«Prospettiva Esse – 2002 n. 2»

Indice

  1. La realtà del carcere minorile (F. Cantini)
  2. A Cogne si specchia la giustizia del nostro Paese (F. Cantini)
  3. Affettività in carcere (I. Marin)
  4. UISP: giochiamo alla pace, ovunque (redazione)
  5. Giusto processo (F. Cantini)
  6. Il Pubblico Ministero informa (redazione)
  7. La politica (D. Previato)
  8. Vogliamo il nuovo carcere (redazione)
  9. Quando i pensieri non si staccano dai ricordi (D. Previato)
  10. Una giornata da dimenticare (F. Commone)
  11. Uno spaccato di realtà diversa ma viva e pulsante (D. Previato)
  12. Il mio primo permesso (I. Marin)
  13. The illegal rave party (C. Calderulo)
  14. Autolesionismo e carcere (G. Fedrigo)
  15. Solitudine (I. Marin)
  16. Voli di dentro (poesie e quant’altro)

 

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La realtà del carcere minorile

di Ferdinando Cantini

La Giustizia si esercita, non la si impone né con leggi raffazzonatrici né con alchimie giurisprudenziali. Che anche nelle carceri minorili vi sia un profondo disagio è una realtà non più sconosciuta ormai.

Che vi sono problemi di avere i finanziamenti volti a consentire la continuazione di linee trattamentali di recupero, invece è situazione perlopiù conosciuta agli addetti ai lavori e ai Ministri inadempienti, oppure, se si preferisce, inottemperanti.

Con volontà risolutrice di questa situazione di inefficienza e precarietà, interviene la proposta di una disegno di legge che è approvata dal Consiglio dei Ministri il 1° marzo 2002. Senz’altro si può notare un’inversione di marcia o di tendenza. Seppur legittima la necessità sociale di prevenire e reprimere i reati causati dai minori, la direttiva risolutrice del problema non potrà unicamente basarsi su un inasprimento delle pene oppure nell’anticipare l’ingresso del minore nel circuito penitenziario per adulti. Invece si ha l’impressione che la tendenza legislativa si voglia indirizzare a ridurre il problema della delinquenza minorile.

Togliendo dal circuito rieducativo delle carceri minorili oltre che una notevole quantità di mezzi e personale specializzato nell’opera trattamentale, anche il minore che nel frattempo matura il 18° anno di età. Sembra quasi che l’adulto (stato) a fronte delle mille domande e dei molti perché del bambino dica : “zitto e mosca, e a letto senza cena!”. Non è mai stato, questo, un modo coerente e corretto di affrontare ed indirizzare verso giusti obiettivi l’innata curiosità adolescenziale che mira unicamente a costruirsi un bagaglio di informazioni necessarie per costruirsi un proprio spazio e un proprio ruolo nella vita. Anche le devianze minorili possono essere messe su questo piano e ci saranno buone possibilità di risolverle se la risposta ad esse non sarà solo: “zitti e mosca”, e l’indirizzo perentorio imposto: “tutti a letto senza cena”.

Il minore non va giustificato in quanto tale, ma nemmeno potrà essere lasciato fuori dalla porta di casa (società), soltanto perché nella sua immatura valutazione ha imboccato una pista errata nel crearsi il proprio spazio vitale. Sicuramente non è trascurabile la necessità di eliminare dalle carceri minorili il modello negativo che può essere dato da chi si sta avvicinando alla maggiore età, però questa situazione potrebbe anche essere risolta, più coscienziosamente, con una maggiore presenza nel circuito minorile di attività incentivanti la volontà di partecipazione di ogni minore.

Togliere la mela marcia non salva il paniere, anche le altre potranno marcire a suo tempo. Sì, forse si otterrà la visione di un paniere colmo di frutta fresca, quasi acerba, ma nel frattempo quante pattumiere saranno riempite? E quando tutte le pattumiere saranno riempite “chi e come” si prenderà la briga di svuotarle?

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A Cogne si specchia
la giustizia del nostro Paese

di Ferdinando Cantini

Una mamma e il suo bambino. E’ stata lei a trucidarlo o non è stata lei.

Siamo o non siamo il paese, che ancor prima di essere “Paese” ha dato le origini a Dante Alighieri? Guelfi e Ghibellini … innocentisti e colpevolisti, rinascono e si ricoalizzano ad ogni occasione. Siamo noi, gli italiani!

Senz’altro sono pochi, ma forse nessuno, quelli che non esprimono un giudizio nella triste vicenda della mamma e del bambino di Cogne.

A cosa servirà ora celebrare il processo… tanto le sentenze nate nel giustizialismo delle cronache si sono insediate già nelle opinioni individuali e “nessuno” è disposto a cambiare la sua.

Carcerazione e scarcerazione, non sono più topici momenti, che in austera solennità, devono incidere sulla sacralità individuale del diritto inalienabile alla libertà, divengono argomenti di tifo da stadio… e ognuno porta nel cuore una squadra, e per essa è pronto a divenir cieco e sordo ad ogni lapalissiana evidenza.

Ma in fondo cos’è successo? Me lo sto chiedendo, senza volermi riferire al conciso fatto di cronaca, chiamiamolo pure pudore, il pudore di non volermi immischiare nel dolore di una tragedia, dove un bambino è morto ammazzato e una mamma, la sua mamma oltre che piangerlo, deve difendersi dall’accusa di essere la sua carnefice.

La cronaca che ritengo più vera e degna della mia attenzione e della mia capacità di raziocinio è quella di osservare l’imponenza della macchina della giustizia quando individua nel mirino un bersaglio.

Quanti mezzi e quante forze sono state dispiegate per provare che la mamma è la carnefice del suo bambino?… E mi chiedo anche: - chissà quanto sarà costato questo dispiegamento di forze -, bello sarebbe che la Giustizia oltre che il conto presentasse anche la fattura!

Eppoi mi soffermo a ragionare: <<E’ giusto che la Giustizia trionfi sempre e che sia adoperato ogni mezzo per fugare ogni possibilità di dubbio>>… Si! Ma perché ci sono fatti o persone che meritano più giustizia di altri?

Il noto broccardo: - due pesi, una misura - continua ad essere attuale.

… E se un Pubblico Ministero si vuole che sia solo una parte nel processo, non sarebbe forse opinabile che fosse una “Parte” Terza, ad investirlo di autorità nel procedimento con un mandato accusatorio.

Il libero arbitrio nell’azione penale, anche se viene chiamata “obbligatorietà dell’azione penale” è una delle grandi storture nel nostro Nuovo Codice di Procedura Penale. Dico libero arbitrio, perché è solo il libero arbitrio del Pubblico Ministero che pur nell’obbligatorietà dell’azione penale, può decidere in assoluta insindacabilità, tempi, modi e mezzi con cui esercitare l’azione penale nei confronti di un indagato. E si sa, difficilmente siamo pronti ad accettare che la montagna partorisca un topolino.

E’ stato accantonato il Vecchio Codice di Procedura Penale, perché si riteneva che si fosse formato in epoca molto vicina al ventennio fascista e si volevano maggiori garanzie.

L’evidenza dei fatti dimostra che nemmeno il vecchio codice esaltava in così grande misura il culto della persona del Pubblico Ministero.

Che la mamma di Cogne sia innocente o colpevole non è situazione che deve aizzare gli animi o le opinioni della gente, ma deve trovare il suo giusto ambito in un’aula di giustizia. Ma intanto deve essergli garantita ogni forma di rispetto.

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Affettività in carcere

di Ines Marin

Non è facile per me parlare di affettività, anche se è molto importante nella mia esistenza, ma come straniera trovo difficoltà ad esprimermi su questo argomento. Da trentatrè mesi sono ristretta e soltanto da quattro ho contatti telefonici con i miei tre figli. Quando sento le loro voci mi emoziono così tanto che ogni volta sembra la prima! Li sento vicini in quei pochi minuti che mi sono concessi. Cerco di rasserenarli e assicurarli per quanto mi sia possibile. Certo, quando rientro in cella, ogni volta sono triste e molto addolorata, vorrei rimanere con loro al telefono più a lungo. Inoltre provo un forte senso di svuotamento. Nella mia testa martellano le loro voci! Soffro. I miei pensieri sono rivolti a loro e rimango in attesa di risentirli di nuovo. Noi stranieri sentiamo più forte la mancanza dei familiari, così lontani…ma se mi guardo attorno mi accorgo che anche molti italiani soffrono, in alcuni casi sono stati proprio abbandonati dalla famiglia, la mia non mi ha abbandonato! Molti di coloro che sono qui non hanno né colloqui, né telefonate. Sono soli nella loro cella! In carcere abbiamo bisogno di sentire qualcuno vicino e io mi ritengo molto fortunata, seppur lontana da casa, perché grazie al telefono non mi sento sola.

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UISP: giochiamo alla pace,
ovunque

a cura della redazione

La Uisp con l’iniziativa “Peace Games” propone una serie di attività sportive prefiggendosi i seguenti obiettivi:

-     Contribuire all’inserimento delle famiglie nella società che le ospita e in quella del loro paese, se e quando potranno farne ritorno;

-     Migliorare lo sviluppo psicologico e cognitivo dei bambini offrendo spazi e servizi socio-educativi che costituiscano un valido deterrente all’occupazione minorile;

-     Rafforzare la capacità di autosostentamento delle famiglie fornendo formazione professionale agli adolescenti e alle donne;

-     Migliorare la condizione igienico-sanitaria delle famiglie fornendo loro informazione e assistenza primaria.

L’Uisp di Rovigo, fra i vari progetti proposti, si è impegnata per un programma sanitario e socio educativo alle famiglie dei profughi afgani rifugiati a Lahore, ed avvalendosi della collaborazione con l’associazione pakistana Ance, mira ad assicurare a tale popolazione l’assistenza sanitaria di base, l’educazione all’igiene e profilassi, l’animazione per i bambini, l’alfabetizzazione e formazione professionale per i giovani e le donne.

Con la nostra squadra di calcio partecipiamo al torneo organizzato dalla Uisp, seguito ogni sabato con calore da tutta la popolazione detenuta. Si vorrebbe, quindi, dare un pregnante significato anche aderendo, con altruismo e senso di umanità, alla raccolta indetta per dar seguito al programma a favore della popolazione afgana, così duramente colpita dalla guerra. La commissione sportiva sensibile ed attenta anche a questi fatti umani e soprattutto alla grave situazione dei bambini propone ai detenuti, liberamente, di dare un loro contributo minimo di un euro per questa attività umanitaria.

Invitiamo, pertanto, a partecipare oltre che sportivamente anche generosamente qualificando, così, la nostra presenza sia con fatti sportivi, che con la nostra spontaneità.

 

Per poter dare la propria offerta occorre utilizzare i normali moduli in uso presso la Casa Circondariale e la somma verrà trattenuta dal servizio C/C.

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Giusto processo

di Ferdinando Cantini

Si parla di giusto processo… se si persegue la finalità di un processo giusto si deve per ovvia considerazione ritenere l’attuale processo ingiusto.

Cos’è il processo? E’ il momento giuridico in cui il Giudice esamina i capi di imputazione formulati dal Pubblico Ministero a seguito di un’indagine preliminare condotta nei confronti di un indagato che, in un’udienza preliminare ha assunto la qualità di imputato.

Molte norme raccolgono la procedura con cui viene dato tempo, spazio e valore alle azioni che formalizzano il processo nei confronti di un individuo.

A ritmo da catena di montaggio nelle aule di giustizia del nostro Paese, i processi si susseguono ogni giorno dal 22 settembre 1989, giorno in cui è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale. Il “Giusto processo” oggi vuole indirizzare ad una effettiva parità tra difesa ed accusa, circostanza che, a quanto sembra, non si verifica.

Se esaminiamo i principi e il mandato su cui si fonda il vigente Codice di Procedura Penale, possiamo apprendere:

a)   Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare il nuovo codice di procedura penale, secondo i principi ed i criteri direttivi e con le procedure previste dalla presente Legge.

b)   Il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri che seguono:

1)   Massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale;

2)   Adozione del metodo orale;

3)   Partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento; facoltà del Pubblico Ministero e delle altre parti, dei difensori e della persona offesa di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento; obbligo del Giudice di provvedere senza ritardo e comunque entro termini prestabiliti sulle richieste formulate in ogni stato e grado del procedimento dal Pubblico Ministero, dalle altre parti e dai difensori.

Il mandato di delega legislativa al Governo si esplica con l’esposizione di altri principi su altre questioni di procedura, ma a questo punto ha già definito su quale piano si collocano accusa e difesa.

Se questo è contenuto sul mandato costitutivo ricevuto dal Governo per il codice di procedura penale vigente, oggi non si dovrebbe parlare di una necessità di modifica per rendere il processo più giusto, si dovrebbe parlare di tradimento del Governo al mandato ricevuto il 22 settembre 1988.

A causa dell’infedeltà tra il codice vigente e il mandato ricevuto, il codice di procedura attuale dovrebbe decadere per la perdita di ogni valore e i processi formatisi nelle sue more sarebbero da considerare nulli se si vuole scrivere la parola giustizia con la “G” maiuscola. Gli interessi sociali e il bene sociale collettivo si conservano anche salvaguardando una “G” a capo della parola giustizia.

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Il Pubblico Ministero informa

a cura della Redazione

Il Pubblico Ministero informa l'indagato:

che, ai sensi del combinato disposto degli art. 97 c.p.p. e 29 Disp. Att. c.p.p., gli è stato nominato quale difensore d’ufficio:  …………………………….

a)   che nel processo penale è obbligatoria la difesa tecnica e che alla persona sottoposta all’indagine sono attribuiti i diritti e le facoltà previste dalla legge ed in particolare:

-     il diritto di nominare uno od al massimo due difensori di fiducia con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata:

-     il diritto, se in stato di custodia cautelare, di conferire con il difensore sin dall’inizio della esecuzione della misura;

-     il diritto, in caso di arresto in flagranza o fermo, di conferire con il difensore subito dopo l’arresto od il fermo;

-     il diritto di richiedere, durante le perquisizioni, l’assistenza del difensore o di persona di fiducia, purché prontamente reperibile;

-     la facoltà di presentarsi spontaneamente al Pubblico Ministero ed alla Polizia Giudiziaria e di rilasciare dichiarazioni;

-     la facoltà di presentare memoria e produrre documenti;

-     la facoltà di non comparire con i limiti di cui allo art. 376 c.p.p., e di esercitare il diritto al silenzio ai sensi e nei modi stabiliti dallo art. 64 c.p.p.;

-     il diritto ad essere informato con chiarezza dei fatti contestati e degli elementi di prova a carico;

-     la facoltà di svolgere, a mezzo di difensore, indagini difensive e la facoltà di nominare consulenti tecnici;

-     la facoltà di chiedere al Pubblico Ministero il compimento di atti di indagine a proprio favore;

-     la facoltà di richiedere la trasmissione degli atti ad altro Pubblico Ministero ritenuto competente per territorio;

-     il diritto di richiedere incidente probatorio;

-     la facoltà di avere notizia delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato ai sensi e nei limiti dell’art. 335 c.p.p.;

-     il diritto di impugnare provvedimenti pregiudizievoli;

-     il diritto di essere rimesso in termini ai sensi dello art. 175 e ss. c.p.p.;

-     la facoltà di richiedere l’applicazione di pena su richiesta, la definizione del processo allo stato degli atti (secondo le condizioni e le modalità previste dagli artt. 438 e ss. c.p.p.), il giudizio immediato e l’oblazione;

-     la facoltà di rinunziare alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (1 agosto/15settembre);

-     il diritto ove non conosca la lingua italiana, di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti a cui partecipa ai sensi dello art. 143 c.p.p.;

-     la facoltà di presentare, entro 20 giorni dalla notifica dell’avviso di cui allo art. 415 bis c.p.p., memorie, produrre documenti, depositare documentazione relative ad investigazioni del difensore, chiedere al Pubblico Ministero il compimento di atti dell’indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

Ogni facoltà e diritto va esercitato nei casi, nelle forme e nei termini previsti dal Codice di Procedura Penale e che quanto sopra riportato rappresenta una mera indicazione dei diritti e facoltà attribuite alla persona sottoposta ad indagine ed allo imputato che ogni ulteriori informazioni circa i diritti e facoltà attribuite dalla Legge potrà e dovrà essere richiesta più dettagliatamente al difensore il quale ha il dovere di offrire la miglior consulenza e difesa possibile;

b)   che la persona sottoposta alle indagini ha facoltà di nominare un difensore di fiducia con l’avvertimento che, in mancanza, l’indagato sarà assistito da quello nominato d’ufficio;

c)   che, obbligatoria la retribuzione del difensore d’ufficio, ove non sussistano le condizioni per accedere al beneficio di cui alla seguente lettera d) e, in caso di insolvenza, si procederà ad esecuzione forzata;

d)   che le condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato indicate dallo art. 3 L. 217/1990 sono le seguenti:

1.   Può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato chi è titolare di reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dalla ultima dichiarazione, non superiore a lire 8.000.000 nell’anno 1990 e dal 2000 a lire 11.260.000.

2.   Se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito, ai fini del presente articolo, è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, ivi compreso l’istante. In tal caso, i limiti indicati al comma 1 sono elevati di lire due milioni per ognuno dei famigliari conviventi con l’interessato.

3.   Ai fini della determinazione dei limiti di reddito indicati nel comma 1 si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’Irpef o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.

4.   Si tiene conto del solo reddito personale nei procedimenti in cui gli interessi del ricorrente sono in conflitto con quegli degli altri componenti il nucleo famigliare con lui convivente.

5.   Ogni due anni con decreto del Ministro di Giustizia, emanato di concerto con i Ministri del Tesoro e delle Finanze, può essere adeguata la misura del reddito di cui al comma 1 in relazione alla variazione, accertata dallo Istituto Centrale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per la famiglie di operai ed impiegati, verificatesi nel biennio precedente.

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La politica

di Dino Previato

La sensazione di vivere momenti certamente difficili della storia attuale del nostro Paese ci deriva dal vedere ogni giorno eventi, quali scioperi, arresti di agenti di polizia, magistrati l’un contro l’altro (vedi Napoli), membri del governo che parteggiano o per una parte o per l’altra, a seconda che l’opposizione si atteggi a difesa di questa o quella parte, guerra politica di contrapposizione talmente radicale che si ha l’impressione di vivere una commedia all’italiana, ma dove ci porterà? Il Presidente della Repubblica, da super partes, viaggia nella stratosfera, per scendere ed intervenire ogni tanto con richiami che hanno l’unica preoccupazione di non immischiarsi nelle cose terrene!

Un quadro fosco che, se non fossimo entrati nel secondo millennio, sarebbe tipico della decadenza medioevale! Mancherebbero, infatti, solo le lotte fra i Comuni, che purtroppo oggi sono sostituite da quella delle Regioni. I testi di storia affermano che quello fu un periodo meraviglioso, infatti, le arti, le scienze videro un impensabile fiorire d’attività che ci portò nell’era moderna. Qui invece si è passati dalla prima alla seconda Repubblica. Si badi bene che gli uomini sono sempre gli stessi.

Non si vede il nuovo rinascimento, anzi la tanto decantata rivoluzione, non riuscita alle Brigate rosse forse è stata completata da “Mani Pulite”? La vera moralizzazione del tessuto sociale, o il salto di qualità non si è ancora visto!

Da che storia è storia, purtroppo, l’alleanza fra poteri dello stato e le forze economiche ha sempre portato ad una dittatura o alla caduta della democrazia. L'esperienza dei “corsi e ricorsi storici” ci dovrebbe insegnare molto. Ricordo solo quella di Cincinnato, che, nominato dittatore romano, non appena finito il suo compito, preferì ritirarsi a vita privata. Ebbe inizio, così la grande storia di Roma. Oggi invece la “pulizia” tanto declamata ha distrutto una classe dirigente, favorito una parte economica e una parte politica. E’ questa la grande novità! Come sempre succede ora si vuole bloccare il processo di rinnovamento ricercato con nuovi eventi legislativi e l’ammodernamento delle istituzioni della società e si oppone quasi una santa crociata come fossero dei nuovi cavalieri della Tavola Rotonda!

Appare chiaro che non sempre i loro interventi sembrano animati, infatti, dal sacro furore tipico dei Catoni Censori, ma appaiono come interventi orientati a tutela del loro operato. Ricordiamo gli assiomi come mafia ed antimafia, ma, purtroppo la mafia esiste ancora; oppure come corruzione ed anticorruzione, ma anche questa purtroppo non lascia libero il campo. Sono esempi che lasciano perplessi! Nasce il dubbio su chi sia il migliore, il tutore dell’ordine, l’accusato o il giudice, sono dubbi che nascono e sono ormai ampiamente divulgati fra i cittadini comuni.

Il "Resistere, resistere, resistere" del Procuratore generale di Milano, ora pensionato, fa nascere questi dubbi. Non si pone il problema della radicalizzazione nella lotta politica che lui ha determinato in queste attuali situazioni. La pluralità di voci insite e giustificate dal sistema proporzionale, è stato sostituito dal monocorde radicalismo, non so più quanto di maniera, del maggioritario attuale.

Pensava forse che la sua manus lunga potesse effettivamente governare l’Italia secondo leggi discrezionali dei giudici e non degli eletti!

Si è perso il giusto equilibrio fra i poteri dello Stato, né vi è un tentativo di riportare un po’ d’ordine e normalità fra questi elementi. Fare un passo indietro è difficile!

Un tempo, morta una forma statuale, la preoccupazione del “principe” era quella di pacificare la società e rideterminare i ruoli e le funzioni in maniera che ognuno rispondesse secondo il proprio ruolo e si determinasse una nuova armonia per un giusto governo della cosa pubblica.

La seconda repubblica è morta prima di nascere, perché di aborto trattasi, proprio perché non si sono cercate le ragioni del fallimento della prima e non si è riflettuto per trovare il nuovo equilibrio su cui farla sorgere. Tutti maestri nel voler imporre il proprio non motivato pensiero.

Gli attori di questo passaggio si sono preoccupati di far contare le loro realtà e privilegiare i propri interessi mentre forse abbisognava cercare in profondità le ragioni del perché è venuto meno il loro compito. Si aveva paura di scoprire che le realtà frantumate dai giudici erano contemporaneamente necessarie per la loro comune sopravvivenza. A che è servito far scomparire una realtà se non sono in grado di rideterminarne un nuova? Non si affermi che è colpa della globalizzazione! Anzi proprio questa dà la misura del loro fallimento! In politica gli spazi lasciati liberi sono immediatamente occupati. Hanno perso potere perché, condizionati sia all’interno che all’esterno, non sono stati in grado di governare i cambiamenti.

Meglio, hanno dimenticato di “fare politica”, come si dice nel linguaggio degli addetti ai lavori, perché preoccupati di difendere la propria parte. Recuperare un ruolo di progetto, forti idealità, che sono presupposti culturali per “mediare” gli interessi che la società gli poneva, il tutto è rimasto al di fuori della loro portata.

Proviamo a pensarci osservatori neutrali davanti alla televisione, cosa noteremo? I linguaggi del piaccione per eccellenza, le stoccate del centro sinistra, le stilettate del centro destra, etc. ma la mediazione politica dove la dobbiamo ricercare, i progetti di nuovo Stato dove sono? Slogans comunicativi per attirare l’attenzione e null’altro.

Ai nostri giovani quale motivo di riferimento o modelli suggeriamo? Giovani, anche culturalmente preparati preferiscono il cosiddetto “Movimento” rifiutando la politica, non accorgendosi di rinunciare alle proprie idee!

A cosa servono le manifestazioni se non si riesce ad incidere nelle scelte?

Se tali volontà non trovano riscontro a chi dobbiamo rivolgerci? Si dirà ancora che è colpa degli addetti ai lavori? La rapidità dei cambiamenti ormai fa intendere che essa sia lontana anni luce! Occorre prendere l’iniziativa e farsi avanti cominciando con lo stabilire i ruoli e compiti di chi intende operare all’interno della società? Determinare la forma più significativa dello Stato che si vuole creare, affidare ai soggetti sociali nuove mete ed idealità in cui muoversi. E’ veramente triste e fuorviante osservare un conflitto sociale permanente per l’art. 18. La riforma del “mercato del lavoro” alla luce delle nuove situazioni che si sono determinate, il voler agire nel cosiddetto mercato globalizzato e le sue nuove regole, debbono essere affrontate perché oggi siamo cittadini del mondo e non di realtà locali anche se, purtroppo, ne siamo ancora profondamente legati. Quello che corre è un mondo diverso da quello in cui si sono stabilite le regole della convivenza civile!

La capacità di inserirsi in una mercato rispetto ad un altro dipende dalle nostre scelte e dalle nostre capacità? Aspettiamo l’America? Il nostro deve essere un ritrovare solidità interna ed affrontare con consapevolezza il mondo esterno. E’ sempre stato un’importante regola economica di espansione. Un tempo era delegata alla politica ed ad essa si chiedeva di creare tali condizioni, proprio perché la mediazione fra i popoli era il fondamento delle relazioni internazionali.

Oggi a chi lo chiediamo? Ai magistrati e ai nostri politici? Esporteremo un modello si sviluppo impostato sulla mafia ed antimafia e pure penale simile ai Paesi in via di sviluppo che, pur essendo noto, non sarebbe certamente gradito alle Nazioni forti le quali hanno strumenti più all’altezza del compito? Vedi la Germania con il caso Khol, Gli Stati Uniti con Nixon, Bush, La Francia, etc.

Lo chiediamo ai Politici? Quale forza essi hanno? Non riescono a far valere le proprie ragioni senza che non vi sia un’accusa di inaffidabilità? Non riusciamo ad imporre il nostro punto di vista perché dobbiamo consultarci, quando va bene, con i grandi. Siamo fra le sette nazioni più industrializzate, cosa succederebbe se fossimo fuori di tale consesso?

Lo chiediamo al potere economico? La Fiat sta percorrendo la sua strada verso la General Motor’s, la Montedison sta percorrendo le via della Svezia in contrapposizione con la Francia, nel campo finanziario i grossi gruppi hanno il loro pacchetto azionario in mano alle holdings straniere.

Lo chiediamo alle organizzazione sindacali? Vivono nella nostra realtà difendendo solo chi lavora senza preoccuparsi di quello che sta succedendo attorno a noi! Oppure vedi il problema del Mezzogiorno che difendono senza presentare un programma con degli obiettivi? Sono all’interno di organizzazioni mondiali del lavoro, ma si preoccupano solamente della loro forza da portare nelle posizioni politiche dominanti.

Quale futuro si può avere in questo contesto?

Dobbiamo attendere una deriva che avrà effetti disastrosi per il nostro futuro riportandoci con problemi insoluti alle soglie delle nazioni in via di sviluppo.

Ecco lo sforzo che si deve fare: ammodernare la nostra società e prepararci ad essere cittadini del mondo! Evitare gli errori di sempre, cioè fare le riforme e lasciare inalterato il tessuto precedente. Abbiamo fatto la seconda repubblica senza seppellire la prima! Facciamo chiarezza e dimostriamo di aver capito la lezione della storia!

Questo ruolo di forte rinnovamento riformistico, che lo si voglia oppure no, è compito della politica e come tale chi vuole partecipare al gioco deve assumersene con forza la paternità. La grande colpa del ceto dirigente della prima repubblica è stata quella di aver governato per cinquant’anni alla luce di due ideologie dominanti e contrapposte, senza creare le condizioni per un loro adattamento alla realtà in forte ed accentuato cambiamento.

Mi domando se la gerontologia politica precedente era all’altezza del compito? Spiace doverlo riconoscere, forse lo era più dei paggetti attuali che sono impegnati nella politica. Almeno, pur con il limite delle ideologie, loro credevano in un progetto, oggi non riusciamo ad averne uno e camminiamo alla cieca puntando alla soluzione del quotidiano.

Aspettiamo il principe? Chissà se la televisione od il mondo delle telecomunicazioni potrà darcene uno? Speriamo che ciò succeda quanto prima e che non sia come il Re Travicello nella favola di Fedro.

Certo i “rispettabili” di un tempo con il loro attaccamento alle poltrone non hanno aiutato a crescere una nuova classe dirigente, ed oggi ne risentiamo notevolmente la carenza, ma ricordiamo che, ad ogni fenomenologia rivoluzionaria, sia essa cruenta che non, ha sempre corrisposto un salto di qualità, proprio perché il nuovo è sempre emerso.

Oggi forse pensiamo di risolvere la situazione con i Di Pietro, i Berlusconi, i D'Alema, etc., sembriamo essere ad una parata dove i “generali” mostrano le medaglie delle loro attività precedenti. Dobbiamo guardarci attorno e rivedere criticamente tutto il mondo che ci circonda ed allora ci accorgeremo che c’è una vera ricchezza di uomini e di idee, che non vuole impegnarsi in politica, in quanto dicono che non hanno spazio o, peggio ancora hanno paura. La nuova repubblica, se nascerà finalmente, può sorgere proprio basandosi su queste forze, cercando di creare un nuovo equilibrio tra i poteri della nostra società, ma anche creando nuove idealità e nuovi e più reali concetti di vita.

Se per un attimo si riesce a dir basta ai vari teatrini che oggi dobbiamo osservare, faremmo la cosa più rilevante recuperando la fiducia dei nostri giovani.

Aprirci al nuovo, ed il nuovo molte volte non è la minestra riscaldata o quanto meno il rivisto di un tempo.

Occorre saper credere e rimboccarci le maniche, uniti da un moto “il mondo è dei migliori ma anche che è importante partecipare”, vincere o resistere è patrimonio d’altri tempi ormai sepolti.

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Vogliamo il nuovo carcere

a cura della redazione

La forte attesa alimentata dalle forze politiche, dai mass-media, per il nuovo carcere, ha creato presso i detenuti della Casa Circondariale attese e preoccupazione che con questo documento si intende esternare.

La preoccupazione maggiore che traspare dalla lettura degli articoli riguarda il tipo di carcere che si vuole costruire. Desideriamo far sentire, in qualsiasi forma possibile, la nostra opinione, non tanto per incidere sulle scelte, ma per evidenziare le necessità e le funzioni cui dovrebbe rispondere una nuova struttura.

Se sia giusto ed opportuno, questo per noi non è rilevante, ma, visto che in ogni caso, a qualcuno deve servire, si vorrebbe che quest’esperienza particolare che noi oggi viviamo, fosse d’aiuto per far sì che essa risponda sempre più al dettato previsto dalla Costituzione Italiana: carcere uguale a recupero dei reclusi.

Abbiamo letto ed ascoltato, scritto e divulgato, richiesto e, qualche volta, avuto anche il confronto, per questo vogliamo raccogliere il tutto in un numero supplementare della rivista “Prospettiva Esse”. Ci è sembrato un fatto utile per futura memoria e servirà anche per le ulteriori iniziative che si intendono intraprendere, perché la problematica del nuovo carcere finisce per toccarne altre che si ritiene utili per il futuro e soprattutto perché non sia solamente un fatto reclusivo isolato e a sé stante, ma perché anche la carcerazione significhi un fatto economico attivo ed una sicura partecipazione all’azione di recupero alla società civile, che la legge prevede ma a cui molte strutture dimostrano di non credere.

Coinvolgere la città, non tanto solo per chiedere, ma anche per dare, ci sembra un’ opportunità da non sottovalutare né da trascurare. Che il mondo del recluso sia alla fin fine una realtà a sé stante e molte volte sconosciuta dalla cittadinanza è una verità accertata. Essa infatti vede solo la presenza del delinquente incallito che deve essere punito, un bruto da nascondere, invece, non si rende conto che, in molti casi, c’è una umanità che vive e pulsa ma è costretta a soffocare i propri istinti migliori nell’isolamento, nell’abbandono e, se ci è concesso, anche nella miseria di una vita inutile.

Si piange per una storia di vita difficile che viene esposta nelle varie trasmissioni televisive, ma molto spesso quelle stesse storie sono vita quotidiana che si perde nell’annullamento della vita in cella.

Il recupero o la rieducazione di un detenuto parte dalla consapevolezza di non sentirsi inutile e solo dall’avere qualcuno o qualche cosa per cui la vita val la pena di essere vissuta. Tale speranza non può essere coltivata come atto di fede ma deve vivere in un contatto stretto con la realtà e con la società, altrimenti gli atti d’autolesionismo diventano l’unico strumento per dimostrare d’essere ancora in vita.

Ci siamo domandati: conosciamo il nostro vicino di casa? Quanti esempi abbiamo di persone morte all’interno di un appartamento e scoperte dopo giorni tra l’indifferenza dei più. Ecco perché destare un minimo d’attenzione verso il detenuto non vuol dire orientare un senso nuovo di pietà caritatevole, ma cercare di capire che anche la società ha le proprie colpe di cui il più debole è caduto vittima. Il buono ed il cattivo esistono ovunque, perché li si vuole solo all’interno delle mura carcerarie?

Una riflessione, la nostra, che vuole essere alla base di un nuovo e ritrovato rapporto con la società civile e che deve essere portata avanti, non tanto perché ci sono, ma con la convinzione che la luce della verità e dell’onestà non è patrimonio dei civili o della legge.

Giustizia ha un valore che supera il diritto giurisprudenziale espresso dalla legge ed applicato dai giudici.

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Quando i pensieri non si
staccano dai ricordi

Ovvero  “Vivere il presente ripensando al passato”

di Dino Previato

La perdita della libertà fa senza dubbio male. Essere rinchiusi in 15 metri quadrati ti fa ancora più soffrire e perdere la testa. Avere contatti con propri simili, con cui devi condividere la sofferenza, è senza dubbio uno scoprire un’umanità molto diversa da quella con cui fino ad oggi ti sei posto in relazione. Ti lenisce il dolore del distacco dalla tua quotidianità e aiuta a trovare in te la forza per essere d’aiuto al tuo vicino.

In questo contesto, cerco, provandolo prima su me stesso, di capire cosa frulla nel cervello di ognuno, per trovare non tanto le ragioni, che sono evidenti e non si nascondono, ma la forza di cui ciascuno ha bisogno per migliorarsi.

Dopo diversi giorni di riflessioni, letture e meditazioni sulla brevità della vita, spesi per sopire la solitudine ed il dolore dell’allontanamento dai miei cari, ho scoperto che l’uomo sa adattarsi alla situazione ed ho trovato in me l’energia di guardarmi dentro e di trovare una motivazione che rafforzi la voglia di vivere e la volontà di non essere un “morto che cammina”.

Se il corpo deve restare segregato fra quattro mura, certamente lo spirito sa attraversare le sbarre e le stanze più consistenti e non si ferma a guardare ed osservare le mura di cinta, riesce a rivisitare la città che lo circonda, si sofferma ai quattro lati di Piazza Vittorio Emanuele, si ferma sul Corso del Popolo ad osservare la gente affaccendata e al lavoro.

Tutto quell’affaccendarsi, quel correre, quell’osservare le vetrine e rincorrersi senza mai ritrovarsi, quello scostarsi e riprendere il percorso, sembra quasi che tutto sia dovuto e che tutto ti appartenga. Quanto tempo perso, quante volte ho percorso quella strada, le vasche della piazza, quel soffermarmi ad osservare i bambini sulla statua di Vittorio Emanuele, quel prendere il caffè frettolosamente. Quella era la vita che mi apparteneva ed oggi mi accorgo che era tempo perso.

Ricordo un amico giornalista, quando un giorno fermi davanti al cinema Corso, chiacchierando del più e del meno, guardandosi attorno affermava: ”Vedi … quanti morti che camminano! Non c’è spazio per dialogare, per scambiarci un’opinione, per dimostrare un po’ di calore umano! Nemmeno la voglia di bestemmiare! Solo accumulare, correre per avere e come, in perfetta solitudine, diventare dei nababbi! Non c’è spazio per dimostrare un minimo d’umanità, la voglia di mettersi in relazione con un proprio simile! Tanti sconosciuti che preferiscono la solitudine del loro vivere”.

Sorrisi a quell’affermazione, ma oggi, ripensandoci, mi accorgo di quanta verità fosse raccolta in quell’espressione. Oggi, che gli uomini e le loro regole mi hanno imposto questo ulteriore stop, mi accorgo di quanto la mia vita, al di là degli affetti familiari, fosse proprio tipica di un “morto che cammina”. Ho riletto Seneca, un autore studiato sui banchi della scuola e soffermandomi sul “Dispunge, inquam, et recense vitae tuae dies: videbis paucos admodum et reiculos apud te resedisse”...” Praecipitat quisque vitam suam et futuri desiderio laborat, praesentium taeddio. At ille qui nullum non tempus in usus suos confert, qui omnes dies tamquam vitam ordinat, nec optat crastinum nec timet”, mi sono accorto che anch’io ho vissuto come se il domani non avesse importanza. Ho preferito limitarmi a parlarmi addosso, a rimirarmi nella mia futile vita. Sono consapevole di aver trascurato tutti quegli elementi che mi consentivano di guardare al futuro per vedere per quali cose potevo essere ricordato.

Tangentopoli, i soldi presi agli imprenditori e non certamente, per essermi battuto a favore della mia provincia, per l’ospedale nuovo di Rovigo, per il rafforzamento e valorizzazione della struttura (persone e struttura), per l’ospedale di Trecenta, per la metanizzazione dell’alto Polesine, per il collegamento di Porto Tolle con Rovigo, dell’isola di Pila con Porto Tolle, per la Transpolesana, per l’interporto, per l’idrovia Tartaro-Canalbianco, per l’ospedale d’Adria, per gli interventi a favore del turismo, dell’industrializzazione del Polesine, gli errori commessi possono cancellare l’attività svolta? Tutte vicende che segnano un territorio e che soprattutto lo portano all’attenzione della comunità. Di questo resta solamente un ricordo fra gli addetti ai lavori e non certamente fra la gente che oggi mi ha condannato, eppure oggi rimpiango il tempo che è venuto meno per dare completamento al progetto avviato. Il dubbio di aver bene operato, il pentimento pesta la mia coscienza la quale davanti alla memoria di una “concussione” attribuitami da un giudice che vorrebbe essere stato imparziale, impegnato a distruggere quanto di buono è accaduto, mi rendo consapevole che il peso delle mie scelte deve ricadere su me e sul mio operato.

Tuttavia, è lungi dalla mia natura quello di macerarmi nella disgrazia e sono consapevole di dover dimostrare come un fatto così clamoroso abbia segnato sì la mia vita, ma anche come abbia reso più forte in me il desiderio di non dover essere ricordato come un brutale concussore od altro che mi si vuole apparire, ma per il bene che sono riuscito e riesco a dare al prossimo, anche in situazioni diverse, ma per questo non meno difficili.

Per questo non devo ripercorrere la strada degli atti giudiziari se voglio far capire come le vicende umane e le situazioni possono mutare, non possono cancellare quello che sono stato e quello che mi propongo, in una nuova dimensione, di essere.

Non solo per dimostrare pentimento, che indubbiamente c’è ed è molto forte, ma per evidenziare il rinnovamento sopravvenuto e superare così l’inconscia giustificazione che tutto era un disegno da cui trovavano giovamento le imprese, e i lavoratori di conseguenza, e poter liquidare il passato pensando a come trovare la forza per guardare al futuro.

Mi rendo conto che quello che ha colpito la mia famiglia e me stesso è la mano brutale di una rivoluzione civile fatta con le carte bollate che, se certamente non fanno sangue, hanno creato i presupposti di un radicale cambiamento della società, forse migliore, ma senz’altro diversa dalla precedente! Perché non dovrebbero incidere anche su di me?

E’ inutile sottilizzare sui valori che l’hanno animata, certamente si è passati da una società dei valori individuali ed oggettivi, alla società del particolare, infatti, oggi predomina il singolo, l’interesse della popolazione della partita Iva, il fenomeno dell’appartenenza all’area, ci si dimentica di valori quali l’uguaglianza, la solidarietà, il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto alla libertà d’iniziativa, ripiegando sull’interesse economico borghese e libertario dove chi grida di più ha ragione, dove chi protesta, trova accoglienza, ma soprattutto dove il forte non soccorre il più debole, ma lo sopravanza, vedi l’America nei confronti dell’Afghanistan. Non è che prima non fosse così ma le azioni dei singoli erano motivate alla luce degli ideali e delle ideologie. Ora tali elementi hanno lasciato libero campo.

E’ per questo che non mi trovo in questo mondo politico e nello stesso tempo mi rammarico perché non sono riuscito a trasmettere quei valori che animavano la mia azione di uomo politico. Oggi non mi resta che urlare questa realtà, farmi testimone delle debolezze che registriamo, valorizzare il buono che invece ne deriva.

I valori della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza sono troppo rilevanti per far sì che siano persi in un’involuzione sociale pericolosa. Prego Iddio affinché mi sostenga con la sua forza ma anche illuminandomi per trovare quella parola che vivifica e rafforza le ragioni del vivere. Non voglio essere la nuova cassandra che piange sulle disgrazie, ma essere colui che, alla luce dell’esperienza maturate, sa additare il rinnovamento che deve esserci in ognuno di noi. Non per fare il sacerdote ma per poter veramente dal basso cominciare a rinnovare una società che sta affossandosi nei suoi miti artificiosi e terreni. Forse è improbo, forse è meglio dedicarsi a coltivare fiori o chiudersi in un eremo, ma sento di dover tentare, se non altro per dire: ho provato!

Dio mio, perdonami per il nuovo atto di orgoglio.

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Una giornata da dimenticare

di Francesco Commone

Un Venerdì sera, telefona l’avvocato e chiede che mia moglie vada nel suo ufficio il giorno dopo … Il Sabato alle nove, puntuale, si reca presso lo studio e io resto a giocare con i figli, ma sentivo che l’aria profumava diversamente dal solito. Qualche cosa che mi riguardava? Dentro di me, n’ero sicuro, ma il mio inconscio non lo voleva ammettere. Continuavo a giocare ma pensavo a cosa poteva volere da mia moglie l’avvocato!

Alle 09,30 arriva mia suocera e con il suo fare materno fa preparare i bambini per portarli a casa sua e senza darmi una spiegazione logica. Succedeva diverse volte che mio suocero li accompagnasse o a far la spesa o al parco, quindi non mi preoccupai più di tanto e glieli affidai. Chiara non voleva andarci e pretendeva di restare a casa con la scusa dei compiti ma la nonna la convinse e la portò con sè.

Mi sentivo solo ed intuivo che si voleva allontanare da me i bambini, per qualche cosa che doveva accadermi. L’unica cosa che temevo era la notizia che mi avessero respinto l’affidamento.

Mi chiusi ulteriormente, non sono mai stato tanto espansivo, e attesi mia moglie.

Sentii suonare la porta e senza chiedere chi fosse al citofono aprii proprio nella certezza che mia moglie stesse arrivando: ero ansioso di conoscere le ultime novità. Entrò, aveva le lacrime agli occhi e abbracciandomi senza dire una parola mi sussurrò, con un filo di voce, che dovevo costituirmi per evitare alla famiglia il dolore della pubblicità, non tanto per sé ma quanto per i nostri figli. Il tutto ormai fra le lacrime.

Compresi che aveva concordato tutto con l’avvocato e cercai di consolarla, ma alla fine mi disse che potevo anche rimanere e che quello era solo il consiglio del legale, ma che la scelta doveva essere mia, soggiunse che probabilmente sarebbero arrivati i “poliziotti”. Le chiesi quanto tempo avevamo perché volevo vedere i miei figli prima del forzato distacco. Le feci capire che in ogni caso la decisione non poteva essere solamente mia, ma nostra, e ritenevo che forse l’avvocato aveva ragione perché questo poteva mitigare la coscienza di chi doveva poi decidere sul mio futuro.

Mi rispose che erano con la nonna. Mio suocero mi attendeva in macchina.

Andammo in camera per preparare la borsa, biancheria intima, maglioni, vestiti, sembrava quasi che dovessi partire per lavoro e non per il carcere, fatto che non mi riusciva di accettare.

Non ce la faccio mi disse, pur con le lacrime agli occhi, cercai di dargli una mano suggerendo quello che mi era necessario e nello stesso tempo mi diceva “Che sarà di noi”? Mi leggeva nella mente perché quella era anche la mia preoccupazione ed istintivamente ci siamo inginocchiati davanti alla croce per pregare il Signore affinché non ci abbandonasse e ci aiutasse ad andare avanti.

Lentamente e tenendoci per mano abbiamo finito di preparare la borsa, sono andato a salutare i bambini dai nonni e poi mi sono avviato con mio suocero e mia moglie al cancello della casa circondariale di via Verdi. Tutto si è svolto in silenzio, l’unico momento in cui si è rotto, è stato quello dell’abbraccio di mio suocero che singhiozzando mi ha detto di aver forza e che questi momenti si superano. Mi sono avviato, accompagnato da mia moglie, verso il “purgatorio” dell’uomo ove in silenzio soffri e ti accorgi che sei solo con i tuoi affetti e nessun altro ti da una mano per placare quel dolore che ti hanno destinato a patire.

Uno dei tanti che debbono affrontare la “Giustizia” dell’uomo.

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Uno spaccato di realtà diversa
ma viva e pulsante

di Dino Previato

Scrivere senza piangersi addosso è estremamente difficile nelle mie condizioni, ma credo sia necessario ritrovare serenità e tranquillità tempestivamente, per poterlo fare. Non resta altro che sforzarsi per vincere le ansie e le indubbie difficoltà. Rassegnarsi è opportuno!

Tutti qui dentro, sopraffatti dalla rabbia contro gli uomini colpevoli, a loro dire, di averli affrancati ai “sepolti vivi”, cercano di professare la propria innocenza o di ridimensionare la propria colpa. Non è il caso mio! Per questo guardo ai magistrati con fiducia e con l’occhio di colui che sa capire.

Mi accorgo sotto quest’ottica di osservare i miei colleghi con un atteggiamento di comprensione, che è inadatto ad evidenziare lo stato che subiscono, tuttavia, mi preoccupo di superare il luogo comune, di imputare il tutto alla società che è stata avara nei loro confronti, per cercare le ragioni vere che hanno determinato lo stato di detenzione.

La popolazione carceraria è composta, per la maggioranza, di giovani. Avranno vent’anni o poco più. Su circa ottanta persone quelle superiori ai quarant’anni saranno una ventina. Questi giovani sono detenuti per la maggior parte per fatti legati alla droga (consumatori o spacciatori) o per fatti legati alla necessità di procacciarsi tale sostanza.

Sul piano culturale non sono degli intellettuali, ma, quello che mi ha sorpreso, hanno tanta voglia di vivere e tanto dinamismo, ma non si pongono il problema di una vita diversa. La maggior parte di costoro ha alle spalle una vita affettiva e familiare piuttosto turbata: genitori divisi, esperienze matrimoniali disastrose, scuole elementari appena finite con molta difficoltà, linguaggio composito (una parola e tre bestemmie) e colorito tipico delle aree marginali e/o del sottosviluppo.

Non so se riconoscono in me un parente stretto e superate le prime titubanze si confidano con estrema sincerità e mi chiedono i soliti piaceri. (Scrivere lettere, richieste varie, etc.). Scopro che è gente sola e che bisogno di una parola di conforto.

Ho cominciato ad uscire dalla cella nella tradizionale ora d’aria e questo mi ha posto in una condizione di spirito oltremodo difficile, quella di nascondere i miei pensieri per ascoltare le loro recondite ragioni. Mi accorgo di diventare un loro punto di riferimento, e comincio a preoccuparmi, anche se in questo modo, ho ottenuto un risultato, si sforzano di non bestemmiare davanti a me ed, a volte, riescono a stare tutta l’ora senza farlo. E’ poco ma è qualche cosa che mi aiuta e mi fa sentire di essere a loro in qualche modo utile.

Nei momenti di riflessione, piuttosto abbondanti, mi scopro a ripensare ai loro discorsi e penso proprio che a questi fratelli disperati manca il sostegno della fede o di qualcuno che sappia alleviare ulteriormente le loro difficoltà e sappia indirizzarli verso ideali o ad avere fiducia nel Signore.

Qui ci vorrebbe un sacerdote che si dedichi a tempo pieno e sappia trovare, non solo la loro fiducia, ma comprenderli ed illuminarli per riportarli sulla strada della luce e della serenità. L’attuale cappellano, fa, senza dubbio, anche più di quella che è considerata la sua parte ma non riesce a toccare tutti, per cui la sua attività risulta frammentaria e limitata.

Qui ne parlano come colui che fornisce scarpe ed indumenti, iniziativa meritoria che lo fa entrare nella loro confidenza, ma poi il tutto scorre nella quotidianità.

Forse è una mia sensazione, ma ritengo che una "parola" ed un atteggiamento di comprensione e di sostegno, sia graditissimo e soprattutto se questo è accompagnato dalla capacità di proporsi come efficace interlocutore con la direzione del carcere ed il magistrato di sorveglianza. Basta poco e quel poco non può essere fatto da un volontariato che non si vede o che è impegnato in attività tendenti ad occupare il tempo al carcerato.

Ecco a mio avviso un’attività che dovrebbe essere osservata, prestare attenzione a questo mondo che pare limitato ma che denota veramente le colpe di una società impostata sul benessere o sul successo facile secondo la logica del più furbo, del più bello, del vincente senza finalizzazioni di tipo ideale.

Sentendomi parte di essa, attore per diverso tempo, mi accorgo, di quanti aspetti sono trascurati e non tenuti nella giusta considerazione e come tanta gente possa facilmente essere preda di sette o organizzazioni senza scrupoli.

E questo mi fa sentire debole e qualche volta inutile, altre egoista e mezzo uomo. Mi par di sentire una voce che mi richiede di impegnarmi a dar voce a quest’umanità, a far di tutto per richiamare l’attenzione su questa realtà che presenta gli aspetti tipici di un’umanità perduta ma che contiene la consapevolezza della propria debolezza e richiede una protezione che la società non assicura.

E’ un impegno forte urlare una situazione esplosiva ma certamente non indifferente.

La nostra società, tanto presa in sé stessa, lo richiede.

Ho saputo che in altre province tale realtà trova voce in un volontariato attento che segue e si sforza di trovare idonee soluzioni affinché la reclusione o, meglio, la privazione della libertà sia in qualche modo utilizzata non tanto come semplice punizione ma quanto orientata nella sua azione di recupero verso la società.

Abbiamo tanta legislazione e letteratura in materia, ma il tutto è lasciato al senso di umanità degli agenti che sono consapevoli di vivere la stessa condizione dei carcerati ma che pur tuttavia hanno doveri e compiti diversi.

Gli addetti ai lavori sono lontani e, vivendo la loro attività come il modo per trascorrere le ore di lavoro, non si preoccupano delle sofferenze e dei problemi che questi disperati possono avere e fanno trascorrere il tempo come se non avesse alcun valore e nessun significato per questi abbandonati da tutti.

Al di là del rinnovo delle strutture carcerarie, occorre diversificare la pena per coloro che debbono scontare pene fino a tre o quattro anni ed accompagnarli verso i valori veri della vita e rimetterli a pieno titolo nella società.

Non ci troviamo davanti a dei mostri, ma davanti a persone che probabilmente, attirati dalla simbologia sociale dominante, sono diventati vittime di questa società. Questo mi sembra dovuto!

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Il mio primo permesso

di Ines Marin

Dopo 33 mesi di detenzione ho ottenuto il mio primo permesso! Sembrava cosa impossibile. Quando, chiamata in matricola per la risposta alla mia richiesta, sono tornata in sezione all’apparenza tranquilla, ma dentro ero in pieno subbuglio! Non mi sembrava vero.

Nell’attesa di quel giorno di “libertà” ho cercato di non pensarci troppo e ci sono davvero riuscita, ma la sera precedente e soprattutto la mattina di quel bellissimo giorno avevo il cuore in gola, mi sentivo nervosa, agitata, le mani tremavano.Un sacerdote, responsabile del luogo in cui avrei trascorso la giornata mi è venuto a prendere in carcere. Uscita dal portone il mio primo pensiero è stato: “Meraviglioso!” Ero oltre le mura mi sono sentita libera! Che bella sensazione vedere il mondo, anche se Rovigo non è il mondo. Stupendo!

Abbiamo raggiunto in macchina un posto che era fuori Rovigo, in aperta campagna. Non mi sentivo più nervosa e il mio pensiero costante era di approfittare di quel giorno per respirare, non un’altra aria ma l’aria! Mi guardavo continuamente attorno, tutto era nuovo per me! Sono colombiana e non ho mai visitato l’Italia per questo il mio dire: “Il mondo è stupendo!” L’Italia è molto diversa dalla Colombia.

Sono stata tutto il giorno in questo posto bellissimo, mi ha colpito subito un grandissimo prato verde con bellissimi fiori e tantissimi animali: galline, capre, un cane e molti gatti. Ho conosciuto delle persone quel giorno e abbiamo pranzato tutti insieme, mi sentivo in famiglia! Tutti sono stati molto gentili con me ma la persona che più mi ha colpito è stata una bambina di sei anni, Michela. Finito di pranzare sono uscita per sedermi all’aria aperta e lei mi si è avvicinata chiedendomi se poteva parlarmi in po’. Mi ha fatto tantissime domande, se ero sposata, da che paese provenivo, se avevo figli e poi mi ha invitata a fare una passeggiata. Sono stata benissimo con lei! Con semplicità e involontariamente per un po’ riportata a casa mia! Ma ovviamente le cose belle durano poco, alle ventuno dovevo rientrare.

Per un giorno mi sono sentita di nuovo viva! Spero che tutto questo si ripeta presto!

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The illegal rave party

di Cristian Calderulo

I rave party sono delle feste illegali, al punto che persino le forze dell’ordine non vi entrano e se lo fanno, vanno in borghese e disarmati. Questi party vengono organizzati all’ultimo momento e solamente tramite “flyer” volantini e numeri di cellulare si riescie ad avere le informazioni per arrivarci. I rave party solitamente vengono fatti occupando delle fabbriche o parchi, certe volte capita che le fabbriche si trovino vicino a delle abitazioni di gente comune. Quando questa gente comune ci osserva si spaventa per il nostro modo di vestirci (tatoo, pearcing, capelli colorati o rasad e per i cani non a guinzaglio), e da come ci guardano sembriamo alieni!

La maggior parte di noi vive in camper o furgoni, case disabitate, ecc., i succitati furgoni vengono utilizzati anche per il trasporto dei sound system o per dj. Per questi motivi le persone ci giudicano emarginati dalla società. Il mio primo rave party ha dato una svolta alla mia vita, sono rimasto così sconvolto nel vedere tutto così organizzato, dalla musica agli spettacoli di fuoco e di giocolieri esperti che da quel giorno ho conosciuto tanti tipi di persone e di tutte le nazionalità (punk besda, dj-frikettoni, are-krishna, spacciatori ed anche gente normale non appartenente a gruppi) ed è proprio lì che ho capito di potermi divertire anche con poco.

In queste occasioni ho conosciuto una bellissima ragazza di nome Sara, che poi è diventata mia moglie  e con la quale ho vissuto in giro per l’Europa, Asia e Messico.

Questa è vita!.

Certo che una domanda viene subito spontanea nel capire la provenienza dei soldi per fare questo tipo di esistenza, ma la risposta è semplice poiché non avendo tasse da pagare né affitti né bollette basta solo spacciare un po’ di droga: ecstasy, trip, ketamina, oppio e funghi allucinogeni.

Comunque la maggior parte delle volte la droga viene controllata da persone ormai esperte nel campo in modo che si possano evitare le cosiddette “dosi killer”.

La musica viene messa su da ragazzi di tutto il mondo facendolo dal vivo con le migliori strumentazioni, con computer appositi per questo genere di lavori che emettono suoni veramente da sballo senza dovere assumere droghe per “sballare”.

La cosa più bella da me notata è la fratellanza in questi gruppi anche se un po’ ghettizzata.

Da pochi mesi ho perso mia moglie in un incidente stradale e proprio quello che viene definito margine della società mi ha aiutato a superare certi momenti e assicuro anche che tutto ciò non è avvenuto con uso di droghe, ma solo con la pazienza di sapermi ascoltare e capirmi nei momenti di bisogno e di tristezza e trovandomi adesso in carcere si stanno occupando del mio caro e fedele amico cane Spyro.

La mia conclusione è di lasciare a voi giudicare se queste persone sono il margine della società oppure sono ragazzi che pensano a divertirsi usando le proprie capacità di sopravvivenza. Chiamateli scemi!

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Autolesionismo e carcere

di Giulia Fedrigo

Sono due parole diverse, ma all'interno di una struttura carceraria divengono, in molti casi, sinonimi. Ormai si è perso il conto di quanti autolesionismi avvengono ogni giorno dentro le mura da cui i detenuti sono circondati, e non sono pochi. Da qualcuno l’autolesionismo è considerato un atto di debolezza, non è così! Un atto di dimostrazione che è solo richiesta di attenzione. In questo caso le lesioni sono lievi. Il vero autolesionismo è fatto con un preciso scopo: sentire, provocarsi un dolore fisico che per un attimo faccia scordare la sofferenza profonda che si ha nell’anima. Un autolesionista non si taglia orizzontalmente, ma verticalmente. Seguendo il cammino della vena. Non è desiderio di togliersi la vita. Lo considero più una gran voglia di vivere. Vivere cercando di evitare quelle lacerazioni profonde che giorno per giorno invisibilmente ci scavano gallerie dolorose

In carcere, in questi casi, la domanda più stupida è: che senso ha? Cosa ci hai guadagnato? Certo, per chi non vive una certa condizione, dove spesso ti trovi a comprimere pesi su pesi all’interno di un contenitore quale sei tu, non può avere nessun senso. Il guadagno è un rapporto disciplinare od una segnalazione, ma che pesa sul poter accedere a qualche, seppur minimo beneficio quale la liberazione anticipata. La cosa che realmente un autolesionista si ritrova in mano è un attimo di respiro. E’ disumano comprimere sempre e comunque, non siamo fatti a fondo perduto! Dunque non è difficile, per chi vuole capire, comprendere questi atti.

Non tutti i detenuti sono capaci a trovare sistemi non autolesionisti a livello fisico e per tutti giunge un attimo in cui il profondo dolore, l’impotenza, le frustrazioni che si vivono in carcere possono esplodere.

Non tutti abbiamo lo stesso sistema di scarico. L’autolesionista va compreso, capito e non certo punito, ovviamente parlo dell’autolesionista serio. La punizione non fa altro che accrescere rabbia in un contenitore già pieno, non può far altro che creare danni maggiori.

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Solitudine

di Ines Marin

La solitudine la viviamo da quando siamo piccoli fino alla vecchiaia, ma noi detenuti la sentiamo ancora di più perché lontani da tutti i nostri cari e lontani dal resto del mondo. In carcere, così soli, ci chiudiamo dentro, non dimostriamo chi siamo veramente, in noi traspare tristezza, soprattutto nostalgia, desiderio di rivedere le nostre famiglie.

In cella, tra compagne, non ci si sente proprio sole del tutto, si scherza, si parla, ci si ascolta ma spesso è solo un modo per allontanare quel senso di solitudine che ognuna di noi sente… in carcere molte persone sono abbandonate totalmente dalla propria famiglia e allora spesso le compagne sostituiscono gli affetti perduti. Qui, dove più di ogni altro posto c’è più bisogno di ascolto e comprensione, la solitudine ci prende per mano.

Una mano amica a volte ti incoraggia a lottare, una voce ti sussurra di non lasciarti abbandonare, di essere forte, la vita va avanti, fuori ci attende il domani, si spera non più soli.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

SOLA:

Sola con i miei sentimenti

Sola con la mia tristezza

Sola con il mio dolore

Sono fra la gente

Cerco compagnia, per un attimo,

un breve istante, pare che non sia più

sola!

Ma nel profondo del mio cuore

Mi sento sola!

INES

11 marzo 1997 fine del viaggio

Affogo nel grigio

di questa cella vuota

e mi trascino stanco

senza entusiasmi

nel perverso rito

del susseguir dei giorni

dei minuti

dei secondi.

Tutto sta scomparendo,

gli amici

gli affetti

le mie vecchie certezze

e tutti quegli aspetti

che ti fanno vivere,

o sognare di vivere,

se ne sono andati.

Richiudo nello scrigno

tutti i miei sogni,

molecole di vita

che ormai non parlano più

col ritmo del mio cuore.

Ferdinando Cantini

Angosce di passato-presente

Notte di luna e stelle

sto ancora sognando

ma forse è solo il caldo

a richiamare il mare.

Così io ti cerco

tra le pagine ingiallite

dell’album di vecchi pensieri.

Dove sei femmina selvaggia

nuda fino a farmi impazzire

e dov’è ora la musica

che infondevi ai miei pensieri,

dove sei mare

dove sei ora femmina amica

col sale nei lunghi cappelli

e il tuo profumo?

Oh! Sì, c’era il tuo sapore

e il bagno in piena notte.

Notte di luna e stelle

tu ora mi fai morire!

Ma forse è solo questa prigione

che mi fa sognare il mare

mi fa sognare, sognare.

Cantano forse queste sbarre

il sinistro canto del mattino

e io affogo il mio risveglio

nell’inchiostro nero della biro

che ora vuol vomitare parole

che la mia mano si rifiuta di scrivere.

Ferdinando Cantini

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