«Prospettiva Esse – 1999 n. 3»

Indice

  1. PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO
  2. Teatro
  3. Io, Pierrot di “Caramelle a uno sconosciuto” (Mohamed B.)
  4. Come essere salvato dopo la scarcerazione (Mohamed B.)
  5. Incubo (B. Wahi Allegra)
  6. Colloqui (Mario C.)
  7. Storia (B. Edmond)
  8. La nostra arma è il coraggio (Daniela C.)
  9. Società capovolta (T. G.)
  10. Tempo e spazio (Mario C.)
  11. Giustizia (Mario C.)
  12. Sesso in carcere: no grazie (Mario C.)
  13. Il punto interrogativo (Roberto S.)
  14. Fumo … spinelli (Nicola F.)
  15. Sfida a volley (Mario C.)
  16. Partita a pallavolo (a cura della redazione)
  17. Attività sportive (a cura della redazione)
  18. “Un calcio all’indifferenza” (Roberto S.)
  19. Voli di dentro (poesie e quant’altro)
  20. Lettera a…

 

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PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

“Prospettiva Esse”... tre anni!!!

Tanto è il tempo trascorso da quando un gruppetto di detenuti si riunì per progettare questo giornalino, tra scetticismo e diffidenza, giorni di riflessione per superare gli ostacoli, l’aiuto dei volontari e il numero “Zero” fu stampato e divulgato.

Pensando in maniera retrospettiva possiamo affermare che”Prospettiva Esse” è stato progettato anche come punto di riferimento per chi si occupa delle problematiche dei detenuti, perché si possano instaurare contatti con la società esterna.

Tutto ciò che è stato compiuto fin qui ci soddisfa, anche se con impegno dobbiamo migliorare ancora soprattutto nella comunicazione per far comprendere che siamo maturi per socializzare con l’esterno. I risultati delle nostre fatiche e delle nostre speranze in questi anni, nell’istituto, hanno trovato strade di incontro attraverso corsi di computer, di fotografia, di scuola media, etc.

La presenza di assessori comunali e provinciali per approfondire le necessità e le problematiche di noi persone detenute, incontri con autorità ecclesiastiche e letterarie, complessi teatrali e musicali, ognuno ha portato il suo contributo.

Tra le iniziative più significative ci piace ricordare la pubblicazione di un volume di poesie dal titolo “Cuori imprigionati” che è stato presentato all’Accademia dei Concordi di Rovigo con la partecipazione di molte autorità; un torneo di calcetto a cinque con squadre esterne tra le quali anche la rappresentativa della polizia penitenziaria, manifestazione denominata “Un calcio all’indifferenza” e da ultimo l’ottimo risultato, di qualità e di impegno, realizzato attraverso la rappresentazione teatrale “Caramelle da uno sconosciuto” che ha avuto l’epilogo esterno attraverso due rappresentazioni a Rovigo e a Stanghella. Insomma la prospettiva della speranza ha continuato ad alimentarsi attraverso molteplici iniziative che hanno instillato in diversi di noi il desiderio di cambiare, di impegnarsi e cercare risposte che non portino più in questo luogo.

Certamente quanto fatto sinora non basta, ma è importante, considerata l’esperienza determinatasi, che possiamo crederci perché abbiamo bisogno di essere aiutati dalla società esterna per l’inserimento nel contesto sociale senza discriminazione. Auguriamoci che “Prospettiva Esse” possa rafforzare ancor di più il filo conduttore con il mondo esterno.

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Teatro

 

L’attività teatrale è divenuta una gradita realtà per i detenuti della Casa Circondariale di Rovigo, grazie all’Associazione “Nexus”, nata nel gennaio 1998 prodigandosi nella ricerca in vari ambiti: carceri, scuole, etc.

Nel giugno 1998 il gruppo porta il progetto del teatro nell’Istituto, un evento speciale. Un percorso non facile, ma l’impegno dei registi, Sara Piffer e Simone Brunello hanno spronato i detenuti a superare le difficoltà. E’ stato un lavoro impegnativo che prima di essere portato all’esterno ha dovuto superare importanti tappe all’interno del carcere, presentandolo prima alla popolazione detenuta, al personale dell’Istituto e ai volontari.

Il punto di partenza per la costruzione della pièce è stato un brano autobiografico scritto da un detenuto, Ben Gars Mohamed. Quindi cercando tracce e spunti dal patrimonio della cultura dei paesi d’origine degli attori o in testi guida come “Pierrot impiegato del lotto” di Enrico Cavacchioli, o nella favola dell’usignolo inventata come metafora della vicenda del protagonista.

Tra le innumerevoli difficoltà che in questo tipo di percorso si è dovuto affrontare, lo spettacolo si arricchiva di significati e valori artistici e umani fino a diventare occasione per proporlo all’esterno, alla città che ospita il carcere nel proprio centro, ma che lo dimentica e lo ignora. E’ comunque un’esperienza bellissima confrontarsi con la società esterna, un lavoro di un anno che si esaurisce in un’ora, un’ora nella quale gli attori provano sensazioni imparagonabili. Immedesimarsi nella persona che al momento interpretano, sentirsi in un mondo che non gli appartiene, fieri che con quei pochi mezzi a disposizione siamo riusciti a superare quelle sbarre, che non sono solo del carcere.

Queste attività, in tutte le sue forme, fanno sì che i ricordi tornino a farsi sentire dentro ognuno fino a tramutarsi in suoni e voci della coscienza che incidono dentro il nostro cammino di una parte di vita afflitta.

Nonostante non sia stato possibile che tutti i componenti del gruppo siano potuti uscire (per problemi giuridici), i quattro rappresentanti che sono usciti a fare lo spettacolo se la sono cavata decorosamente anche grazie alla tenacia dei nostri “insegnanti”. Le rappresentazioni che si sono svolte il 20 giugno presso la Chiesa di S. Michele di Rovigo e quella del 27 giugno presso il piccolo teatro di Stanghella (PD) entrambe hanno avuto successo, seguite con attenzione e ammirazione dal pubblico.

Ora vogliamo continuare questa esperienza per riproporci meglio, chissà che queste attività non possano essere inserite nel circuito dei teatri della commedia, e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Rovigo non ci ignori ancora.

I componenti del gruppo: Ben Gars Mohamed, Krid Kamel, Palie Kamel, Lakita Otmane.

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Io, Pierrot di
“Caramelle a uno sconosciuto”

di Mohamed B.

Raccontare nella mia lingua la fiaba di un usignolo, metafora profetica della mia vita, e poi cantare e danzare con i miei amici, nella festa d’addio in mio onore.

E poi ritrovarmi in una terra sconosciuta, tra gente che non conosco, che mi sembra così lontana da me, così distratta da”altre cose”, sempre più importanti, sempre più urgenti. E io non riesco a farmi ascoltare. Quando sono alla disperazione, quando sento di non farcela più e crollo, solo allora sembra che mi vedano. Mi dicono che ci sarà posto anche per me: dovrò togliermi quegli abiti strani e metterne di uguali ai loro, dovrò fare quello che fanno loro, comportarmi come loro, essere come loro.

Quando mi trovo in quel sistema in cui al mio arrivo non riuscivo ad entrare, invece di esserne lieto, mi sembra che manchi qualcosa... forse manco proprio io...

Dove è andata a finire la mia dignità? E quelle caramelle che devo portare a persone che non conosco, cosa sono? Sono solo con me stesso, a contare le caramelle che mi sono restate, quando ritrovo nella borsetta alcune cose che appartengono al mio passato... Ricordo la mia terra, i miei amici, i miei affetti... e quella favola, sì, la ricordo... quella dell’usignolo...

Parlava di un uccello tutto grigio, brutto ma con una bella voce, che lascia il bosco e va a cantare in una foresta dove nessuno lo ascolta. Un giorno però il re della foresta lo fa chiamare e gli dice che avrebbe potuto cantare per lui nella radura. Così gli fa togliere le sue brutte piume grigie e ne fa mettere di belle, colorate e lo manda a cantare. Quando l’usignolo si accorge che il suo canto serviva ad attirare animali nella radura per procurare la cena al re, è troppo tardi... stanco e pesante per tutte quelle piume colorate, non riesce a spiccare il volo... e finisce nelle fauci del re leone... Proprio come Pierrot, proprio come me... peccato di essersene accorti ancora una volta troppo tardi.

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Come essere salvato
dopo la scarcerazione

di Mahamed B.

Sono un detenuto, sono stato messo in carcere per avere commesso un reato.

Sto scontando la mia condanna, mi prendo le mie responsabilità riguardo a questo, perché ho sbagliato, nei confronti di me stesso e degli altri.

La vita in carcere è difficile, lo è stata soprattutto la prima volta che ci sono entrato; però pian piano sono riuscito ad adattarmi, grazie ai compagni, grazie al lavoro e ai colloqui con operatori penitenziari: dal direttore, al comandante, agli assistenti volontari, all’educatore.

Spesso mi domando come mi vedono, come sono considerato, cosa pensano le persone di me e dei miei pensieri...

Fra i pensieri che mi si accavallano, penso a quelle persone che hanno avuto più di una condanna e sono finite in carcere più di una volta, che l’assillo più grande per questi recidivi è il pensiero del “fuori”. Perché al momento dell’uscita dal carcere vengono considerati come individui che hanno dei precedenti e che quindi non possono vivere e non possono entrare a far parte del mondo fuori, non considerando che queste persone possono essere cambiate.

Questi preconcetti generalizzanti penalizzano anche coloro che hanno mutato atteggiamento; pertanto sarebbe veramente il caso di cambiare questo modo di pensare e di cercare di dare una mano a quelli che escono dal carcere. Questo può salvare delle vite e consentire a qualcuno di condurre un’esistenza normale, quella a cui tutti hanno diritto!

Abbiamo fiducia che qualcuno ci ascolti, soprattutto chiediamo la possibilità di cambiare e di avere un lavoro.

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Incubo

di B. Wahi Allegra

Prima di tutto vi auguro di vedere il più presto possibile la chiave della libertà, come la auguro all’amore che ho trovato fra queste mura. Nei miei 23 anni ho trascorso una bellissima vita fino a quando mi hanno portato in questo posto; è stato un brutto incubo, la mia prima esperienza, la prima volta che mi ha fermato la polizia e in quella occasione sono stata portata in questo posto. Non sapevo neanche cosa pensare, né cosa fare, ero persa in un mondo che non riuscivo a capire. Dopo poco sono uscita, ma passato qualche giorno, sono stata incarcerata di nuovo, e quell’incubo è ricominciato ancora peggio. In tutto questo dolore però è nato un sentimento che non credevo potesse crescere tra le mura del carcere. Un giorno ho cominciato a corrispondere con un ragazzo della sezione maschile e più che andava avanti il rapporto epistolare più mi attaccavo a lui. Più scoprivo le difficoltà di scontare la mia condanna, più lui mi scriveva lettere piene di sentimento. Poi c’è stata la Messa per la Pasqua e in quella occasione ho potuto vedere il mio amore. Non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi, ero emozionata, imbarazzata.

Sa solo Dio come mi sono sentita in quel momento!

Dopo, in cella avevo solamente quel viso davanti a me.

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Colloqui

di Mario C.

Mercoledì e sabato sono i giorni dei colloqui. L’hai appena terminato e già ricominci a contare i giorni per il prossimo.

Passano le giornate, le notti in attesa che presto arrivi il giorno che ti possa regalare qualche attimo felice, magari di una buona notizia, tutto poi ad un tratto svanisce quando ti senti chiamare.

Sei felice, perché qualcuno ti è venuto a trovare, sul volto compare la gioia. Confuso dentro.

Ti prepari, fai la barba, ti vesti nel migliore dei modi, ti guardi e riguardi allo specchio se trovi qualcosa che non va.

Senti ancora che ti chiamano, ti emozioni sempre di più e il sorriso sempre più marcato sulle labbra, il cuore batte a mille, perché tra qualche minuto vedrai la persona cara.

Inizi a fantasticare pensando a quello che dovrai dirle.

Cerchi di darti l’ultima sistemata prima che si apra la porta della saletta dove entrerà la persona amata.

Entra, la guardi un po’, ti avvicini a lei che da giorni non vedi, la fissi, l’abbracci, la baci. Come d’incanto tutte le cose che avevi pensato di dirle svaniscono... riesci solo a dirle “ti amo”.

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Storia

di B. Edmond

Sono un Albanese che è stato costretto a fuggire dal proprio Paese in relazione ad una situazione politica assurda, fuggire da dove l’odio e la vendetta vince su ogni diritto all’umanità - ho cercato ospitalità in questa Italia dove ho trovato accoglienza e amicizia.

Durante questa esperienza di detenuto ho avuto modo di avvicinarmi alla fede di Dio e con l’interessamento del cappellano dell’istituto, Don Damiano, ho avanzato la richiesta per ricevere il primo sacramento: il battesimo.

Con questo non chiedo nessun tipo di assoluzione per i miei errori, ma solo il sacramento che da tempo attendo e che non ho mai avuto la possibilità di ricevere.

Infatti, attendo con speranza e convinzione ciò che la mia coscienza mi suggerisce: avvicinarmi a Dio, essere un buon Cristiano suo seguace su tutto ciò che ci ha insegnato sacrificando se stesso.

Nel mio piccolo vorrei poter dare un significato nuovo alla mia vita e riuscire a dare qualcosa in più a me stesso e agli altri.

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La nostra arma è il coraggio

di Daniela C.

Per noi ogni raggio di sole, ogni rumore sentito da lontano è un ricordo, è il ripensare al tempo passato e a momenti quando non capivamo l’importanza della libertà.

Io rifletto su tutti i momenti che passo qui e li definisco.

Qui trovo soprattutto la noia, tutti i giorni, paralisi interiore, mancanza di equilibrio interiore.

Il dolore mi induce alla riflessione ogni minuto, ogni giorno senza sosta. Dentro queste mura trovo anche molte delusioni.

La fantasia è la mia forza interiore, immobile qualche volta. Sono nuvole che passano ogni tanto dentro di noi, danno un po’ di ombra, poi escono al sole.

Ma le nostre mura non parlano perché sennò racconterebbero quello che sentono e cioè che dentro di noi esiste un sogno uguale prima o poi realizzabile: la libertà.

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Società capovolta

di T. G.

Secondo una concezione generalizzata i diritti umani nel carcere non hanno valore, oppure sono ridotti al diritto elementare della vita e della sussistenza, sufficiente in quanto ogni soggetto legalmente incriminato, violando la legge, si pone al di fuori della società. Per tale motivo, dovuto alla propria colpa, i suoi basilari diritti, garantiti all’esterno, in carcere sono sospesi.

Ma per questi diritti garantiti dalla società, di quale società parliamo?

Di quella parte che poi è pronta a non rispettare assolutamente tali diritti, ma che li pretende ogni qualvolta qualche altro si trova inviaschiato in qualcosa di poco serio.

Al contrario più viene toccato un appartenente all’élite, tanto più vengono invocati diritti perché ogni misura che li riduce ed eccede lo scopo di salvaguardare la società e i suoi appartenenti, rappresenta una violazione.

Perciò è chiaro che senza la certezza, anche nell’arresto e malgrado questo, di vivere in un ordinamento che tutela il diritto delle persone e delle loro individualità, ogni sforzo di rimanere all’interno di uno stato di diritto è condannato in partenza al fallimento.

Purtroppo, in questa società capovolta, armonizzare diritti e doveri con le problematiche che si evidenziano ogni giorno da un complesso sistema comportamentale d’illegalità, sia di massa che individuale, non è facile, anzi, è talmente sottile la linea di demarcazione di tali diritti, che infrangerla è un gioco da ragazzi. Quando, in un recente passato, la magistratura ha abusato del suo potere per inquisire i cittadini, violando in molti casi i diritti fondamentali dell’uomo, si sono alzate autorevoli voci per dire basta e che i metodi usati dai magistrati non sono degni di un paese civile come pretende di esserlo l’Italia. Pienamente d’accordo con quanti hanno protestato, ma in questo benedetto Paese, quale miracolo occorre per portare la legalità?

Si può dire che non è ancora stato messo a punto il progetto per uscire da tangentopoli, che è scoppiato il problema “Medicopoli” truffe e ruberie in nome della sanità. Centinaia di medici sono indagati dalla Procura di Milano, se così è, vuol dire che i medici, invece del giuramento d’Ippocrate hanno fatto quello a Mercurio (dio dei ladroni).

A questo punto lo sbragamento è totale, quindi dobbiamo riflettere seriamente e serenamente, senza farci influenzare dal gioco delle parti.

Oltre ai diritti alla vita e all’integrità della persona, quelli all’inviolabilità del domicilio, alla proprietà personale, alla libertà di religione e di coscienza, il libero diritto all’informazione e all’espressione, sono diritti alla libertà che possono essere facilmente violati. Ma allora, chi rispetta le regole in questo benedetto Paese? Ulisse, ovvero nessuno.

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Tempo e spazio

di Mario C.

Sono infiniti gli inconvenienti che un detenuto deve affrontare durante la carcerazione.

Ognuno proviene da realtà diverse e conseguentemente ha esigenze diverse che vengono azzerate nell’istituto, e il rapporto con il tempo, la pena inflitta oltre che a precludere le proprie necessità imprime una brusca frenata all’espressione dei propri sentimenti, e il raffronto del proprio io con la società esterna.

Tutto questo comporta un logorio della mente, che è attraversato da stati di angoscia, solitudine e mancanza d’affetto.

Per molti, la pena inflitta può continuare psicologicamente anche quando termina.

Questo perché continua a esistere il rapporto tempo e spazio, oltre alle difficoltà di reinserimento nel sociale.

Forse pochi s’immaginano cosa sopporta il detenuto nel trovarsi per anni in segregazione, mentre fuori il contesto sociale si evolve e non gli appartiene più.

E’ successivamente drammatico riallacciare i rapporti sociali e difficile specie per coloro che hanno scontato anni e anni di reclusione.

Certo, la persona dopo anni di reclusione esce distrutta psicologicamente e fisicamente con la necessità di dimostrare di non essere deboli mantenendo il massimo equilibrio.

La speranza deve essere la nostra forza di reazione d’animo per far sì di recuperare il dislivello creatosi nel tempo.

Ecco perciò che assume una notevole importanza il fatto che nell’istituto, dove viene espiata la pena, ci siano gli operatori del trattamento preposti alla preparazione e alla formazione per il reinserimento della persona detenuta nella società, parlo degli educatori, assistenti sociali, volontari, etc. Coinvolgendo i servizi sociali del Comune, che devono anch’essi guidare l’ex recluso all’inserimento.

E’ importante per tutti comprendere il pesante bagaglio di sofferenze e l’incapacità psicologica-mentale di trovarsi come in un mondo improprio.

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Giustizia

di Mario C.

Ormai nessuno si scandalizza se una persona che ha commesso un reato per un po’ finisce in “custodia cautelare”. La macchina della giustizia è però fatalmente lenta, così molti riacquistano la libertà per decorrenza dei tempi massimi di detta custodia. Tanti, dopo questo periodo, vengono riconosciuti innocenti, altri colpevoli.

Citando i dati statistici europei si viene a sapere che il 44% delle persone incappate nella giustizia sono state riconosciute innocenti e che l’abuso della custodia cautelare è diventata una consuetudine nella nostra civiltà giuridica perché si cerca di fondarla su leggi dettate dall’emergenza. Uno Stato civile non deve vivere perennemente passando da un’emergenza all’altra e quando l’emergenza non c’è se ne crea un’altra. L’ultima della serie: microcriminalità.

Con queste leggi e leggine la verità è che oltre ventimila persone all’anno vengono incarcerate e poi scarcerate perché innocenti, o perché trascorsi i termini massimi della custodia cautelare, in numero minore i condannati.

Ecco che nella fattispecie il sovraffollamento nelle carceri è inevitabile. E per emarginare il sovraffollamento, modifica della legge Gozzini con la legge Simeone. Con quella si prevedeva un cospicuo sfollamento delle carceri.

Un detenuto costa allo Stato circa centottantamila lire al giorno e se ai detenuti vengono concessi i benefici scritti nell’ordinamento penitenziario, ovvero ultima legge Simeoni: affidamento, semilibertà, detenzione domiciliare etc., le carceri si sfoltirebbero di circa dodicimila unità che, calcolando le cifre, lo Stato verrebbe a risparmiare la bella somma di 800 miliardi l’anno.

Non è che attraverso questo ragionamento intendo semplificare la questione, ma ritengo che un maggiore tasso di giustizia, che vuol dire anche meno abuso della custodia cautelare, significherebbe minori spese e forse meno tasse.

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Sesso in carcere: no grazie

di Mario C.

La proposta del Ministro di Grazia e Giustizia: “La stanza dell’affettività” ha suscitato interesse tra i detenuti.

Grazie signor Ministro, ma solo per avere mostrato interesse alle problematiche dei detenuti. Il sesso in cercare: no grazie!

D’accordo che in altri Paesi è già in atto da tempo, ma lì ci sono strutture che nel nostro Paese mancano. Infatti da decenni, anziché adottare delle iniziative per migliorare le strutture carcerarie tali da rendere meno afflittiva la detenzione , si è badato solo a costruire enormi complessi di città murate, per lo più fatiscenti, dove la persona viene chiusa in una cella, dove a malapena ci si può muovere.

Il detenuto ha la sua dignità innanzi tutto e deve salvaguardare anche quella della propria moglie, della sua compagna. E’ già afflittivo il fatto di fare colloquio con i famigliari separati da un bancone e un agente che scruta in ogni momento.

Con quale stato d’animo si affronterà questa eventuale possibilità, se non quello deprimente, quando ci si recherà in questa “stanza dell’affettività” con un agente che ti dirà: “un’ora di intimità, lasciare tutto in ordine”.

Questa vogliamo chiamarla affettività ? No, anzi è più un’offesa al pudore.

Allora, il nostro Ministro Diliberto, interessato alle problematiche dei detenuti, non deve cercare di guarire la piaga in questa maniera, occorrerebbe un concreto intervento perché l’attuale ordinamento penitenziario, per i benefici che ne consegue, venga messo in atto, non resti solo scritto: Al detenuto “può” essere concesso: ma si deve operare perché “può” venga corretto in “deve”.

I permessi, l’affidamento, la semilibertà, questi benefici per sanare le deficienze, devono essere concessi nei termini previsti e non quando il detenuto sta quasi per terminare la pena.

L’ordinamento penitenziario fu emanato nel ‘75, modificato dalla Gozzini nell’ ‘86 con lo scopo del reinserimento graduale del detenuto nella società.

Basterebbe attuare quanto previsto in queste leggi per dare quelle possibilità per una minore afflizione del detenuto e non si offenderebbe la sua dignità con la stanza dell’affettività.

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Il punto interrogativo

di Roberto S.

Questo 1999 è iniziato all’insegna delle riforme costituzionali, in particolare della giustizia, almeno sulla carta, col nuovo Ministro di Grazia e Giustizia, Diliberto, non di secondaria importanza il fatto che sia di sinistra, si sono messe in cantiere depenalizzazione, Giudice unico, riforma penitenziaria e non per ultime una possibile amnistia e indulto delle quali mi occuperò in un prossimo articolo per rendere meglio l’idea delle aspettative che tutto questo provoca sulla popolazione detenuta.

Ma la sorpresa più grossa, che più mi ha lasciato sconcertato senza essere arrivato ad una logica conclusione, è stata la rimozione dall’incarico di direttore degli Istituti penitenziari di una persona come Alessandro Margara.

Per chi non lo sapesse, credo tra di noi molto pochi, Margara è stato un pioniere nell’applicazione della legge Gozzini. Dal suo Tribunale di sorveglianza in Toscana è stato da esempio a decine di giudici di sorveglianza, ha ridato speranza a molte persone recluse solo applicando alla lettera la legge Gozzini, ha mandato in permesso persone che in matricola avevano il tragico “fine pena mai”.

Se è vero che il primario compito della reclusione non è il punire ma il reinserire in modo più graduale per un futuro rientro in società, lui lavorava in questo senso, credendoci fermamente e con tenacia nonostante in quegli anni fossero molte le cariche dello Stato a cui dava fastidio.

Vi posso dire, solo per dovere di cronaca, che negli anni 70 e 80 erano centinaia le persone che chiedevano il trasferimento in un qualsiasi penitenziario toscano, magari allontanandosi centinaia di chilometri da casa e rinunciando anche ai colloqui settimanali, per essere sotto la sua giurisdizione, non in cerca di favoritismi, ma per avere una attenta valutazione personale prima di chiedere eventuali benefici, cosa che Margara faceva prima di emettere una sentenza, con una umanità inusuale per la corrente di pensiero della Magistratura di quei tempi.

Detto questo, solo per rendere giustizia a quest’uomo, vengo a sapere che anche come direttore degli Istituti penitenziari si stava impegnando molto per portare le nostre strutture ad un livello europeo, lo si vedeva spesso in trasmissioni televisive, non perché volesse entrare in politica, ma per far capire all’opinione pubblica che se anche tutti cercano di rimuoverlo dai propri pensieri esiste un mondo di persone che vivono in reclusione, persone che vanno aiutate, sempre secondo giustizia, ma mai dimenticate.

Allora mi chiedo perché sostituirlo? Mi domando, con stupore perché proprio un Ministro di sinistra, con questo non voglio dare giudizi politici, che si ritiene paladino di nuove riforme, esautora un uomo come Margara? E tutto questo sulle nostre spalle in quanto al suo posto non è stato messo don Ciotti o Pisapia, ma un uomo come Caselli che tutti conosciamo, un uomo il cui biglietto da visita si chiama 41 bis.

Dopo questo, non voglio andare oltre, essendo Margara una persona, a differenza di molti uomini pubblici, non incollato alla sua poltrona. Ha lasciato in punta di piedi come d’altronde ci era arrivato, ha lavorato con impegno finché ha potuto.

Addio vecchio leone, anzi arrivederci.

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Fumo … spinelli

di Nicola F.

Chiunque detiene, importa, acquista sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nella tabella II IV per uso personale, ovvero coltiva sostanze stupefacenti comprese in dette tabelle per farne uso personale incorre alle sanzioni penali previste dalle attuali normative.

Parliamo del fumo, il famoso spinello.

Da tempo è diffusa l’usanza che i giovani si riuniscono, mettono un tot di soldi ciascuno e uno di loro va ad acquistare “gli spinelli” per una serata trasgressiva. Molti di questi sono ragazzi che lavorano, gente per bene. Con questa attuale normativa chi viene pizzicato dalle forze dell’ordine molte volte finisce in prigione.

Una vita spezzata. Certo, perché molti di questi “bravi” ragazzi in prigione conoscono i veri spacciatori, che in un secondo tempo li adopereranno come corrieri e con droghe pesanti.

La Commissione Giustizia del Senato l’articolo di legge in merito alle cosiddette “droghe leggere” lo aveva incluso nel testo dei reati da depenalizzare, quindi, che non fossero più reati penali, ma soltanto illeciti amministrativi, ma l’assemblea dei senatori ha ritenuto troppo ardita questa proposta ed ha eliminato il testo. Per l’uso personale ben poco resta di significativo, sono e restano solo promesse di affrontare la questione in altri tempi e con altri strumenti, tutto suona come una beffa; infatti sono trascorsi già due anni da che se ne parla.

In futuro ci si accorgerà di aver creato sempre più pene detentive e soggetti da emarginare, cui si promette altri strumenti alternativi. I nostri politici non trovano spazio per mediare queste problematiche, anzi finiscono sempre per assecondare gli umori momentanei e, come tale, creare il senso comune di essere sempre più lontani dal senso della realtà.

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Sfida a volley

di Mario C.

L’attività sportiva è una realtà gradita sia dalla popolazione detenuta, che coglie l’occasione per trascorrere una giornata diversa, che dalla comunità esterna che conosce il “pianeta carcere” nel quale vivono persone con i propri valori di vita e la loro dignità.

Comunque un’esperienza per tutti. Può succedere anche attraverso la semplice partita di pallavolo che si è disputata nella Casa Circondariale di via Verdi tra i detenuti e la squadra di pallavolo della associazione polisportiva Grignano.

Quest’ultima allenata dall’assistente volontario Claudio Zennaro, quello della Casa Circondariale allenata dall’assistente volontario Prof. Federico Grigolato, arbitro della Federazione.

Il tutto si è svolto in un clima di grande festa che i detenuti hanno voluto creare per ringraziare la squadra Polisportiva di Grignano per avere accolto l’invito.

La partita è stata combattuta ed equilibrata, anche se la Polisportiva Grignano poi ha mostrato la sua tecnica e ha vinto meritatamente con il punteggio di 3 a 1.

Certamente il risultato era l’ultima cosa che le due squadre avevano come obiettivo. Lo scopo, come tutte le altre attività sportive che vengono svolte nell’istituto di via Verdi, è di riallacciare quel filo diretto tra noi detenuti e il mondo esterno.

Noi abbiamo bisogno di socializzare, per essere - una volta espiata la pena - accettati nella società senza essere discriminati. Il sentirci accettati ci incoraggia, ci dà forza per crescere dentro.

Dunque, sottilineiamo che questo incontro ci ha fatto sentire bene e ha coltivato in noi progetti che tutte le attività, sia culturali che sportive, ci aiutino a ritrovare la fiducia.

Queste manifestazioni possono altresì portare fuori, da questo “pianeta” alla società esterna, la sofferenza altrui. Infatti vogliamo essere attivi, non solo per evitare la solita monotonia quotidiana, ma perché i reali bisogni e le problematiche carcerarie siano comprese da questa società per aiutarci a non essere sempre degli emarginati. La Polisportiva di Grignano prima dell’incontro ha regalato le magliette a tutti i partecipanti al match. I detenuti alla fine, per ringraziare la Polisportiva e il loro allenatore, hanno donato un modellino di nave artigianalmente costruito da uno di noi.

Grazie ancora in attesa della rivincita, magari fuori dalle mura della Casa Circondariale.

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Partita a pallavolo

a cura della redazione

Noi, ospiti di questo istituto ci auguriamo che voi possiate comprendere che in carcere vivono esseri umani con i propri valori della vita e la loro dignità.

Il confrontarci nell’attività sportiva serve a farci crescere, ci dà fiducia per il futuro, di essere accettati nella società senza essere discriminati, esprimere noi stessi.

Vogliamo allacciare con il mondo esterno, con la società, quel filo diretto per socializzare, per reinserirci nella società, dopo avere espiato il debito con la giustizia, senza discriminazioni.

Qualcuno forse ha pensato di conoscere il “pianeta carcere”, ma non sapeva la difficoltà del vivere, la sofferenza, il dolore.

Ed è ancora più difficile, più sofferente e doloroso per chi ha qualcuno fuori che ama (moglie, figli, mamma e papà). Questi provano e soffrono lo stesso nostro dolore. Noi cerchiamo di resistere per crescere dentro, mirando a conquistare la pace interiore per avere la possibilità di cambiare e maturare. Immaginare un futuro per non rimanere degli “emarginati”, infelici candidati alla morte sociale. Con questi propositi tutto ci incoraggia e ci dà forza, un futuro di buoni propositi è la libertà di ognuno di noi. Con questo ci vogliamo rendere portavoce dell’intera popolazione detenuta, per far sì che la società si accorga della sofferenza altrui.

Vogliamo essere attivi, non solo per evitare la solita noia quotidiana, ma perché i reali bisogni, le problematiche carcerarie siano comprese da questa società per aiutarci a crescere.

Ringraziamo il prof. Federico Grigolato che tutte le mattine impegna il suo tempo a darci lezioni di attività sportive.

L’assistente volontario, nonché l’allenatore della squadra di pallavolo Claudio Zennaro, dell’A.S. Polisportiva di Grignano.

La Direzione che ci ha concesso l’opportunità e la disponibilità dell’incontro.

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Attività sportive

a cura della redazione

Queste attività sportive: torneo di calcetto a 5, incontri di pallavolo e lezioni di educazione fisica che il prof. Grigolato tiene la mattina, sono tutte attività che contribuiscono a far conoscere fuori da queste mura la realtà “carcere”, quella che si vede, ma anche quella che ognuno di noi ha dentro. Sono sensazioni inspiegabili quando si vedono persone che dall’esterno vengono nell’Istituto per svolgere la partita di calcetto.

Da subito, appena fatto il loro ingresso nel cortile del carcere dove si svolgerà la competizione, gli sguardi dei detenuti curiosi nello spiare i nuovi arrivati, desiderosi di individuare qualcuno con cui poter instaurare un rapporto umano. Può sembrare impossibile ma anche una misera parola, una stretta di mano con una persona sconosciuta per noi può rappresentare tantissimo. Speriamo, che chi si reca in carcere possa ricordarsi di noi, considerandoci come “persone”.

Qualsiasi attività, sportiva o culturale, in noi infonde sempre lezioni di vita e di solidarietà.

L’impegno della direzione c’è, ma si può fare di più; si può, coinvolgendo tutti gli addetti ai lavori: dai volontari ai servizi sociali, dalle Autorità ecclesiastiche ai dirigenti della UISP. Quest’ultima, che si è fatta carico d’inserire nel torneo gli “ospiti della Casa Circondariale di Rovigo”.

Ora sono le squadre esterne che si recano nell’Istituto per la competizione, ma nelle previsioni è che a fine torneo, la squadra della Casa Circondariale andrà all’esterno per un incontro con una rappresentativa della federazione UISP.

Sono traguardi che appagano le nostre prospettive. Dicevamo: si potrebbe fare di più.

La Direzione dell’Istituto dovrebbe coinvolgere persone qualificate a dirigere le varie attività, come il sig. Maffione, che, in qualità di consigliere comunale e dirigente della federazione UISP, ha progettato questo torneo. L’assistente della Polizia Penitenziaria Liotto Ciro, che, come responsabile del settore arbitrale della UISP, potrebbe darci lezioni per un corso di arbitro.

Siamo sicuri che queste persone potranno fare molto per noi, ci aiuteranno ad evadere la cruda realtà carceraria.

Con estremo piacere, sentiamo il dovere di ringraziare tutti per aver contribuito a migliorare la vita all’interno dell’Istituto.

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“Un calcio all’indifferenza”

di Roberto S.

Alla presenza della direzione e dei rappresentanti della UISP è iniziato sabato 16 marzo 1999 un torneo di calcio a 5, con la partecipazione di sei formazioni, e uno dei campi dove si è giocato è quello all’interno della Casa Circondariale di Rovigo. Tra gli obiettivi di questa lodevole iniziativa c’è quello di ridurre i pregiudizi della città nei nostri confronti. Aprire la porta ogni sabato a persone totalmente a digiuno della nostra realtà e, perché no, creare un momento diverso dove sia giocatori che tifosi possano divertire e distaccare per alcune ore da un quotidiano fatto solo di attesa.

Nello specifico trattasi di un torneo con gironi all’italiana con tanto di ritorno, regolamento federale; tra gli iscritti c’erano anche gli agenti penitenziari che casualmente abbiamo incontrato proprio nella prima partita con un risultato a sorpresa. Siamo stati equipaggiati di magliette, pantaloncini e calzettoni, e siamo grati alle persone che si sono attivate a promuovere questa iniziativa, augurandoci che il nostro comportamento sia di stimolo per continuare in questa strada. Fino ad oggi la cosa che più mi ha colpito è l’atteggiamento delle persone che sono entrate per giocare: inizialmente con qualche remora e diffidenza, ma sia durante che dopo l’incontro di calcio si sono divertite e sicuramente porteranno con loro, oltre ai goal che hanno preso, una impressione di persone che nonostante siano state private della libertà hanno fatto in modo di farli sentire a loro agio.

Anche il nostro comportamento durante i 40 minuti di gioco è stato lodevole; per noi chiaramente è importante vincere ma questo non ci ha distolto dai valori fondamentali dello sport, correttezza e condivisione, anche per dissipare eventuali pregiudizi che sicuramente ci sono nei nostri confronti. E’ degna di nota anche la fiducia che ci è stata data nel lasciarci gestire totalmente la nostra formazione, dalla scelta dei giocatori all’aspetto burocratico; non dico che tutto sia filato liscio, chiaramente in un’ambiente restrittivo e multietnico come il nostro, dove i momenti di distrazione sono pochi, escludere alcuni per dare spazio ad altri non è stato facile, ma alla fine ha sempre prevalso la comprensione reciproca, il buon senso, e di riflesso ha contribuito a migliorare la nostra convivenza. Scrivo questo pezzo quando il torneo è da poco iniziato; la nostra posizione in classifica è buona; addirittura ci siamo permessi di battere la prima in classifica, la temutissima “Edil Pitture - Porto Viro”. Con rammarico, ma per dovere di cronaca, devo anche riportare che abbiamo perso contro gli agenti della Polizia penitenziaria. Questo a mio avviso è frutto di una eccessiva emotività perché era la prima partita.

Ringraziamo tutte le persone che si sono impegnate in questa iniziativa, ma concedetemi di ringraziare in modo particolare una azienda, voglio chiamarli un gruppo di amici, la “CISCRA” di Villanova del Ghebbo che ha pensato di farci dono di un set completo di magliette e pantaloncini estivi.

Ancora grazie.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

Carcere

Quanto è triste questa galera; triste malinconia.

Questo carcere tenuto vuoto dove le giornate non ti passano mai;

guardi un pezzo di sole in una finestra tanto squallida dove vedi solo sbarre,

vedi il tramonto e ti mette malinconia.

Pensi alla tua libertà tolta rinchiusa in te stessa, coi tuoi più tristi pensieri,

e giorno dopo giorno è sempre tutto uguale;

giornate sempre vuote e senza uno scopo di andare avanti,

per soffrire solamente contando i giorni perché arrivi presto la tua amata libertà.

 

Quanto è triste svegliarsi la mattina

perché la prima cosa che guardi appena apri gli occhi è una finestra con delle sbarre;

per richiudere gli occhi e un attimo dopo sentire il cancello che si apre.

Dormo per pensare che è solo un orrendo sogno,

ma aprendo di nuovo gli occhi mi accorgo che è la realtà,

quella realtà dove ti è stata tolta la tua libertà

e che giorno dopo giorno

vivi nella disperazione che ti lega in ogni risveglio.

Francesca C.

“Amica Mia”

La mia compagna

È una donna forte

È bella come un fiore

La mia amica sei tu

I nostri cuori piangono

Il nostro sole non splende più

Le nostre lacrime scendono

Ancora in silenzio

Tu mi hai fatto capire

Che bella l’amicizia

Tu mi hai fatto capire la vita

Tu mi hai asciugato una lacrima

Per me tu sei...

Sei solo tu la mia amica “Daniela”

Sogno di un padre

Questa notte ho fatto un sogno:

mi trovavo solo solo

in un prato grande grande

e piangevo triste triste.

Questa notte ho fatto un sogno:

su nel cielo azzurro azzurro,

un bambino bello bello

che incontro a me volava.

Questa notte ho fatto un sogno:

in quel prato verde verde

sono apparsi all’improvviso

un bambino ed un papà.

Questa notte ho fatto un sogno:

con la mano nella mano

facevano il girotondo

su nel cielo attorno al sole.

E’ bello avere un bambino come te,

io sono felice che tu sei con me

dammi la mano, io vengo con te.

Mario C.

“Ti Amo”

Ti amo perché ti amo

Per me sei gioia

Guardo al cielo come uno specchio

Perché in profondità vedo te

come un infinito che non tocco sei tu

così lontano amore mio

così ti perdo piano piano

ma dentro me rimani sempre

“Quante cose”

Quante cose voglio dirti

Quanto ancora ti vorrei

Sei mio dolce amore

Con cuore ti mando

Buon Natale mio Toppi

Tu sei sempre vivo qua

Nella mia cella chiusa

Senza sole senza te

Sola fredda senza te

Che ti amo amore mio

Che mi manchi mio Toppi

“L’amore”

Ti voglio regalare un fiore

Non posso farlo

Di regalarti un bacio

Più difficile

Un abbraccio, siamo chiusi

L’amore impossibile

Qua i più bei regali disperdo

come un uomo nella nebbia

Come il sole a dicembre

Disperdo esperienze d’amore

Disperdo tutto.

Sono Malato

Malato d’amore

Sono stato dal

dottore e mi

ha chiesto

Che cos’hai?

Egr. Dott. sono

malato d’amore

quale la cura ideale?

Le consiglio

una presta Libertà,

dieci baci alla mattina

quindici al pomeriggio

e riguardo alla sera

veda lei, come fare meglio.

La notte “silenziosa”

La notte è buia

ti porta alla

consapevolezza di

riflettere delle

piccole cose che

prima non avevano

un senso, ma oggi sì.

Speranza

È una cosa che

non deve mai mancare

senza questa saresti

perso, non avresti

la voglia nemmeno di

vivere, speranza

fammi vivere.

Alessandro

Sono 480 e sono ancora pochi

Tanti, sono i giorni che son passati

giorni lunghi e pesanti

pesanti come i pensieri che accompagnano

questa carcerazione.

Carcerazione che ti invecchia dentro e fuori,

fuori si vede, dentro ti logora.

Ti logora perché! Perché non ti rendi conto di cos’è.

Questo,

questo sistema,

questa vita che per un errore di

cinque minuti ha cancellato cinquanta

anni della tua vita.

La tua vita che ti sei costruito con

tanti sacrifici e poi?

Poi, è successo l’irreparabile,

l’irreparabile è,

quattro anni di carcere e si può ben

immaginare quanti sono per me,

per me che ne ho già cinquanta.

Non so per quanto resisterò ancora,

solo il pensiero della mia famiglia

mi sostiene e quando anche

questo mancherà,

anche la mia vita si fermerà.

Amedeo R.

Solitudine

E’ una brutta bestia

Non c’è medicina

che la curi.

Non c’è giorno in cui

non arrivi, ma il mal

più grande è che è

inguaribile.

Angelo nero

(da un detenuto “man” che passeggia in cortile

pensando ad una detenuta “woman”)

 

Nella follia di un mattino esagerato

Passeggio e lo sguardo si leva alto

Verso l’edificio incredibile, oltre il muro,

che stimola il mio sguardo mite e puro.

 

Chissà se tu ci sei, dentro quel coso

O se permettimi, invano mi sono roso

Il fegato e la milza, il pancreas e il cuore

Confidando con la fantasia, nel tuo amore...

 

Naturale, maestoso, soave, terribile e lento,

levigato e sottile, carnale, esaltante (lo sento...)

Con occhi virtuali ti percepisce e ti tocca,

integerrima nella tua bellezza, sin dalla bocca,

 

la mia anima candida e bianca e sommaria

o Adelina, o Anna, o Giulia, o Maria.

Qualunque sia il tuo nome o il tuo aspetto,

giuro, per te nel fuoco, sin d’ora, mi getto.

 

Ma ti penso sempre, dolce, amabile e scura

(forse perché d’altro ho ormai paura?).

la tua pelle d’ebano splende (sì, vero)

davanti alla nostra luna, o Angelo Nero...

Luciano

“Sei bellissima”

Sei bellissima

Sei buonissima

Sei dolcissima sei di più dolce

Sei di più stellina

Che brilla la notte

Sei solo tu “Samantha”

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Lettera a…

 

Carissimo Mons. Giovanni Nervo,

dalla sua gradita lettera è trascorso un anno, sono anche trascorsi due anni dalla sua venuta presso di noi, molto tempo per ringraziarla con estremo piacere.

Certamente ci farebbe immenso piacere rivederla. Sarebbe il nostro filo conduttore per far conoscere a tutti la nostra realtà, il nostro difficile vivere, il nostro dolore. Lei, che due anni fa ci portò il suo messaggio di solidarietà, potrà constatare i cambiamenti strutturali e umani.

Ci potrà aiutare a dare un significato diverso alla pena affinché possa avere il senso del recupero e del reinserimento.

Noi abbiamo cercato sempre di migliorare, speriamo di esserci riusciti, in quanto poi risulta fondamentale per non essere emarginati.

Con il nostro periodico crediamo di avere lanciato un grido per un reale reinserimento nella società, questo grido sembra non sia caduto nel vuoto.

Possiamo trasmettere le nostre problematiche ai vari interlocutori, anche se c’è molta strada da percorrere ma non per questo ci demoralizziamo, anzi ci dà la forza per non fermarci al primo ostacolo; vogliamo riuscire a realizzare le nostre aspettative, che sono quei traguardi che ci appagano delle fatiche e degli sforzi affinché, quando saremo liberi, la società ci accetti senza continuare a puntarci il dito contro.

In attesa di poterla reincontrare le inviamo l’augurio di un proficuo impegno e di un cordiale saluto dagli ospiti della Casa Circondariale di Rovigo.

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