«Prospettiva Esse – 1998 n. 2»

Indice

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

Dalle parole ai fatti:

Storie:

 BREVEMENTE dalla redazione:

Voli di dentro (poesie e quant’altro)

Lettera a… (Mons. G. Nervo)

 

[Indice]

PERIODICO AD USO INTERNO
DELLA
CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

Un caloroso saluto a tutti i lettori.

E’ con estremo piacere che annunciamo il recente aumento di persone nella redazione, attraverso cui soffia un vento di rinnovato vigore.

Ci sentiamo orgogliosi di sottolineare che questo nuovo gruppo si sta dando da fare per farsi sentire e coltivare progetti utili per la qualità della vita all’interno dell’istituto, in particolare con le attività culturali e gli scambi di opinione.

Ci siamo resi portavoce dell’intera popolazione detenuta al recente convegno di fine marzo sul tema “Sinergie tra carcere e territorio” nonostante fosse quasi a porte chiuse, l’organizzazione non ha ritenuto di darci notizia del simposio, proprio come parte in causa e avesse comunque coinvolto una parte delle sinergie tanto menzionate, escludendo il coordinamento volontari e gli assistenti sociali, che indubbiamente fanno parte del territorio; ma la polemica non è terreno a noi congeniale né simpatico; ciò che conta è che ci siamo fatti sentire e crediamo simbolicamente di essere stati anche rappresentati dal nostro amico Quirino Pavarin, dal volontario Livio Ferrari e dal direttore Nicolò Mangraviti, persone sensibili e preparate, che hanno conferito un inaspettato carattere alla manifestazione di dichiarato stampo psicologico/analitico.

Anche noi abbiamo analizzato cosa si è prodotto da tale riunione e, senza dilungarci inutilmente, crediamo siano stati correttamente interpretati i reali bisogni e le problematiche carcerarie, si siano focalizzate alcune patologie particolari di disagi sociali e fornite elaborate diagnosi e cure, anche se continueremo a chiederci quando si procederà ai tanto agognati rinnovamenti e nel frattempo continuiamo nel nostro lavoro che ci vede sempre attenti e disponibili al dialogo.

Ci sentiamo comunque ottimisti, nel percepire una sensazione di cambiamenti all’orizzonte, i segnali sono numerosi da svariate direzioni, proprio per ciò queste ventate di nuovi sviluppi ci danno forti motivazioni e ci inducono a insistere nella nostra linea.

In conclusione possiamo affermare che molto è stato fatto, molto è da fare e molto si farà; la nostra voce si farà sentire ancora e ci auguriamo di trovare molti uditori così per poterci evolvere in un percorso di vita migliore e con prospettive nuove.

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Dalle parole ai fatti

 

Reinserimento e lavoro

Traiamo spunto dalle ultime novità del decreto legislativo circa i lavori socialmente utili, approvato nel dicembre scorso.

Fra i soggetti a cui è rivolta la normativa, cioè coloro che ne possono beneficiare, c’è da segnalare una nuova categoria, che sono le persone detenute e va da sè che ci sentiamo direttamente interessati. Come recentemente segnalato durante il Convegno “Carcere e territorio” è proprio il lavoro che può reinserire e aiutare economicamente e socialmente le persone ristrette negli istituti di pena.

Ci rendiamo conto che l’iscrizione di questa nuova categoria, allo stato attuale, risulta come un mattone nella costruzione di una casa, sarà necessario perciò reperire materiali, tecniche e persone qualificate, nonché progetti validi per mettere in atto un percorso concreto ed utile.

Per quanto ci riguarda, visto i pochi mezzi che abbiamo, possiamo segnalare e stimolare le varie parti in causa, confidando nelle proposte che vorranno esserci fatte. Infatti l’applicazione della pena detentiva, che non deve essere meramente fine a se stessa, con sprechi di risorse e senza la soluzione delle problematiche che rientrano in questo circolo vizioso, ma tendere a costruire una realtà nuova.

Non abbiamo la presunzione che un articolo risolva la questione, però contiamo di stimolare e sensibilizzare chiunque ha le potenzialità per poterci aiutare.

Per quello che ci riguarda ci daremo un gran da fare, potete contarci, e nessuna strada rimarrà intentata, perchè la nostra coscienza globale di detenuti, forti delle nostre esperienze, ci ha permesso di focalizzare un punto unico quale principale causa dei mali che ci affliggono e cioè la mancanza del lavoro, che così ci emargina in un ruolo degradante e dannoso per la società.

Non è semplice analizzare le cause che ci spingono a certi atteggiamenti di vita, né si può generalizzare, ma molte persone, se avessero delle possibilità diverse, potrebbero trovare le motivazioni necessarie ad un percorso alternativo.

Le strutture interne tendono molto all’osservazione della personalità per vari fini, tra cui il reinserimento nella società; ma, una volta giunti al termine delle pene, tutto rimane chiuso dietro la porta che ti lasci alla spalle; in sostanza, quello che si cerca è la continuità tra le due realtà, una di preparazione e una di effettivo reinserimento con la possibilità quindi di potersi ricostruire una vita nuova.

Fino ad ora i fatti dimostrano, percentuali alla mano, che ben poco è stato fatto; crediamo che i tempi stiano portando dei nuovi cambiamenti, come questa legge sui Lavori Socialmente Utili, che, se non altro, ha un occhio di riguardo per un tipo di popolazione in difficoltà; ma bisognerà darsi da fare per sensibilizzare di più la gente e le parti sociali interessate.

Nulla è da tralasciare ed è proprio da noi che deve partire questa spinta per cambiare molte cose a beneficio della collettività. (Luigi R.)

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Il ruolo dell’Assistente Sociale

Dopo i precedenti articoli, proseguo con la panoramica sulle persone che compongono 1’équipe di osservazione della “personalità dei detenuti” e questa volta parlerò dell’assistente sociale. Fa parte di un’équipe composta dal direttore dell’istituto, dall’educatrice e dalla psicologa e ha il compito di seguire i detenuti sia definitivi che imputati.

Per quanto riguarda i detenuti definitivi, cerca di capire le cause che hanno portato le persone a commettere il reato per alimentare un progetto di reinserimento. Invece chi non è in espiazione definitiva di pena, viene aiutato nei contatti o nel mantenere vivi gli affetti familiari, che sicuramente agli inizi di ogni carcerazione vengono messi duramente alla prova.

Il ruolo dell’assistente sociale si associa a quello degli altri componenti dell’équipe, per poter completare il quadro della personalità del soggetto, il tutto per preparare il terreno per l’eventuale concessione dei vari benefici previsti dalla legge.

A onor del vero, pur non volendo cadere nella retorica, questi benefici trovano difficoltà ad essere concessi per le lungaggini dei tempi di attuazione dell’esecuzione e per la scarsità del personale che deve acquisire la varietà di informazioni, nonché per l’alto numero di detenuti.

Tra i compiti dell’assistente sociale c’è quello di integrare questa varietà di informazioni con alcune del tipo conoscitivo-personale, prendendo contatti diretti con le famiglie dei soggetti; instaurando con tali nuclei un rapporto amichevole e confidenziale, al fine di rendere il percorso ai benefici favorevole.

Dobbiamo segnalare che non è tutto rose e fiori, nel senso che molte situazioni familiari sono difficili e qualcuno non può contare nemmeno su una famiglia; spesso diventa veramente arduo il compito di questi operatori, che devono così lavorare in condizioni di estrema difficoltà e tutto questo si ripercuote sulle persone detenute.

Pur avendo solo sintetizzato il ruolo e i compiti dell’assistente sociale, che fa parte dei Centri di Servizio Sociale per Adulti del Ministero di Grazia e Giustizia, riteniamo fondamentale il suo ruolo e confidiamo nel loro impegno e nella loro professionalità con un augurio di buon lavoro, in attesa che il loro operato renda i giusti frutti. (Ivano G.)

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Lettera al convegno “Carcere e Territorio”

Noi come detenuti del C.C. di Rovigo e parte in causa, con la presente, come gruppo del giornalino “Prospettiva Esse”, ci sentiamo in dovere e stimolati ad essere presenti a questo convegno. Probabilmente non potremo godere di una presenza fisica che ci rappresenti e quindi ringraziamo comunque chi si farà portavoce di questo nostro modestissimo messaggio.

Vogliamo innanzitutto salutare le parti e le personalità presenti e ringraziare tutti gli organizzatori in quanto lo spessore del problema ci tocca proprio da vicino...

Entriamo immediatamente nel vivo di quello che ci sembra il fulcro della stessa essenza del titolo del convegno e pronunciamo la fatidica parola: reinserimento.

Per un reinserimento mirato, seguito, poco contano il buon comportamento e le varie attività, se non si danno reali occasioni a tutti.

A nostro avviso, per ridurre i rischi di un ritorno al carcere, una delle parole magiche è “lavoro”. Il problema lavoro è una piaga di portata nazionale e tocca tutte le categorie. Ed è inutile nascondersi che la nostra categoria è quella che trova maggiori resistenze.

Se si facesse un salto culturale e venissero abbandonate alcune pregiudiziali (a torto o a ragione) e se gli sforzi fossero diretti in tal senso concretamente su tutti i fronti, allora sicuramente qualche risultato si potrebbe ottenere. Altre regioni, con formule promosse da équipe, composte da varie parti e con finanziamenti previsti per cooperative e altre forme di società, si sono coraggiosamente cimentate in questa ardua impresa. Si cita, per esperienza diretta, la Regione Lombardia con la Spes informatica che dà ormai lavoro a 200 detenuti e a varie Cooperative esterne, tramite commesse di lavoro della Regione stessa nell’ambito delle ricette medico-sanitarie.

Affinché questa permanenza non rimanga solo fine a se stessa e perché divenga il trampolino per reali opportunità di recupero delle persone, gli sforzi dovranno essere certamente mirati. C’è il mare, tra il dire e il fare, tutti lo sappiamo, ma noi speriamo di scuotere questo torpore che, purtroppo, da troppo tempo, dà un senso di anestesia generale, fuori e dentro degli istituti di pena.

La nostra coscienza è attiva e, con gli anni passati e le esperienze, ci ha permesso di focalizzare la vera radice di tanti disagi: la mancanza di posti di lavoro! Il lavoro è una grande opportunità per rompere il circolo vizioso “droga-criminalità-carcere” e di conseguenza, a nostro avviso, anche il territorio potrebbe trarne vantaggio. La nostra esperienza intra-muraria ci permette di definire la C.C. di Rovigo come “vivibile” ed interessata alle esigenze della sua popolazione; vengono offerte opportunità in relazione ad attività culturali e ricreative, pertanto siamo sicuri che in futuro, proprio per queste qualità, sarà ampiamente disponibile a progetti più proficui dal lato reinserimento-lavoro. Certo, ci sarà molto da fare ed è auspicabile che l’impegno sia di tutte le parti, gruppi, associazioni, organi provinciali e regionali. E anche nostro che, compattando il nostro gruppo “Esse”, ci proponiamo di non lasciare nulla di intentato. Noi nutriamo speranze e l’augurio è che questo scritto non sia solo “verba volant”, ma che possa stimolare le parti ad un dialogo che tenga conto dei bisogni di noi detenuti, “perni” su cui ruota la problematica “carcere e territorio”.

Con l’occasione si ringraziano tutti i partecipanti e si porgono cordiali e distinti saluti. (Il Gruppo Prospettiva Esse)

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Articolo 21

Che cos’è l’art. 21 ?

E’ un beneficio che viene concesso dai Direttore dell’Istituto di pena in cui si è detenuti e dal momento in cui la condanna diventa definitiva.

Consiste nel recarsi in un posto di lavoro con orari e tragitti prestabiliti e non trasgredirli.

Ho voluto farvi questa breve premessa per raccontarvi la mia storia (una leggenda metropolitana) molto positiva.

Mi chiamo Antonio e sono un ragazzo di 25 anni di Milano e, da come avrete capito dall’introduzione, ho vissuto in prima persona queste esperienze e adesso ve le voglio raccontare cosicché possiate farne tesoro per eventuali sviluppi in ogni senso!

Mi contattò l’educatrice del carcere di Cremona, in cui ero detenuto nel 1996, chiedendomi se ero disposto a frequentare un corso professionale della Regione Lombardia come “aiuto cuoco”, che prevedeva 4 mesi di scuola con mattinate di teoria e pomeriggi di pratica in cucina, più 2 mesi di stage all’esterno presso un’azienda: il tutto si svolgeva nella sezione penale del Carcere di S.Vittore.

Dunque accettai la proposta e perciò venni trasferito; ritengo di essere stato molto fortunato perché su 250 detenuti siamo stati selezionati in 2 da aggiungersi ad altri 6 già selezionati in precedenza presso altri istituti della Lombardia. Il corso si svolgeva dal lunedì al sabato mattina per un totale di otto ore al giorno, 4 alla mattina e 4 al pomeriggio. Fino alla giornata di venerdì durante la mattinata studiavamo “merceologia”; questa materia era basata sullo studio degli alimenti in generale e dell’igiene, collegati alla pratica in cucina. Durante il pomeriggio si cucinava e per due volte alla settimana facevamo un corso di pasticceria, che personalmente mi è piaciuto molto e da cui ho appreso tanti trucchi culinari.

Il sabato mattina invece si studiava cultura sociale, una materia circa l’orientamento al lavoro futuro.

Al termine di questo corso ho dato degli esami che dovevano appurare se la mia preparazione era idonea per un lavoro presso un’azienda esterna.

Superato l’esame sono stato così ammesso all’art. 21, così prima di poter realmente iniziare a godere di questo beneficio il direttore di questo istituto aveva chiesto agli studenti promossi di preparare un buffet per coronare l’esito della prova, cioè un rinfresco fatto di prodotti curati dagli stessi: torte, pizzette, tartine, tutti tratti da insegnamenti ricevuti, anche in occasione di una conferenza tra cui vi erano, come invitati, giornalisti, fotografi, il ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flik e Sergio Cofferati; questa è stata una delle più belle esperienze della mia vita, in quanto mi ha dato grande soddisfazione e gratificazione.

Mi è stato assegnato un lavoro in seguito, presso una mensa di ristorazione collettiva, di nome Pellegrini, nella quale mi sono trovato molto bene e, terminato il mio stage, dopo alcuni altri esami, mi hanno riconosciuto un diploma di “aiuto cuoco”.

Per ristorazione collettiva si intende una mensa che produce cibo per il personale di un’azienda, più anche varie commissioni di altri enti.

Con questo mio articolo vorrei attirare l’attenzione circa le possibilità del beneficio dell’art. 21 che, nella realtà di questo istituto, per svariati motivi è scarsamente considerato, ma potrebbe essere di grande aiuto per il reinserimento di noi detenuti. Spero, infine, di avere reso partecipe e sensibilizzato chiunque legga questo articolo, che è la nostra voce per poter comunicare con la collettività. (Antonio C.)

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Storie

 

Uno come noi

E’ proprio uno come noi che è venuto a mancare, morto suicida all’interno della sua cella, nel carcere delle Vallette a Torino, un luogo squallido e arido che certo non aiuta a superare le proprie angosce, anzi le accentua.

Vogliamo spendere alcune parole in memoria di un ragazzo che, indipendentemente dalla sua fede politica, ceto sociale o reato commesso, è stato penalizzato da un organismo giudiziario che, tenendolo in isolamento cautelare, escludeva ogni forma di garantismo dell’integrità psicofisica della persona.

Non ci vogliamo dilungare con polemiche inutili che non aiuterebbero nessuno, né a noi che scriviamo questo articolo, né a chi lo legge; non abbiamo la pretesa di cambiare le cose. Desideriamo solo poter riflettere su un dato di fatto, che con questo atteggiamento giudiziario neanche il libero cittadino si può sentire più libero, perché i giudici e la magistratura stessa usano la custodia cautelare ripetutamente e indiscriminatamente sbattendo in una cella di isolamento prolungato molte persone che, come successivamente si rileva, non risultano pericolose per le indagini, con lo scopo del cedimento psicofisico della persona stessa, perché l’isolamento ad altro non serve se non ad annientare psicologicamente la persona, che quindi si trova nell’incapacità di reagire ai continui interrogatori e martellamenti quotidiani.

Esempio ne sono gli avvenimenti di tangentopoli, ma non ultimo il caso del generale Delfino, per citare i più famosi, ma molte persone in Italia, ogni giorno, subiscono l’uso indiscriminato della custodia cautelare, persone in qualche modo diverse tra loro, ma accomunate dal vedersi mettere in mano il fascicolo con il loro nome e sbattute in isolamento.

Ritornando al nostro compagno sventurato, si somma, nell’analisi della vicenda, dolore a dolore in quanto è passato da una condizione infima ad un’altra che forse lo condannerà in eterno agli occhi di Dio.

Alla fidanzata-compagna ex coimputata hanno immediatamente concesso gli arresti domiciliari, forse perché sono venute meno le esigenze di custodia cautelare e quindi l’eventuale possibilità di inquinare le prove? (Luigi R.)

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Figli e dolore

Sono una persona molto sensibile e bisognosa di affetto, perché da piccola non ho avuto molte attenzioni dai miei familiari, per motivi che adesso non sto a spiegare. Ora mi trovo in carcere a Rovigo (Sezione femminile) e, siccome sono una ex-tossica, le assistenti sociali le sento addosso come fardelli, vogliono indirizzare la mia vita come vogliono loro, non dimostrano interesse per quello che penso e frustrano i miei sentimenti ed emozioni, da belle me le fanno diventare brutte, comportandosi così. Hanno proposto di mandarmi in comunità e così dovrò perdere il lavoro che ho fuori, e non potrò aiutare mia madre, che al mese prende una pensione da fame. Io sono qui per rapina e ho avuto altre carcerazioni, non sono mai stata dentro più di un mese. Ora sto lottando per la vita e la mia libertà fisica e morale, ma sto faticando.

E’ difficile, in questa situazione, comprendere gli operatori quando mi propongono strade diverse da quelle che io vorrei percorrere. Non posso di certo accettare che mi tolgano il figlio che ancora porto in grembo. Per qualsiasi madre sarebbe allucinante vivere questa situazione. Come posso comprenderle quando il mio desiderio è di andare a casa, quando sarà possibile, per lavorare, aiutare mia madre e me stessa, rientrando a far parte della società con le mie facoltà mentali, senza quello stile di vita vissuto e sofferto di prima. Chiudo chiedendo l’aiuto di Dio, io ci credo e spero in una grazia morale non fisica, perché non sono più io, sono diventata dura con i sentimenti, ma non per colpa mia, bensì per colpa di questo maledetto posto che ti ferisce dentro. (Michela)

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Regole e figli

Sono Lina, è la prima volta che mi accingo a scrivere un mio pensiero su un foglio. Ho quasi 43anni e mi è capitata, chiamiamola una disavventura, e quindi mi trovo rinchiusa nel carcere circondariale femminile di Rovigo. Attraverso racconti o anche tramite qualche film avevo potuto notare la crudezza di questi brutti posti, ma niente è al confronto la realtà. Io sono in- censurata, quindi non avevo la più pallida idea di cosa volesse essere o significare mettere piede qui dentro; anche se non lo avevo mai sospettato, anch’io ho fatto questa esperienza e credo che mi lascerà il segno, magari non nel fisico come cicatrice, ma dentro, come un segno indelebile che mi porterò dentro e non basteranno mille docce a 100 gradi per poterlo cancellare. Quello che mi ha fatto più male è stata la netta sensazione di non essere più padrona della mia persona e neanche di esprimere un pensiero.

Sì, è vero che s’impadroniscono della tua persona fisica; infatti quando arrivi ti spogliano di tutte le tue cose, anche di un oggetto caro, che magari sono anni da cui non ti separi, perché è un ricordo di qualcosa di importante.

Quello che conta è non farli entrare dentro di te, nei tuoi sentimenti, quelli devono rimanere tuoi ad ogni costo, difenderli in modo che, quando sei nel tuo letto, sotto le coperte, puoi dare sfogo a tutti i tuoi sentimenti violentati, pensare alla tua casa, i tuoi libri, le tue cose e soprattutto, se si ha la persona che si ama.

Come nel mio caso mia figlia Daniela, che è da venti giorni che non vedo. Sono siciliana e la bambina, che ha 14 anni, si trova a Jesolo e, solo perché è impossibilitata di andare in Sicilia a fare la carta di identità, le viene privato il diritto di vedere la sua mamma.

“Questa è la legge italiana”. (Carmela C.)

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Trauma

Il trauma che si prova con l’arresto; non so se con le parole posso descrivere ciò che si sente dentro; quando accade, sconvolge tutto quello che uno fino a quel momento aveva costruito.

Non c’è cosa peggiore di questa! Solo il fatto di trovarsi ristretto in una cella di 18 mq, compreso il bagno, è orribile; quello di convivere con 8-9 persone di paesi e abitudini diverse. Aggrava il proprio stato d’animo trovarsi ad avere uno strappo totale con la civiltà e ritrovarsi in un ambiente totalmente estraneo a tutti i pensieri e sentimenti, vedere la propria moglie o fidanzata e la propria figlia una volta alla settimana per un’ora, spezzati da un freddo banco di marmo, è una esperienza inverosimile.

Poi quando ti ritrovi davanti al giudice e ti conferma l’arresto si pensa: “Chissà quando rivedrò mia figlia, quando sarà grande? Ti senti veramente un oggetto e senti il potere che hanno nei tuoi confronti e quanto piccolo tu sia e loro quanto forti nei tuoi confronti”.

Questo è un trauma, non il trauma che si prova in un incidente, che scompare dopo un paio di giorni di degenza in ospedale; quello che si prova in carcere rimane tutta la vita.

Poi quando vieni portato con le manette in un’aula di tribunale, aula che tu hai visto solo nei film, ti chiedi quale valore ha la tua vita e non sai cosa ti succederà. (Renato P.)

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Solitudine

Un giorno d’inverno stavo seduto in riva al mare; unica compagnia, una bottiglia di vino e un pacchetto di sigarette. Ero solo con i miei problemi affettivi, lei non c’era più, mi sentivo perso, parlavo con il mare, urlavo al vento parole di quanto mi mancasse, sperando nel cuore che il mare e il vento portassero a lei le mie parole d’amore, che lei sentisse il mio dolore e che, seguendo il vento, seguendo il mare, tornasse da me.

Mi misi a scrivere parole d’amore sulla sabbia, sperando che il tempo non le cancellasse, che un giorno lei, passando per la riva, le potesse leggere, capire il mio “dolore d’amore” e tornasse da me.

E proprio mentre scrivevo, notai delle impronte di un cane, presi in mano la bottiglia di vino, le sigarette e iniziai a inseguire quelle impronte. Speravo di trovare quel cane randagio, solo come me, speravo di trovarlo; almeno non saremmo stati più soli e, anche se non fossimo riusciti a capirci, almeno non eravamo più soli.

Seguii quelle impronte per ore ed ore, non trovai mai quel cane randagio e allora capii che stavo inseguendo me stesso. Quel cane non lo trovai mai, ed io sprofondai nella mia solitudine.

Sto ancora inseguendo le orme di quel cane. (Maurizio F.)

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L’importanza del body building in carcere

Ho 35 armi e da un anno circa mi trovo recluso nella Casa Circondariale di Rovigo. Essendo la mia prima e, spero con tutto me stesso, anche ultima esperienza carceraria, ho cercato piano piano di abituarmi alle situazioni, nonché ai ritmi all’interno dell’istituto, e ho osservato che la noia, la depressione e la tristezza regnano sovrane.

E questo perché?

Secondo il mio punto di vista tutti i detenuti o, perlomeno quelli con un po’ di energia psicomotoria, dovrebbero trovare all’interno dell’istituto un modo per impegnare il tempo e rinvigorire il proprio fisico!

Un modo molto valido, che negli ultimi anni ha dato grande prova di riabilitazione, mantenimento, costruzione e fitness, è il body building! Più comunemente identificato con il nome di cultura fisica, o ginnastica con i pesi.

Promuoverei questo tipo di ginnastica preparatoria a qualsiasi tipo di sport da promuovere nelle carceri, soprattutto per mettere in moto, con un certo vigore, ogni singolo detenuto.

Ma soprattutto proporrei alla direzione questo tipo di disciplina sportiva proprio per la mia esperienza ventennale nel settore, attraverso la quale posso dire con certezza che potrebbe fare solo del bene, sia sul piano fisico che su quello mentale. Le due cose viaggiano parallele!

Quindi, attivare le condizioni da parte dell’istituto di avere in dotazione un minimo di attrezzatura indispensabile, che possa permettere l’allenamento con i pesi, magari nell’ora d’aria.

Sono convinto potrebbe essere una soluzione valida per i detenuti, i quali invece, proprio all’ora d’aria, continuano ad alimentare di giorno in giorno i loro problemi, passeggiando da una parte all’altra del perimetro dell’aria come degli automi! Persistendo tra discorsi e pensieri che ogni giorno martellano ininterrottamente il loro cervello in modo negativo.

Concludendo, ci tengo a precisare che prima di entrare in carcere gestivo una palestra di body building, e che tra i vari frequentatori, nonché allievi più fedeli, mi assicuravano che la loro vita, i loro ritmi e bioritmi erano radicalmente cambiati in meglio proprio con l’inizio di questa attività fisica che permette di realizzare una massima positiva per la vita stessa: “Mens sana in corpore sano!”. (Pierpaolo)

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Dura realtà

Oggi è domenica, le campane stanno suonando a festa, il mio sguardo si volge verso la finestra, c’è il sole che splende in cielo, che sembra più azzurro che mai.

La mia finestra si apre, oltre il vetro ci sono le sbarre, come sono brutte, ma non importa, l’aria entra lo stesso, rinfrescando questa stanza; stanza che ormai è diventata la mia casa.

Più di un mese è passato e nulla è cambiato, qui la vita è sempre uguale giorno dopo giorno. Sulla parete di fronte al mio letto c’e un calendario; calendario pieno di crocette, da me fatte, a ricordarmi i giorni passati. Ma quanto pochi sono, rispetto a quelli da passare, chissà se ce la farò.

A volte mi scende la tristezza e il mio pensiero sarebbe propenso ad una soluzione drastica, ma poi?

A casa ho già messo in difficoltà i miei familiari, una dolcissima moglie, che tutte le mie rogne ha sopportato, due meravigliosi figli, che per fortuna da me hanno preso solo il sangue e non il mio cervello. Quindi il pensiero di loro, che mi aspettano a casa, scaccia quella tristezza e torno alla realtà e a quel sole che i suoi raggi riscaldano anche questa fredda cella.

Fuori ci sono centinaia di piccioni che svolazzano liberi, decorando quel cielo già descritto, liberi e felici tutti in gruppo. Beati loro che sono liberi, come lo ero anch’io, ma questa libertà me la sono giocata in cinque minuti. Ora ne dovranno passare di minuti per riconquistarla. Spero che questa lezione mi sia servita, anche se…

La domenica sta passando, altre ne verranno. Com’è dura, ma questa è la realtà di carcerato. (Amedeo R.)

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BREVEMENTE dalla redazione

 

Pena e speranza

Mai, come in questo periodo, la legge Gozzini è stata sotto accusa! Una legge che era nata e, presentata al grosso pubblico, come la risoluzione di tutti i mali che affliggono il pianeta carcere. La Gozzini era stata varata per ampliare la vecchia 354/75 in modo da avere più possibilità, più strumenti legislativi, per l’applicazione delle misure alternative alla pena per quei detenuti che, con il loro comportamento, avessero dimostrato di meritare fiducia, di essere sulla strada del reinserimento e per dare, finalmente, alla pena quel ruolo pedagogico, tanto enfatizzato e, peraltro, sancito a chiare lettere dell’art. 27 della Costituzione.

Cavalcando l’onda del garantismo, che aveva caratterizzato gli anni ’80, la legge in questione aveva dato degli ottimi risultati ma, come spesso accade nel nostro Paese, gli isterismi popolari, partoriti da gravissimi fatti di cronaca, hanno fatto sì che, con il passare del tempo, quella che era una buona legge abbia subito diversi stravolgimenti in senso restrittivo, riducendola ai minimi termini; fatto che ha avuto, come effetto collaterale immediato, che le patrie galere sono sovraffollate da far paura.

Di fronte a questa indicibile realtà le strutture carcerarie risultano assolutamente inadeguate; si è recentemente affermato da più parti che alcuni di questi istituti sono da terzo mondo e che la situazione è esplosiva e potrebbe sfuggire di mano, con le conseguenze che si possono immaginare.

Il sovraffollamento ha raggiunto limiti insostenibili, per cui gli obbiettivi trattamentali finalizzati al recupero, previsti appunto dalla legge Gozzini, sono molte volte irraggiungibili, non solo per chi ha reale volontà di rimanere fuori da certe logiche, ma anche per gli operatori delle aree educative, che impotenti e frustrati, assistono a tanto, considerato che sino ad oggi poco è stato fatto per incrementare il numero di operatori del trattamento.

Spesso mi domando cosa bisogna fare per ritornare ad una condizione di normalità, ma non trovo la risposta! Non ho soluzioni da dare, ma ritengo che se si proseguirà sulla strada della speranza, offrendo un utile e valido supporto legislativo, che venga emanato in via definitiva senza possibilità di ritornare sui propri passi, che permetta di superare la pena a quei detenuti che ne abbiano maturato i tempi e modi, la situazione sarebbe certamente meno esplosiva e permetterebbe di vivere meglio all’interno degli istituti, dove i componenti delle Aree Educative avrebbero lo spazio ed il tempo per fare il loro lavoro e così raggiungere lo scopo finale della pena: “la rieducazione per il reinserimento”!

Inoltre, altri passi da fare sono: di comparare le pene alla media europea con la certezza e stabilità per legge che, una volta maturati i tempi previsti ed avendo tutte le carte in regola, il superamento della pena avvenga quasi automaticamente.

Questa è una speranza che tutti noi coltiviamo e che è sempre viva dentro ogni persona, si spera che non sia invano. (Giuseppe T.)

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Dipendenza

Fine secolo da sballo. Sembra la parola d’ordine delle ultime generazioni.

La caduta dei valori che il consumismo della società occidentale ha indotto soprattutto nei giovani, ha aperto la strada al mercato più o meno occulto della droga. Droga, che sono tutte le sostanze o i vizi che procurano dipendenza, tolgono la libertà, la voglia di vivere e portano a conseguenze estreme, quali malattie, carcere e anche morte.

Droga è devastazione psicofisica, è emarginazione, è illegalità. E la strada per arrivarci non è neppure così difficile. Parlando con ragazzi che stanno attraversando la difficile strada del recupero, subito si scopre che tutti hanno iniziato assumendo dosi massicce di alcool, nelle discoteche, nei pub, immortalando le notti con mitiche sbronze. Lo spinello è stato per tutti il secondo passo. Tanto, dicono, credevano non facesse male, perché allarga la percezione e dà una piacevole sensazione di rilassata euforia. Già si è entrati nell’illegale, perché l’alcool è di stato, ma la marjuana no! Si compra nella piazza, dove ad ogni angolo trovi spacciatori anche di droghe pesanti.

Passa molto tempo e viene il giorno che la piazza è sprovvista di droghe leggere, e tu hai voglia di sballare, perché la realtà non ti soddisfa, hai tanti problemi e l’abitudine ad allontanarli, a non volerli sentire, a non affrontarli. Così, quel giorno decidi di provare uno sballo diverso. Sai che è pericoloso, ma per una volta… Il primo sniffo, e quasi ti convinci che in fondo non fa così male e pensi anche che la tanto decantata dipendenza non è un problema tuo. Tu sei più forte e non ci cascherai mai. Così ne compri ancora, ripeti l’esperienza e con quello sballo vai pure in discoteca e ci bevi sopra, e ci fumi sopra e non ti accorgi, fra la musica che ti avvolge con tutte quelle luci, che hai già un piede nel dramma della ormai vicina tossicodipendenza.

Sempre in quella piazza, trovi prima o dopo l’amico che già è vittima totale, si buca, usa eroina e cocaina con facilità estreme, sono già il suo pane quotidiano. E ti dice che è bellissimo, ti invita a provare e lo guardi e ti dici che in fondo ti sembra tutto normale. E provi anche tu, ti fai insegnare, pianti quell’ago piccolino che non fa neanche male e poi, titubante ma deciso a provare, mandi giù piano quel liquido scuro, e l’onda ti arriva dolce, t’invade piano. E’ bellissimo dici, come mai ne parlano tutti così male? E vai avanti un po’, convinto di aver risolto tutta la tua infelicità e il dolore che la vita ti aveva riservato.

Ma viene il giorno che ti svegli alla mattina, sei tutto sudato e hai tanto freddo. Sei tutto indolenzito, la pancia ti fa male, la schiena è a pezzi e ti viene un sospetto. L’avevi sempre sentita quella parola: “astinenza”! Adesso la stavi provando, capisci che urge una dose, cerchi i soldi e corri. La trovi, 5 minuti, e finalmente tutto passa. Si sta ancora bene. Ma il bisogno aumenta, tutto il resto perde importanza. Affetti, doveri, dignità, piano ma inesorabilmente tutto va a rotoli.

I primi furti, le prime denunce e poi la prima carcerazione.

E niente e nessuno riesce a fermarti. E i conoscenti scompaiono, chi si ammala, chi si uccide, chi in carcere, chi in comunità. Arrivi a vivere in un deserto senza fiducia e speranza.

Questo mi hanno raccontato tanti ragazzi.

Si può uscirne, ma è difficile, non bisogna mai abbassare la guardia, perché a ricaderci ci vuole niente.

Conosco un ragazzo che è arrivato a un punto della sua vita in cui ha forse l’ultima possibilità per riuscire a salvare se stesso e per recuperare gli affetti che fortunatamente gli sono ancora vicini. Adesso è in carcere, ma il Ser.T. e il suo avvocato si stanno adoperando per avviarlo a un programma di recupero. Sarei felice se si impegnasse seriamente su questa opportunità che gli verrà concessa. Lo facesse almeno per la bellissima bimba che ha e per la moglie che, nonostante tutto, continua a sperare in un suo recupero.

In tanti Paesi Europei ci sono diverse strategie per combattere questo fenomeno o almeno per contenerne i danni. Credo comunque che un’informazione preventiva e capillare, cominciando fin dai primi anni di scuola, possa essere sicuramente il mezzo migliore per combatterlo.

La droga rende schiavi. (Antonio M.)

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

 

Sogno riflesso
(a Claudia)

Specchio d’infanzia

in nero

di cielo riflesso, bianco

spina nel fianco (rosa appassita).

Ecco l’anima! Bambina!

M’insegue il roseto adolescente,

s’innalzano siepi che non vedo fiorire.

(Resteranno i salici, il fiume lento

resterà

e la robinia fiorita).

Ti attendo nelle notti coi sogni.

Aspetto le stelle. Sarò coraggioso?

Diventerò gatto, cane o pesce?

Dov’è il pesco fiorito?

Dove il pioppo?

Anima mia

bambine mie

guardatele

le stelle!

Antonio M.

Dimenticati

Dimenticati da tutto e da tutti

Dimenticati dal tempo

Presente e passato

Passato che anche hai onorato

Onorato sia pur sbagliando

Sbagliando e pagando

Pagando forse anche troppo

Troppo per questa vita da rinchiusi

Rinchiusi e dimenticati

Dimenticati dallo Stato

che ci ha lasciato tra queste mura

Mura su una via che porta il nome

di un grande

Un grande compositore “Verdi”

Verdi che ci trasporta con il pensiero

Pensiero che va su ali dorate

Ali dorate che però non ci portano via

Non ci portano e non ci porteranno via

Via perché?

Perché il presente ci riporta

Ci riporta rinchiusi e dimenticati

Amedeo R.

Parola amica
(per i volontari del carcere)

Nel recinto

pascolano

uomini.

vegeta la noia

cova disperazione

e miseria...

 

Nei cieli

e negli inferni

si specchiano

passioni ed illusioni

e pianti.

 

Speranze

si accendono

e consumano

nel sorriso e canto

di parola amica.

Pavarin Q.

Una lacrima

Ecco! Sta scendendo

pesante sul mio viso

è piccola ma dice tutto:

mi suggerisce l’amore per te.

Ha l’amarezza del dolore

e, come se avesse paura,

mi sussurra il tuo nome.

Andrea A.

Piccoli attimi

Com’è strana la vita

capace di regalarti

attimi meravigliosi,

di farti battere il cuore

a cento all’ora!

Di farti toccare

il cielo con un dito.

Ma ad un tratto

una delusione

e tutto svanisce...

Andrea A.

La notte

La notte è la cosa più bella

perché in lei vedo i tuoi occhi

lucenti come la luna.

I tuoi capelli sono le fronde

mosse dal vento

e tu sei quella stella

che la sera brilla nel cielo

e di giorno risplende nei miei occhi.

Andrea A.

Sempre libero

Il mio pensiero fugge galeotto

attraverso i quadrati delle sbarre

della mia cella.

Le hanno costruite per non farmi scappare,

le hanno costruite per umiliare il mio io...

ma non possono certo incatenare il mio

pensiero; con lui, io fuggo e vago per il

mondo, raggiungendo le mete più ambite

del mio cuore, io fuggo ad ogni istante

attraverso queste sbarre, e supero quel muro

che hanno apposto tra me e la libertà,

così io volo... volo… volo, come una colomba

bianca, mentre loro terranno prigioniero il

mio corpo, ma non la mia anima,

forse loro… rimarranno sempre.

Mario S.

Povero cuore

Cuore grande abbraccia

tutti i miei fratelli, sia

i poveri che i belli,

grande cuore rendimi onore,

ogni tuo battito è gioia e

dolore.

Orfano - solo - verso l’amore

mi involo.

Senza di te non sentirei

le pulsazioni di vita,

insegna ad ogni uomo

ad amarsi senza ritegno e

ad appartenere ad un unico

genere per esserne degno.

Massimo B.

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Lettera a…

 

Cari amici,

ricevo “Prospettiva Esse”: vi ringrazio molto.

Penso sia uno strumento prezioso, sia per i motivi di speranza che può coltivare, sia per la conoscenza della realtà del carcere che può diffondere all’esterno.

In fondo il vostro periodico realizza una proposta che mi ero permesso di presentare dopo la mia venuta presso di voi lo scorso anno.

Bisognerebbe far conoscere a tutti la realtà del carcere, quella che si vede, ma anche quella che c’è nell’anima dei detenuti.

Non so quale tiratura abbia il periodico, che vedo sostenuto dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia.

Si potrebbe mandare almeno a tutti i sindaci e assessori ai servizi sociali dei comuni della provincia, e a tutti i parroci e consigli pastorali delle parrocchie.

Sono certo che l’Assessore Pasin, da una parte, e il Vescovo, dall’altra, potrebbero dare un sostegno a questo scopo. Se vi può essere utile una mano per raggiungere, se lo si ritiene valido, questo obiettivo, sono ben lieto di collaborare.

Se avete la possibilità di farlo, dite ai giovani, che scrivono sul periodico, che ho apprezzato molto quanto hanno detto.

Un saluto cordiale,

Mons. Giovanni Nervo

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