riusciti a farla desistere dalla volontà di preparare un barbecue in cella!

A Zmretta piace dormire senza per questo dover cambiarsi indumento per la notte. In compenso il suo “look” contempla un rossetto portentoso e delle gonne abbinate a maglie colorate, rigorosamente di fantasie diverse.

Cosa c’è di più naturale dello spegnere le sigarette per terra e buttarci pure la cenere? Beh, da poco si è munita di un portacenere personale, sebbene lo sgabello porti i segni inconfondibili della tazzina da caffè perennemente piena.

Un’altra cosa che ho imparato ad apprezzare è il caffè alla turca, tipico delle zone dell’est Europa, che si può bere lasciando i fondi nel bicchiere.

I suoi occhi scuri lasciano scorgere uno sguardo intelligente e curioso, rivolto a quello che le interessa particolarmente. Scrive correttamente in lingua italiana, ascolta, impara, anche se è difficile tenerla in un posto senza pause di distrazione. Indifferentemente può sparire in doccia a lavarsi, rientrare improvvisamente in cella o chiedere di andare all’aria incurante degli orari previsti.

La vivacità di Zmretta si espande nel silenzio della sezione, e per noi, in cella, diventa una nota colorata in ogni momento. Anche quando dorme, perchè russa e talvolta se ne esce con lunghi discorsi in lingua  slava nel sonno.

Il “sacro” dormire viene interrotto di buonora e non per impegni particolari, bensì per lo scrosciare continuo d’acqua e il rumore rimbombante dei suoi passi! Le ho chiesto più volte spiegazione del suo comportamento, ma è più forte di lei girovagare una volta perso il sonno. Cosa che dobbiamo per forza condividere pure noi, tutte sveglie...più o meno.

Un’altra giornata comincia. Sgabello posizionato verso il corridoio e avanti con i suoi exploit: doccia, pastiglia, etc., alternando le chiacchiere da comare con le ragazze delle altre celle. Zmretta è così e sicuramente lascerà un simpatico ricordo per tutte qui alla casa circondariale di Rovigo.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

NEL SILENZIO L’INCANTO DELLA VITA

Vivere la vita per lasciare

lo spazio angusto

dell’esistenza, per entrare

nell’eternità che non fa

rumore.

Scoprire a trentadue anni che esistono

altre dimensioni, ha messo in

discussione il vasto bagaglio

dell’esperienza accumulato in tanti

anni di vita vissuta e cadendo per

assurdo in un mondo miscelato di

frasi e colori

mi ha fatto capire d’esistere.

IL CARCERE

Capire voci che sembrano

lamenti che nella notte

violano il mio udito stanco.

I passi nella notte rimbombano

nel raggio quando la realtà

si miscela al sogno

il battere del ferro sulle sbarre

a l’aspro risveglio dall’insano sonno.

Un nuovo giorno fissato nei programmi

a mente spenta che partorisce niente.

L’espressione inganna il viso d’automa che

finge il sorriso.

All’immane violenza;

sorseggio inquietudini stordendo i ricordi

ripassando il passato per una che non

conta.

IL CONTRARIO

Noi due siamo

come la terra e il cielo

il bianco e il nero,

il caldo e il freddo.

Siamo l’alba al mattino

e il tramonto di sera,

che guardiamo seduti

su uno scoglio,

dove il mare parla

alle conchiglie e sbatte

contro i nostri corpi.

TEMPORALE

La pioggia batte incensante

contro vetri inermi,

mentre sento

battere il mio cuore.

Non ho mai amato

i temporali. Ma questo…

spero duri in eterno!

Tra le tue braccia

sono sicura:

lasciamo il resto del mondo

fuori, questa notte

è solo per noi …

La pioggia non batte più sui

vetri, il temporale è finito,

e anche questa notte …

Purtroppo nessun

temporale è infinito,

nessuna notte è eterna.

CONTINUI A PENSARE

Continui a pensare che le lacrime

che mi fai versare adesso

mi rendono col tempo

più forte …

senza sapere  che mille altre volte

ho pianto di nascosto. E la mia forza

è rimasta la stessa ….

Continui a pensare

che le tue parole dure mi rendano

più grande …

senza sapere che ho già ascoltato

mille volte parole che mi tagliavano

come pugnali e non mi sembra di

essere diversa …

Continui a pensare

che facendomi del male io mi dimenticherò

di te, e comincerò ad odiarti

senza sapere che mille volte mi hai

fatto più male di adesso …

ed io sono sempre rimasta “forte”!

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L’8 marzo, ieri ed oggi

 

L’anno scorso il Direttore si è impegnato a passare per ogni cella offrendoci un mazzetto di mimose, un gesto inaspettato quanto gradito da noi detenute. In occasione dell’otto marzo di quest’anno, invece, ci è giunto un messaggio anche dell’assessore provinciale alle politiche sociali attraverso dei vasetti di violette accompagnato da un incitante frase dedicataci proprio dalla titolare Tiziana Virgili.

Il suo modo di porsi ha reso la sensazione che si identifica in ognuna di noi, sottolineando la caparbietà delle donne capaci di superare l’impossibile. Questa credo sia la forza che ci contraddistingue dal sesso maschile, intrinseca nell’essenza femminile oltre alle altre qualità.

Il concetto per cui si è mantenuta tale ricorrenza è che negli anni si è concretizzato il significato, allora urlare nei cortei la parità dei sessi doveva raggiungere il riconoscimento di quei diritti che oggi sono uno status sociale. L’otto marzo, per quante fra noi sono state protagoniste di quei periodi, come è accaduto a me, arriva come una ventata portatrice di quei momenti intensi vissuti unite.

Momenti gioiosi, nei quali, con grinta, sfilavamo nei cortei studenteschi coinvolgendo le classi lavoratrici sicure di dare spazi adeguati al ruolo, allora, oppressivo per la donna a cui non era concesso “osare”, secondo un regresso concetto maschile o maschilista. Per fortuna il tempo ha dimostrato la nostra determinazione nell’ambito sociale, oltre che familiare, perciò il ricordo di questa data porta con sè il simbolo di un passato che ha lasciato i suoi frutti.

Si è apprezzata la sensibilità espressa dall’assessore provinciale all’assistenza sociale e vorremmo considerare questa visita “augurale” come auspicio per l’inizio di un contatto continuativo. La strada più costruttiva sono le tanto agognate applicazioni nell’ambito lavorativo, sulle quali si basa la nostra speranza di tornare alla vita sociale fuori dalla ristretta realtà.

Rovigo è una piccola realtà carceraria in cui convergono gli arrestati entro le zone limitrofe compresa l’area padovana, ma vi sono detenute, già definitive, trasferite da altre istituti, con condanne relativamente lunghe. Chi si trova all’inizio della carcerazione ha magari possibilità di uscire, mentre quante hanno una pena definitiva potrebbero accedere alle misure alternative. Peccato, peccato davvero che siano una percentuale irrilevante quelle transitate in art. 21 o in semilibertà, così da scontare il loro debito con la giustizia rientrando in contatto con il mondo esterno.

E’ sempre traumatico l’impatto del dopo carcere che segue a lunghe carcerazioni, lo è per tutti, sarebbe certamente alleviato quando il singolo ha un supporto famigliare. Nella maggioranza dei casi si può contare solo sulle proprie capacità, ma come dimostrarle se non vengono offerte opportunità?

Una delle mete che si prefiggono le donne ristrette a Rovigo è trovare ascolto presso gli enti in grado di interagire con l’esterno accogliendo le richieste di impiego lavorativo e corsi professionali. Forse è il senso che diamo all’otto marzo in questo tempo, noi donne durante la battaglia dentro la nostra reclusione.

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Il Paradiso in me

di Cristina

Rieccomi in veste di osservatrice, visto che non conosco molto bene questo edificio, sono curiosa però per la proiezione a cui assisterò oggi, ma neanche il luogo va disdegnato. Non per la sua bellezza, ma in caso di evasione...

La proiezione di un video girato nella Casa Circondariale di Rovigo è stata possibile per la collaborazione di alcuni ragazzi della sezione maschile su proposta degli operatori del “Laboratorio di creatività ed espressività - Associazione Arancio Chimera”.

Il tema parlava di Paradiso ... ce ne sono di paradisi! Qualcuno può pensare a quelli “tropicali”, qualcun altro all’Eden, o altro ed invece: “silenzio che s’inizia”.

Brevi flash back tratti da film come Matrix, musiche moderne e qualche bella ragazza che balla, immagini intervallate da un’intervista a quattro ragazzi che, per loro fortuna non sono più in questo istituto, parlano di questo argomento strano: il Paradiso. Il pensiero che loro intendono trasmettere è quello di un paradiso che è dentro ognuno di noi, soprattutto ogni detenuto, che può trovare anche se i valori si riducono al nulla in un luogo come questo.

Si possono avere castelli, automobili e denaro al di là di queste mura, ma qui non contano, qui conta quello che sei non quello che hai. Cercare uno status per stare bene in un posto dove non ti abitui, che tu ci sia già stato o meno, al massimo ti ci puoi adattare.

A dire il vero pensavo di trovarmi di fronte ad un video più teatrale, se non maggiormente movimentato visto che i protagonisti erano seduti e parlavano. Carino il concetto, soprattutto perchè lo abbiamo visto in armonia e ne siamo stati i primi spettatori, in quanto alla sera veniva proiettato in città in piazza Vittorio Emanuele. Mancava forse un poco di espressività, di mimica, di movimento, che i protagonisti hanno compensato verso la fine della registrazione con una marcetta, uno ad uno, un po’ ridicola, penso, per risollevare il morale al pubblico. In ogni caso ci fatto piacere l’occasione di poter essere uniti, senza alcun problema, confidando di poter partecipare ad altre proposte ricreative o culturali insieme, senza quelle barriere quotidiane che ci limitano in tutto e per tutto.

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Compagna di strada

 

Siamo sempre a confronto con donne che hanno davanti del tempo da scontare…. Penso che Celeste centri l’immaginario della ragazza immigrata in Italia dove ha lavorato e vissuto per anni a cui un fatto ha determinato una condanna di sei anni. Il flash fotografico di lei mi riporta al primo periodo del suo arresto. Qualcosa di orientale emanava, senz’altro, mentre la vedevo passare davanti alla mia cella, forse spaurita ma con lo sguardo fiero. Oggi l’ho ritrovata più serena e fiduciosa verso il suo futuro che sicuramente tanto avrà da offrirle.

“La mezzanotte è la fine di un giorno e l’inizio di un altro…”. Queste parole imprimono nella mente di Celeste, l’otto marzo, parole comprese nel biglietto omaggiato direttamente sul “posto di lavoro”, infatti il giro di rappresentanza è transitato anche in cucina. La sua tendenza all’emozionalità sfocia spesso nei copiosi lacrimoni che silenziosi esprimono il suo patos.

Non è stato uno stupore accoglierla in cella durante la pausa pranzo, ancora carica del momento piccolo quanto toccante. Sono proprio le piccole cose, nei semplici gesti che danno un valore per Celeste, piccola ma grande donna, consapevole di avere davanti una lunga condanna, lontana da casa , ma sempre disposta all’ascolto, alla mediazione pacifica.

Lei la forza l’ha portata da lontano, intensificando la sua fede negli anni, riuscendo a farla traspirare in ogni attimo, per chi le ha vissuto assieme in cella. Alle volte le consiglio di imporsi sulle cose ma Celeste non vuole sentire e continua la sua strada immergendosi nella lettura della Bibbia ogni sera, il sacro testo che ripone sopra alla branda.

Il significato di credere nelle parole insegnate dal Padre Celeste la rapporta al vissuto quotidiano, comunque siano le condizioni e situazioni. Un esempio, che raramente ho potuto cogliere sminuito da “praticanti di comodo” i tanti che si incontrano in carcere, i quali si appellano “forse” per necessità all’aiuto di Dio. Lei no, ci crede vivendo quegli insegnamenti, io penso che valga la pena di dire “verrà ricompensata”.

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L’orso bruno

di Elisa Concudo

E’ arrivato l’orso bruno / i vigliacchi scappano per primi / tutti han paura per i loro bambini / ma io resterò, l’orso affronterò.

L’orso bruno ha denti d’acciaio, / strappano la carne con morso letale. / L’orso bruno ha artigli affilati, / tagliano la pelle come fossero lame / ma io resterò, l’orso distruggerò.

Lui si getta contro me, / una mossa e riesco a salvarmi / una mossa voluta dal cuore / troppa sofferenza e troppo dolore.

Poi gli salto sulla pancia / dalla bocca butta fuori l’orrore / anime giovani ingoiate in un solo boccone.

Poi continuo a saltare, salto / libero le anime tutte.

L’orso ormai è morto, sta arrivando il serpente / ora cavalcherò il serpente della libertà.

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A Celeste

 

Oggi devo ringraziare una ragazza: Celeste; è l’unica ad essermi stata vicina, spiegandomi, con poche parole, come fare per non cambiare, e per non lasciare, soprattutto, che le altre cambino me. Forse l’inizio per “iniziare” ad andare avanti da sola.

Basta piangermi addosso, è ora di tirare fuori la grinta che so di avere, e ogni tanto di passare sopra le cose, specialmente se stupidate. Celeste ha ragione quando mi dice “tu sei come loro”. No, non sono e non vorrò mai esserlo. Però dovrò diventare meno altruista, questo non vuole dire che sono cattiva, anzi io ci ho provato, in tutti i modi, ma l’unico modo per andare avanti “per la mia strada” in questo momento è non guardare gli altri. Come mi arrangio io, ci riusciranno anche loro. Troveranno anche loro la loro strada.

E’ difficile per me, fare un qualcosa (fumare, bere un caffè) davanti ad una persona che ha la stessa voglia, ma magari in quel momento non può, allora magari mi vergogno e rinuncio anch’io, però loro non rinunciano a niente, anzi a volte fanno cose apposta per ferirmi.

Quindi, d’ora in poi, in questa cella ci sarò soltanto io, con i miei pensieri, i miei ricordi, e una ragazza davvero speciale, molto umile che però ha deciso che prima di tutti gli altri c’è Dio e lei, ora farò anch’io così.

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