«Prospettiva Esse – 1998 n. 3»

Indice

  1. PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO
  2. Ah… Comunità (Lucio T.)
  3. Effetto “Simeone” (Roberto S.)
  4. Reinserimento o no? (Mauro M.)
  5. Gioventù bruciata (Barbara)
  6. ”Lettera aperta” (Roberto S.)
  7. Voli di dentro
  8. La farfalla e lo scorpione - Love story (Fatima M.)
  9. Ingiustizia (Sabina)
  10. Fitness (Pierpaolo Z.)
  11. ”Sognando la libertà” (Pierpaolo Z.)

 

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PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

Egregi Parlamentari,

si parla ogni giorno di problemi che ci riguardano, su cui vogliamo esprimere anche noi un’opinione. Non sappiamo quanto originale, ma di certo fortemente critica: “non ci siamo, proprio non ci siamo”.

No, signori Parlamentari, non ci siamo perché ci pare che invece di andare avanti ci si ostini a continui, incerti, spesso dolorosi, arretramenti.

Quando le cose non vanno bene, qual è la soluzione? Allungare la carcerazione, mettere in discussione la legge Gozzini, togliere ai detenuti quel poco che hanno.

Ecco la soluzione salomonica!

Le condizioni di vita di oltre 50 mila detenuti che oggi si trovano nelle carceri italiane sono drammatiche: sovraffollamento, suicidi, autolesionismi, violenze, mancanza di progetti per il reinserimento nella società, etc.

Lo spirito della riforma penitenziaria del 1975, successivamente integrato dalla 663 del 1986, non è affatto rispettato, anche se in sintonia con la nostra Costituzione per cui “… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Questo dettato però risulta assai dimenticato e ciò appare evidente rispetto a quello che accade in molti penitenziari. Molte volte ci si chiede come sia possibile sensibilizzare il potere giudiziario alla decisiva, radicale, forte soluzione che bisognerebbe adottare perché nessuno, magistrato o giudice, possa sconvolgere, limitare o disapplicare le leggi che loro sono tenuti a garantire. Perché possano essere riconosciuti all’uomo, anche se detenuto, quei diritti che la nostra Costituzione afferma e garantisce per ogni cittadino. Si potrà mai sperare in uno stato di vero diritto? Un diritto che non sia solo di potenti verso altri potenti, ma che rispetti anche il debole, l’indifeso e il povero… o sono solo sogni?

Noi non disponiamo di una soluzione del problema, ma solo di qualche intuizione frutto di esperienze maturate in lunghi periodi trascorsi in carcere.

La cosa giusta da fare sarebbe quella di combattere alla radice alcuni mali che affliggono il pianeta carcere, per migliorare la situazione di centinaia di detenuti che ogni giorno si trovano ad affrontare una dura realtà. Sta a voi valutare, ma coinvolgendo soprattutto coloro che operano all’interno degli istituti penitenziari, augurandoci che al più presto troviate una soluzione e facciate quanto necessario per risolvere questa situazione drammatica, prima che il tutto degeneri in difficili ritorni.

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Ah… Comunità

di Lucio T.

Ho trascorso un breve periodo in comunità, un’esperienza che è valsa la pena d’essere vissuta anche se non è stata portata a termine.

L’impatto all’inizio non è stato buono, e mi sono chiesto: “ma dove sono capitato?”. Là si devono rispettare anche le più piccole regole, che nella vita normale possono sembrare assurde. A turno tutti hanno le loro responsabilità da portare avanti e ogni componente è responsabile dell’altro. Sembra d’essere in un altro pianeta; il difficile, secondo me, è quando si fanno i gruppi, seguiti da due operatori, e al cui interno le persone possono parlare di tutto ciò che sia inerente alla comunità, tipo: “Come va il periodo”, “come sono i rapporti con la famiglia”, “che rapporti si sono instaurati con gli altri”, etc.

Dopo aver esposto il problema, ognuno dà il proprio parere a volte anche duro (sembra di essere giudicati). Le giornate sono tutte programmate con tempi da rispettare, proprio per non distrarsi e pensare ad altro.

Questo mi ha dato il modo di apprezzare tutte le piccole cose della vita a cui prima non davo importanza, ho imparato a riscoprire il rispetto, l’onestà, la sincerità e la vera amicizia, quella che non ha secondi fini.

Con questo non voglio assolutamente dire che tutti i problemi sono risolti, però una persona dentro di sè si sente più forte così da affrontare al meglio tutte le tentazioni a cui andrà incontro. Sarebbe molto facile riprendere la vecchia strada, il vero cambiamento però bisogna volerlo dentro di noi, altrimenti è come imparare una poesia a memoria senza capirne il significato.

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Effetto “Simeone”

di Roberto S.

Il 27 maggio 1998 esce nella “Gazzetta Ufficiale”, dopo agguerrite schermaglie tra Camera e Senato, la panacea a tutti i mali della giustizia, la legge “Simeone” che, tra l’altro, prevede la scarcerazione sotto i 2 o 3 anni, secondo i casi, con l’affidamento in prova o altri benefici. Seguono e continueranno a seguire sterili dibattiti ad alto livello sull’efficacia di questa legge o meno. Opinione pubblica in disarmo o quantomeno perplessa, giudici di sorveglianza sull’orlo di una crisi di nervi e assistenti sociali e Ser.T. alle corde, questi sono gli unici effetti che ha prodotto per il momento questa legge. Sicuramente lo scrivente pecca di ottimismo pensando al nostro paese integrato in Europa a tutti gli effetti, compreso quello giudiziario. In altri paesi europei vige un sistema repressivo ma, nel contempo, seriamente rieducativo: cito ad esempio quello olandese dove un detenuto può avere un incontro mensile con il suo partner per un’intera giornata in locali appropriati. Per essere il più obiettivo possibile voglio cercare di immedesimarmi nell’interpretazione di questa legge da parte di coloro che devono applicarla. I tribunali di sorveglianza, come primo ostacolo, mettono in evidenza una carenza di strutture che dovrebbero accoglierci; e fino a qui posso essere pienamente d’accordo con loro, lo sono un po’ meno quando vedo rigetti per mancanza di richieste di lavoro, come fosse facile tra quattro mura relazionare con ditte esterne e con una situazione disoccupazionale tale che diventa prioritario, per trovare un lavoro, avere la possibilità di recarvisi personalmente.

Se tutto ciò non bastasse spesso dobbiamo fare pure i conti con il 4 bis, che io definisco “la cosa” in quanto è di talmente difficile interpretazione che penso sia stato progettato esclusivamente per salvare in calcio d’angolo alcuni tribunali. Ad ogni modo, secondo il mio punto di vista, possiamo in questo caso usare una affermazione tutta italiana, “fatta la legge trovato l’inganno”.

La Simeone è come un bel treno, un intercity per capirci, con stupendi vagoni rimessi a nuovo ma mancante di locomotore e, visto come funzionano oggi le ferrovie, lascio a voi le conclusioni. Dal momento che il mio scritto non è solo critica ma si propone anche di costruire, mi augurerei che ci fosse maggiore dialogo tra di noi ed i magistrati di sorveglianza. Passatemi un’esclamazione del grande Martin Luther King “io ho un sogno”: cioè se un giorno durante queste riunioni o convegni ad alto livello per discutere su questa legge venissimo interpellati anche noi, la vera parte in causa, si aprirebbe un dialogo e sicuramente si ridimensionerebbero i pregiudizi perché solo l’incontro e il confronto aprono diverse strade di possibilità.

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Reinserimento o no?

di Mauro M.

Mi chiamo Mauro, ho 38 anni, e la mia esperienza con il carcere è iniziata nel ’96. Dopo 8 mesi di carcere e fissata la pena, sono riuscito ad ottenere l’affidamento sociale per casi particolari. Dato che il mio reato è legato alla tossicodipendenza, sono così entrato in comunità, dove, dopo un anno di permanenza, ero riuscito con il consenso del magistrato a trovarmi un lavoro, una compagna e stavo pian pianino rimettendo le cose a posto. Il punto sta nel fatto che né la comunità nè gli assistenti sociali tengono in considerazione la sofferenza di una persona che cerca la propria autonomia, e che per forza di cose si trova suo malgrado a dover convivere con persone a lui sconosciute, e a dover condividere quotidianamente anche i loro problemi, “oltre ai tuoi”. Così, secondo le regole della comunità, e tenuto conto che anche la pazienza ha un limite, ho sbagliato dando una spinta ad una persona.

Immediatamente è scattata la comunicazione al C.S.S.A. con sospensione dell’affidamento e revoca dello stesso.

Insomma, il recupero dell’individuo è affidato ad equilibri molto sottili e il desiderio di reinserimento sociale non conta per la legge di fronte ad un, sia pur piccolissimo, errore di comportamento. Ora dopo l’arresto, avvenuto il 20agosto 1997, e dopo aver tentato tutte le strade per ritornare in comunità, mi trovo a fine pena, dopo 11 mesi di detenzione. Il mio rammarico è che tutte le mie sollecitazioni presso gli organi competenti, vedi Ser.T. - C.S.S.A., etc., sono state vane e allora mi domando: si vuole realmente recuperare la persona? O, come è stato per me, è più semplice internarla, e non tenere in minima considerazione gli sforzi patiti per raggiungere una propria autonomia, cancellando con un colpo di spugna 8 mesi di carcere, un anno di comunità, la perdita di un lavoro sicuro, una compagna e quant‘altro di buono fatto in questo periodo. Non so chi potrà giustificare il fatto di aver condannato una persona per un gesto che in una istituzione non si accetta, e quindi è meglio che torni in carcere.

Ora la mia pena è finita, spero soltanto di trovare persone che, oltre a fare il proprio mestiere, tengano conto anche della sofferenza e delle difficoltà che una persona incontra nel suo reinserimento sociale. Concludendo, molte persone come me, tossicodipendenti e non, si trovano a poter usufruire di benefici di legge essendo nei termini previsti. Viene però a mancare il supporto sociale, il contatto con servizi che propongono una reale possibilità di lavoro e accoglienza, quindi la valutazione di una persona non può essere delegata soltanto alle varie assistenti all’interno del carcere, ma deve essere data la possibilità al singolo individuo di tentare il proprio reinserimento. Solo così si potrà sfoltire l’eccesso di detenuti, che in tanti, loro malgrado, sono costretti a subire una situazione negativa, sia per il reinserimento che per le istituzioni.

Quindi, volendo lasciare un mio personale messaggio, dico che non deve essere il detenuto a dover barcamenarsi tra leggi e benefici, che già esistono, ma, piuttosto, gli operatori, cui compete questo ruolo, dovrebbero più efficacemente operare per l’applicazione delle leggi.

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Gioventù bruciata

di Barbara

Un giorno in un istituto ho visto un ragazzo e non riuscivo più a togliergli gli occhi di dosso.

Lui, incredulo, ricambiava il mio sguardo, riuscii a strappargli un sorriso. Ce l’ho ancora davanti agli occhi. L’ho conosciuto attraverso la corrispondenza..., ma potrò rivederlo solamente fra molti, molti anni, sempre se anche lui si ricorderà di me e ci sarà l’occasione di incontrarci.

Sì, perché sta scontando una pena di ventuno anni per omicidio.

Questo mi ha fatto riflettere sulla giustizia umana, nel senso di condanne così lunghe, specialmente per persone giovani, anche se in conseguenza di un grande dramma. Il dolore causato e il dolore che resta dentro come un coltello! A me, che pur sono in carcere per pochi mesi, rimarrà sempre dentro, sempre!

Non so come faccia questo ragazzo di ventidue anni, dove ha trovato la forza per continuare. E’ stato bollato come assassino e sbattuto in un carcere dove dovrà trascorrere tutta la sua gioventù. Una brusca interruzione dei rapporti con la famiglia, gli amici e la possibilità di amare.

Certo è che a me, pur nella distanza, quel sorriso rimarrà sempre indelebile nel mio cuore.

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“Lettera aperta”
a tutte le strutture impegnate nei percorsi del reinserimento

di Roberto S.

Sono le sei del mattino, orario ideale in cui si possono concretizzare per iscritto tutti i vari pensieri che ti frullano per la testa durante il giorno.

Il più ricorrente è un quesito: come mai a Rovigo, dove esiste a mio avviso un tessuto sociale sensibile alle nostre problematiche, nessuno, per quanto ne sappia io, abbia mai messo in cantiere un’idea utile e costruttiva come una cooperativa per ex detenuti, iniziativa che, sia in altre città italiane che in Europa, esiste da anni e funziona con ottimi risultati sia per noi che per la collettività.

Sono ben cosciente dei vari ostacoli, sia burocratici che operativi, che si possono frapporre fra il dire e il fare, ma con un tenace impegno da parte della comunità esterna ed una nostra seria volontà a ricominciare, potremmo realizzare qualcosa che dia ottimi frutti, sia nell’immediato che nel tempo.

Io ho una lunga esperienza comunitaria alle spalle, anche critica se vogliamo, ma una cosa ho appreso di importante, cioè che tutto passa attraverso il lavoro.

Sì, sono importanti i dibattiti, i gruppi terapeutici, ma poi è necessario concretizzare, e per uscire dai percorsi carcerari, dal mio punto di vista, in una ipotetica scala di valori, metto il lavoro al primo posto. Come in ogni edificio se non ci sono buone fondamenta tutto crolla, e nel nostro caso le fondamenta sono il lavoro.

Voglio spendere, altresì, due parole sulle comunità lavorative.

So, per esperienza vissuta in prima persona, che spesso le attività che vi si svolgono non sono né gratificanti, né remunerative. Mentre queste due caratteristiche sono importanti per sentirsi realizzati ed indipendenti.

Un esempio, seppur tra i più critici che potevo trovare, è quello che capitava a me: al lunedì spostavo un mucchio di sassi dalla sinistra del cortile alla destra, il martedì gli stessi dalla destra alla sinistra e così via per tutta la settimana, e, per gratificarmi, alla domenica contemplavo il meraviglioso lavoro svolto durante la settimana.

Forse questo vi farà sorridere, ma è solo per rendere l’idea della frustrazione che comportava questo tipo di lavoro comunitario, per non parlare poi del senso di vuoto che mi prendeva in certi momenti, tanto da sentirmi come all’interno di una campana di vetro. Un’esperienza che, rientrando nella società, non sempre dà i suoi frutti.

Ecco uno dei motivi per cui sollecito la creazione, in loco, di cooperative per ex detenuti, in un lavoro che sia un riscatto per noi e utile per la società, reinserendoci gradualmente tra la gente e producendo, che in fondo è un po’ restituire.

Ma cosa servirebbe per realizzare queste cooperative? Innanzi tutto una forte tenacia da parte sia della comunità esterna che nostra, nel crederci.

Come primo passo servirebbe un edificio, anche da ristrutturare. Provvederemo con il nostro lavoro a renderlo vivibile; qualche impresa che almeno inizialmente ci fornisca del materiale, anche di “quarto ordine”; un assessore ai Lavori Pubblici che prenda a cuore questa iniziativa, aiutandoci ad avere un appalto, magari per i lavori socialmente utili, anche tra i più umili, pulizie varie o altre manutenzioni di cui una città come Rovigo ha bisogno; persone di fuori che si occupino dell’aspetto burocratico; il direttore del carcere che favorisca l’applicazione dell’art. 21 della legge 354/75; imprenditori disposti ad offrirci contratti a termine; alcuni operatori intraprendenti che a turno ci offrano la loro assistenza anche psicologica ed un coordinamento; una curia ben disposta verso di noi; un giudice di sorveglianza aperto e disponibile a nuove iniziative. La materia prima, cioè noi, non manca di sicuro; potremmo formare una risorsa e non più un problema per la città di Rovigo.

Oltretutto c’è anche un aspetto da non sottovalutare: attualmente i penitenziari, compresa Rovigo, sono sovraffollati di extracomunitari che, per motivi di mancanza di fissa dimora, non possono usufruire di alcun beneficio. Ebbene, anche per loro, si aprirebbe uno spiraglio e una speranza.

Gentili interlocutori, sono consapevole di avere messo molta carne al fuoco, ma, se siete veramente intenzionati ad interagire nel pianeta carcere, questa è una strada importante da percorrere. Magari a piccoli passi, ma se mai ci si incammina, mai si vedrà il traguardo.

Potrei dilungarmi per ore sull’importanza di questa prospettiva, ma non voglio per il momento annoiarvi ulteriormente.

In conclusione, se qualcuno di voi vuol prendere a cuore questa iniziativa, noi siamo qui, abbiamo controllato la nostra agenda e pensiamo di potervi rispondere in ogni momento.

Aspettando vostre notizie, vi uniamo cordiali saluti.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

“Pensiero”

Entrando in questo posto

triste e cupo

devi imparare a vivere

con un solo pensiero:

tornare in libertà al più presto,

vicino ai tuoi cari

e per dire a tutti che

la galera

farebbe soffrire anche i cani.

Anonimo

“Dal delirio di volti…”

… Dal delirio di volti smunti, come sopiti

quasi tracciati dall’oblio

si erge maestoso il guizzo indomito della ribellione

a monito che la vita

sofferta, calpestata, lacerata

non accetta sconfitte prima del tempo,

che sino all’ultima carezza

aleggia la forza della gioia

… la determinazione dell’energia.

Natascia

“Quando uscirò da qui”

Quando uscirò da qui

mi troverò a camminare

in mezzo a tanta gente.

Mi sentirò solo

ed emarginato.

Ma tutto questo

mi darà forza e coraggio

perché quando

uscirò di qui

sarà peggio di

prima.

Antonio C.

Una lacrima

Una lacrima.

Ecco! Sta scendendo

pesante sul mio viso,

è piccola ma dice tutto:

mi suggerisce l’amore per te.

Ha l’amarezza del dolore

e, come se avesse paura,

mi sussurra il tuo nome.

Andrea A.

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La farfalla e lo scorpione
Love story

di Fatima M.

Ma perché la galera fa indurire i cuori in questa maniera? Come si fa ad amare una persona che non crede più nell’amore?

Questa riflessione la rivolgo a un “lui”.

Facendo questa mia carcerazione, l’ho conosciuto tramite corrispondenza, grazie ad un’altra persona, un legame nato dalla sofferenza, un amore nato dal reciproco bisogno d’affetto.

Qualcosa di veramente profondo, un amore grande come il mondo!

Il tempo ha fatto nascere dubbi ed incertezze.

Una love story che ha colto di sorpresa entrambi.

La situazione ci porta a condividere tutto: dalla sofferenza alla gioia. Insieme abbiamo trovato la forza per affrontare e credere in un futuro migliore.

Io ho creduto in questo amore: devi trovare la forza per credere anche tu!

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Ingiustizia

di Sabina

Non so perché e per cosa mi accusano, non capisco più niente. So solo che non ho fatto niente.

Dov’è la giustizia? Qui sicuramente non c’è! Perché non è possibile che una persona possa essere innocente? Non vogliono sentire la verità? Per forza. vogliono sentire cose che piacciono a loro; se veramente sono sicuri che sono colpevole, mi devono giudicare, darmi una condanna: ma che sia giusta e dettata da Dio.

La mia famiglia e i miei cinque figli sono lontani da me e soffrono tanto senza mamma e papà, per colpa dell’ ingiustizia.

Non è giusto che la vita della mia famiglia dipenda da una persona.

Non ho più parole.

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Fitness

di Pierpaolo Z.

Salve a tutti, ragazzi, e ragazze: sono Pierpaolo, come va?, “si fa per dire”; comunque spero bene per tutti.

Come ho già detto, precedentemente a questo articolo, il body building in generale, all’interno dell’istituto, è molto importante; però, in mancanza, si può benissimo ricorrere al fitness.

Intendendo per “fitness” una gamma molto vasta di attività: ginnastica a corpo libero, aerobica, ginnastica isotonica, isometrica, pallavolo, calcetto, e quant’altro ancora.

Penso che su questo ci troviamo sostanzialmente tutti d’accordo. O no?

Io spero di si!

Proprio in questo periodo, all’ interno dell’istituto di Rovigo, si è potuto fare proprio del fitness, grazie a tutto lo staff della direzione.

Ho notato con piacere, che il fitness è di grande aiuto sotto ogni aspetto, fisico e soprattutto psicologico.

Perché il movimento muscolare è molto utile, soprattutto quando la possibilità di movimento è ridotta al minimo. Ringiovanisce il corpo e va ad arricchire la mente, con una miglioria di tutto il sistema elettrico e bioelettrico.

Permette di comunicare pulsazioni positive a tutto il sistema nervoso centrale. Così da dare la possibilità, a chi lo pratica, di provare una sensazione di benessere!

E questo è assai importante, specie qui da noi, dove il benessere non si sa dove possa stare.

Chi lo cerca non lo trova mai, proprio per le condizioni psicofisiche di sofferenza causate dalla mancanza della tanto desiderata libertà.

A parte la libertà, che prima o poi sarà lecita per tutti, vediamo ora, come mantenere sano il fisico all’interno dell’istituto.

Questo per non sentir dire, una volta usciti dal carcere: ragazzo, ti sei forse arrugginito, dove ti hanno tenuto fino adesso? Ti hanno forse ibernato?

Ecco, per evitare esclamazioni del genere è consigliato a tutti e a tutte di fare del moto fisico, anche amatorialmente.

Gli agonisti e i professionisti stanno di casa da un’altra parte.. Così da distribuire e dosare la forza necessaria, che non è mai certamente quella che viene utilizzata per un dribbling o addirittura per un tiro in porta.

Con questo voglio dire in poche, ma comprensibili parole, che saper avere il controllo muscolare è cosa buona e giusta; specie nel gioco del calcetto, al fine di fare un buon gioco, evitando così fastidiosi infortuni muscolari.

A mio avviso la ginnastica è di ottima utilità; tra l’altro trovo i ragazzi molto più energici e preparati al punto di essere pronti per un torneo di calcetto.

E come sarebbe bello avere la possibilità di affrontare giocatori, esterni all’istituto, in una giornata all’insegna dello sport. Questo per avere un parametro, quindi una vera possibilità di confrontare la nostra preparazione, sia tecnica che psicologica.

Così da renderci conto che la ginnastica, quindi il fitness in generale, anche se applicato all’interno di un istituto carcerario, ha a tutti gli effetti la propria utilità, sia sul piano fisico che in quello psicologico: e questo è qualcosa di meraviglioso per tutte le ragazze e per tutti i ragazzi dell’istituto.

Quindi, a questo punto, che cosa stiamo aspettando? Forza ragazzi e ragazze, diamoci dentro alla grande!

E ricordate: allenarsi fa sempre e comunque bene! L’importante è cominciare, e applicarsi.

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“Sognando la libertà”

 

L’ora del destino si è avvolta su di me

io che speravo, tutto questo non mi succederà mai!

Ahimè, ho sbagliato.

 

Davanti la sorte del destino, non si sa mai

la fine che si può fare.

 

Ora mi trovo qui solo, e abbandonato

ad affrontare questa mia carcerazione.

Di cui il lato oscuro, non si conoscerà mai

se non vivendola sulla propria pelle.

 

Solo la fede che ho in Dio Onnipotente, e l’amore

di mia madre, può darmi la forza di combattere

e vivere tutto ciò.

 

Solo nel riconoscere l’amore,

e l’amicizia di mia madre che mi sta aspettando a casa

trovo la forza di continuare, questo lungo, faticoso e penoso

cammino. Che passo dopo passo, mi avvicina

ad un sogno, che spero presto, anzi molto presto

possa trasformarsi in una magica realtà.

Un sogno che ognuno di noi porta dentro di sè,

un sogno chiamato: Libertà.

Pierpaolo Z.

 

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