«Prospettiva Esse – 1998 n. 1»

Indice

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

Dalle parole ai fatti:

Storie:

 BREVEMENTE dalla redazione:

Voli di dentro (poesie e quant’altro)

Lettera a... (Quirino P.)

 

[Indice]

PERIODICO AD USO INTERNO
DELLA
CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

Un anno di “Prospettiva Esse”. Sei numeri, comprendendo il numero zero, di riflessioni e di cronache di fatiche e di speranze. Di sicuro un anno importante di maturazione, nel tentativo di socializzare e di attivare un dialogo con il mondo esterno. Siamo partiti da quello che ai più poteva apparire come un sogno, ma che, prendendo forma nel desiderio, come una madre ha concepito, ha creato e dato vita. I primi passi che abbiamo compiuto ci soddisfano, ma vogliamo ancora migliorare e crescere. Soprattutto questo nostro lavoro deve continuare, per essere punto di riferimento importante per chi con noi si occupa delle problematiche del carcere e, in primo luogo dei bisogni strettamente umani.

Il settore della nostra vita sociale come “cittadini”, anche se di “seconda serie”..., non è certo separato dalla nostra vita privata come individui; questo succede qui ogni giorno, in ogni manifestazione dell’Istituzione e voglio pensare che anche questo sia uno degli scopi del “progetto di rieducazione”. perché può farci sentire parte di un tutto che ci unisce ai nostri simili. E, per simili, intendo gli appartenenti al genere umano.

Non dispiacciano queste mie parole, affinché quelli di noi che hanno sbagliato, e stanno pagando, siano degni di compassione, non di disprezzo, per trovare il desiderio e lo stimolo a fare meglio nel proprio futuro. Si abbia fiducia nel tempo... Si abbia fiducia nelle capacità degli uomini di rigenerare e rinnovare se stessi.

Probabilmente, tutto questo si dà per scontato, ma è sempre meglio tornare a rifletterci, di modo che non rimangano semplici concetti astratti, ad uso e gloria di chi li professa e non fa nulla per migliorare lo stato delle cose.

E, nell’opera di rieducazione, si facciano gli sforzi concreti, per ricostruire la nostra capacità di progettualità, fornendo gli stimoli e soprattutto le opportunità. Opportunità vere che diano il modo di fare delle scelte precise per il proprio futuro e per un nuovo orientamento.

Questo è un augurio che facciamo per il futuro tempo di lavoro che, anche grazie al nostro giornalino, sia di prospettive sempre più concrete e di speranza sempre più rigeneratrice e fonte di vita.

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Dalle parole ai fatti

 

Le fatalità della vita

Il carcere non è un gioco, non si può pensare di essere entrate nella “casa delle bambole”.

Avevamo sempre pensato di conoscerlo, ma non sapevamo di toccare con mano la più atroce sofferenza. Mentre abbiamo constatato che chi non l’ha mai provato non sa di certo che qui non si viene a fare una “passeggiata”. Bisogna essere veramente dei duri per non uscire da questi posti con il cervello spappolato. Il peggio è se fuori hai qualcuno che ami veramente, allora o diventi freddo come il ghiaccio o ne soffri da morire senza contare la sofferenza che provochi loro. Il brutto è se poi queste persone che ami ti abbandonano a te stessa.

Il tempo in carcere bisogna sempre tenerlo impegnato studiando o leggendo e pensiamo che questa sia la cosa migliore; almeno finchè sei con gli occhi sulle parole di un bel libro il tuo pensiero vola e non ti accorgi dove sei. E’ l’unico sistema, altrimenti ci si atrofizza anche il cervello.

Quando si va in tilt, pressate dal sistema carcerario, l’unico sfogo liberatorio è il pianto. Pur essendo abbastanza unite, fra noi quattro, questo succede perché non possiamo e non riusciamo a cogliere e intuire il malessere che c’è in ognuna di noi.

In certe occasioni chi combatte è un eroe, specie se in svantaggio. Abbiamo perso una battaglia non la guerra! Noi crediamo di dover reagire con la consapevolezza che la nostra libertà spirituale è l’unica cosa di cui non potremo mai essere private; il nostro corpo rimane qui, ma il nostro spirito continua ad essere libero di vagare anche oltre le mura del carcere.

Pensiamo che la vita a cui siamo costrette qui dentro non sia per noi di grande aiuto, pur consapevoli degli errori fatti, tutto questo servirà solo a incattivirci e ad indurirci ancora di più.

Eravamo quattro amiche al bar, vivevamo una vita difficile, ma felice, non avevamo niente ma eravamo contente e ricche della nostra libertà. (Paola S., Cristina L., Mary F., Giovanna B.)

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“Riflessione sull’incontro con il magistrato di sorveglianza”

Prima di Natale noi detenuti abbiamo ricevuto un bel regalo: la visita tanto attesa del Magistrato di Sorveglianza, dottor Pavarin, e della sua collega, dottoressa Caruso. Per noi è stato molto importante, considerato anche il fatto che avevamo scritto una lettera con la quale chiedevamo una loro visita in istituto, diversi mesi fa. Che sia stato un successo lo dimostra anche la nostra folta presenza durante la riunione, e tutti noi eravamo molto attenti nel seguire quello che dicevano. Devo ammettere che sono stati pazienti ad ascoltarci e a rispondere alle nostre domande in maniera esauriente, anche a quelle non pertinenti con il contenuto della riunione. Devo ammettere, come penso altri, che se prima avevamo dei dubbi, ora li abbiamo chiariti quasi completamente, cioè si è capita la funzione del Magistrato di Sorveglianza e le responsabilità come singolo che egli può assumersi.

Il Giudice, in camera di consiglio, può concedere la libertà anticipata, comunemente chiamata “i giorni” e nel concederli valuta soprattutto se il detenuto frequenta corsi ricreativi o rieducativi, se è partecipe a corsi quali scuola, computer, etc., e questa è la cosa più importante perché il risultato sia positivo; perché è da tenere presente che se anche nessuno di noi dovesse prendere rapporti disciplinari, non è escluso che gli rigettino l’istanza, perché, come detto in precedenza, valutano molto la partecipazione ai gruppi o ai corsi. Una decisione che il magistrato prende singolarmente riguarda i permessi premio, solo per detenuti con pene definitive. Anche in questo caso, come nel precedente, viene tenuto conto della relazione dell’istituto che è molto importante ed è fatta dal direttore, dall’educatore ed anche dalla relazione degli agenti di custodia, e, ruolo molto importante ai fini della decisione viene dal parere dell’assistente sociale, che ha il compito di vedere se il luogo dove viene chiesto il permesso è idoneo. Se non lo fosse si può decidere di chiederlo in qualche comunità o centro d’accoglienza. Valutati questi elementi, infine, il Magistrato di Sorveglianza esprimerà il suo giudizio al riguardo. Diversa è la valutazione per la semilibertà o l’affidamento, massima espressione delle misure alternative, di cui ognuno di noi, quando ci sono i requisiti, può beneficiare. Per quanto concerne la semilibertà, per essere attuata deve esserci una sezione apposita e consiste nel lavorare fuori per rientrare a dormire alla sera. Discorso diverso è l’affidamento in quanto per questo beneficio, ci vuole sempre una richiesta di lavoro o comunque una collocazione precisa; perché tutta la restante pena viene scontata all’esterno.

In conclusione, questa visita è servita a molti di noi per capire il compito del Magistrato di Sorveglianza e soprattutto come e cosa possiamo richiedere e i requisiti che occorrono. Noi vorremmo che il più presto possibile ci fosse l’opportunità di ricevere un’altra visita del genere, considerato che in questo istituto, essendo un circondariale, c’è sempre gente nuova e per la maggior parte delle volte con breve pena da scontare. Ringraziamo per la disponibilità espressa dal dottor Pavarin e dalla dottoressa Caruso nei nostri confronti, aspettandoli nuovamente, non appena sarà possibile, a braccia aperte. (Ivan G.)

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Consulta sulle tossicodipendenze

Continua il confronto fra le forze politiche che amministrano la nostra realtà locale sul tema della liberalizzazione delle droghe leggere. Non so proprio se in linea di principio si potrà arrivare mai ad una soluzione che “accontenti” un po’ tutti e che in qualche modo riesca a risolvere il problema. Ma un risultato positivo è stato, a mio parere, l’idea della “Consulta sulle tossicodipendenze”, che si spera possa quanto prima iniziare il lavoro. Nessuno meglio degli “addetti ai lavori” potrà cercare e proporre gli orientamenti di intervento “migliori”, proprio per le molte esperienze acquisite sul campo. La consulta sarà importante, per prima cosa, proprio per il “fatto democratico” che essa comporta: la partecipazione diretta e attiva di più persone interessate al tema in discussione, e che meglio può coinvolgere la cittadinanza ad affrontare le problematiche che in modo diretto o indiretto toccano un po’ tutti.

Sento spesso citare statistiche e numeri a dimostrazione dei risultati ottenuti con questo o quel metodo... e ciò mi dà la sensazione che siano solo cifre e astrazioni, al di là dei limiti nei quali è possibile un genere qualsiasi di esperienza concreta. E’ bene quindi che a livello di comunità locale si prenda atto della realtà esistente e si operi a diretto contatto con essa. In questo modo si può meglio entrare nella “dimensione umana”, nello specifico della persona, del suo “caso” e del suo disagio. Le statistiche, i numeri, ci possono pure orientare, ma non dovranno mai trascendere il singolo e la sua unicità, pur in un problema che accomuna così tante persone. In questo modo si potranno incrementare l’offerta e le opportunità di intervento che meglio soddisfino le singolari esigenze di ognuno. E’ pur sempre importante proporre norme e leggi di riferimento che meglio chiariscano l’ambito in cui sviluppare un intervento, nonché i mezzi, gli strumenti e i fini; ma sempre tenendo ben presenti le leggi che governano quello che di più umano agisce nella persona. Per formulare una strategia per la crescita di individui che, dalla disperazione della droga, ritornino a vivere la propria libertà. Libertà che “non è altro” che la capacità di seguire la voce della ragione e della salute, della propria coscienza e del proprio benessere. Qui si tratta di educazione: “accompagnare e crescere insieme”. Per ritrovare la forza della propria progettualità, per dare un senso alla propria vita (un problema comune a molte categorie di giovani e di persone...), per ritornare ad essere un individuo sociale.

L’intervento nel recupero non potrà essere disgiunto dall’opera di prevenzione, in modo che più e più giovani siano informati dei rischi nella pratica della tossicodipendenza, riuscendo a fornire un po’ a tutti varie opportunità e modelli di vita alternativi, e la consapevolezza, per poter praticare delle scelte ben precise.

Questo è l’ormai pressante problema della mancanza di valori che perseguita la nostra società e la rende man mano sempre più sterile. Valori che dovranno essere proposti con la testimonianza e con l’esempio. Coinvolgendo anche le famiglie, troppo spesso lasciate sole, inadeguate ad affrontare problemi ormai più grandi di loro. A proposito di tutto questo, nella consulta si ascoltino anche le voci di tanti ragazzi usciti dalla tossicodipendenza, con percorsi diversi ma dal succo profondamente simile. Si ascolti la loro testimonianza e le loro proposte, per lavorare insieme nel realizzare un modo di vivere diverso che, solo, può aiutarci a risolvere i mali di questa nostra società.

Compito della consulta deve, alla fine, essere quello di proporre, proprio agli amministratori che l’hanno voluta, interventi mirati nel nostro territorio, al momento ancora scarso di risposte concrete.

A questo punto, da questa ottica, parlare di liberalizzazione o meno ha poca importanza: importante sarà, come sempre, agire in merito ai bisogni e ai problemi dell’uomo. (Quirino P.)

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“Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace di tutti”

Come negli ultimi anni, “Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace di tutti” è un terna di riflessione per la marcia della pace dell’1 gennaio. Mi ritrovo, da non credente, sempre più a mio agio a meditare sulla pace, e questo è fondamentale per me, per la mia crescita intellettuale e spirituale.

Senza la conquista della mia pace interiore non avrei avuto molte possibilità di cambiare e maturare e non potrei più immaginare un qualche futuro: sarei rimasto un “auto-emarginato”, infelice candidato alla morte sociale. Una pace che “necessariamente” voglio ora cercare in ogni persona che incontro e che vorrei ritrovare anche nella vita sociale. A volte questo proposito mi scoraggia, tanto da sembrarmi un’utopia: ma ritorno alla mia pace, all’amore che da essa è sprigionato e ritrovo fiducia e speranza, un “sogno” in cui credere.

Però, riflettere di giustizia e di pace, a prima vista, per me non sembra facile, mi spaventa. “Giustizia”, un parolone, un concetto con cui mi sono troppo spesso scontrato, e poco misurato, subendo giustizia e ingiustizia, nella confusione e convenienza dei termini con malcelata insofferenza. Ho sempre dato la colpa agli altri, al sistema, alla società e non ne ho ricavato altro che non sia stato dolore o rabbia, nel senso di impotenza che aliena ogni realtà delle cose.

Ora, avendo in qualche modo imparato a guardare dentro me stesso, cercando le risposte e le energie necessarie ad affrontare la vita, comincio a capire un po’ più profondamente il senso di concetti e di idee che prendono man mano forma nel tempo delle esperienze. Capisco, mi dico, che la giustizia nasce da dentro, in ciascuno di noi, tanto da sembrare scontato, e forse banale (ma mai banale sarà un sentimento: se profondo, se sincero, se vero...); il “patto”che ci lega nell’umana convivenza, “la legge”, nasce sicuramente dopo: non c’è codice morale o civile che sia, che possa trascendere il “sentire” dell’uomo. Io di questo sono ora convinto.

Al di là di leggi sbagliate o ingiuste, al di là dell’ingiustizia sociale che spesso discrimina tra uomo e uomo, al di là e, sopra di tutto questo, c’è quel senso di “giusto”, di “vero” che appartiene alla nostra dignità più inviolabile.

Nella pace della nostra coscienza sta la libertà di ognuno di noi: libertà da trasmettere agli altri come fosse dono di solidarietà.

In questo vedo il senso e la forza dirompente, rivoluzionaria della giustizia, che non può non essere legata all’amore per l’essere umano.

E, come si è riflettuto lo scorso anno, non dimentico il perdono: senza perdono non c’è pace, non c’è giustizia, ma solamente vendetta, espressione di odio e rancore. La realtà delle cose, si sa, è molto dura e ben diversa dal paesaggio che dipingiamo nella nostra mente, e si deve lavorare molto, in ogni direzione. L’obiettivo principale deve essere il cuore dell’uomo, dove sono custodite, più o meno nascoste, tutte le risorse, tutte le risposte per fare della propria vita la tomba di ogni egoismo: nel segno della pace, dell’amore e della giustizia. Con coerenza, in ogni momento che la vita ci pone davanti, in ogni scelta, capaci di rischiare con il coraggio di queste nostre “verità”. (Quirino P.)

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Storie

 

La mia esperienza

Sono una ragazza di 30 anni e sto in carcere da quasi un anno, dimenticata dai veri amici e parenti, quasi fossi soltanto un pacco postale o un’etichetta: le mie esperienze carcerarie sono confluite altre volte in questo passaggio di vita per me, ora purtroppo non breve con una condanna di quasi 6 anni.

Per quello che riguarda la mia esperienza con l’amore, posso dirvi che si soffre di più per questo che per una condanna.

Il mio lui si trova in carcere ed è tutto quello che ho di diverso dai giorni sempre uguali in questa galera; ora non saprei, ma se non ci fosse stato lui sicuramente la mia vita non sarebbe così fiduciosa e non avrei nemmeno voluto cambiare quella che ero e ciò che sono e sarò.

E’ lui che nelle giornate più ansiose placa la mia ira.

E’ lui, quando non dormo la notte, a venirmi accanto in sogno e calmare la mia insonnia.

E’ lui che porto nell’anima e nel cuore, lui è tutto ciò che ho e che voglio per tutta l’eternità in questa vita. Storie da raccontare ce ne sarebbero molte, ma non mi sembra giusto dirle a tutti voi, forse neanche vi interessano, per lo più tante esperienze negative. Sono già stata giudicata e mi hanno messo in mezzo a una storia come se fossi io la mente strategica, cioè: capo di una banda!

Non sono cattiva, non ho mai fatto male a nessuno e non penso che non diventerò mai così; non fa parte del mio essere, anche se a volte ci vorrebbe.

Gli unici sostegni che mi sono trovata qui in carcere e nella mia vita, che non dimenticherò mai, per tutto il bene che hanno fatto, sono, per primo, don Damiano; e nei momenti peggiori della mia carcerazione ho trovato sostegno morale e psicologico in un agente, di cui non scrivo il nome, e dal comandante del carcere e da una mia compagna di cella con cui ho diviso i dolori e tutto il resto e che ancora adesso è al mio fianco.

Ho avuto anche l’esperienza più triste: il distacco da mio figlio, e chissà fra quanto potrò riabbracciarlo, sentire la sua pelle e il suo respiro; a volte mi verrebbe da gridare: “Sono una mamma”. La libertà la vorrei presto anche per il mio bambino (Rossana I.)

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Senza titolo

Sono qui per reati relativi alla mia lunga tossicodipendenza e, come me, ci sono altre persone nelle mie stesse condizioni, forse con qualche reato in meno di quelli che ho commesso io.

Ora mi rivolgo a quelle persone.

In questo carcere ho conosciuto una ragazza arrestata i primi di Agosto per spaccio.

Le furono trovati addosso 1 o 2 grammi di eroina, che dichiarò per uso personale; premetto che fu solamente fermata per un controllo e che non venne sorpresa a vendere.

Bene!... Questa ragazza è ancora qui tra noi. Mi chiedo: “perché far passare tutti questi mesi per dare una condanna o per dire a questa ragazza: scusa abbiamo indagato, ci siamo sbagliati, arrivederci e grazie”.

Sarebbe giusto che per questi piccoli reati, soprattutto su persone incensurate, ci fossero dei tempi minori per avere un giudizio, positivo o negativo che sia.

Una delle carenze più gravi della nostra legge è l’assoluta ignoranza delle condizioni di vita dei detenuti e dei luoghi stessi.

Ho sempre creduto che far visita alle carceri e magari con la permanenza in un penitenziario almeno per qualche giorno, dovrebbe entrare a fare parte del tirocinio di ogni studente in giurisprudenza, prima del conferimento delle funzioni giudiziarie.

Succede che si può non solo vincere un concorso in magistratura, ma anche esercitare per anni la professione di giudice e infliggere quotidianamente condanne senza mai aver messo piede in una prigione e ignorando totalmente l’effettiva qualità delle pene che si infliggono.

Ora se noi ci troviamo qui, il più delle volte il motivo c’è. Ma per i tossicodipendenti, che forse potrebbero avere la possibilità di “curarsi” nelle comunità, perchè prolungare questo malessere e non venire subito inseriti in percorsi di trattamento con colloqui veri di preparazione ad una eventuale entrata in comunità?

Credo che, oltre a conoscere l’individuo personalmente e soprattutto psicologicamente, si eviterebbero le tante fughe dagli istituti terapeutici.

Invece succede che i detenuti vengono conosciuti solo tramite lettera e aiutati solo su come seguire l’iter burocratico per un ingresso in una comunità, e il più delle volte non sanno nemmeno in quale posto verranno collocati.

C’è tanto bisogno di parlare e di comunicare cosa c’è dentro di noi e purtroppo questo in un carcere non esiste; perché è così difficile parlare?

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Una opportunità

Sono un detenuto e provengo da Bologna.

Questa non è la mia prima carcerazione, però posso dire che se tutto va bene, cioè: “non mi verrà giù altro”, sarà la carcerazione più corta, visto che si tratta solo di quattro mesi.

Adesso però, per fortuna usufruisco di un permesso del giudice, cioè posso uscire dal carcere dalle 14 alle 19 per seguire un corso di operatore elettronico.

Per me è una benedizione perché posso stare fuori cinque ore e imparare un mestiere.

Adesso sono solo all’inizio, quindi faccio della teoria, poi passeremo alla pratica.

Il corso è molto interessante, faccio cose che non avevo mai visto, imparo, cioè cerco di imparare; vedremo se sarò all’altezza degli altri che lo frequentano.

Il tutto mi sarà utile per quando dovrò uscire da qui, per non trovarmi in mezzo alla strada. (G.L. Pedrazzi)

 

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Routine

Ore sette e trenta: latte, caffè.

Uffa, comincia un nuovo giorno.

Ti alzi, non ti alzi... boh!

Ricominciamo, ma cosa?

Ore otto: la conta, sbattono le sbarre. “Brigadiere, mi segni dal sanitario”.

Ma per quanto tempo, per quanti anni ancora i giorni avranno questo stesso inizio?

Ore nove, la prima aria.

Ma sì, ci andrò alla seconda, alle dieci. Ci sono le pulizie della cella da fare.

Chissà, oggi riceverò posta; osservo l’agente che la distribuisce. Niente per me, che depressione!

Vado a farmi la doccia e vado all’aria.

Così passa metà della giornata.

A mezzogiorno il carrello, il pranzo; da quello che ti portano non sai dire che giorno è: menù uguali, settimana dopo settimana.

L’una meno un quarto, aria. Si o no, fuori piove e fa freddo. Cosa faccio in cella?

Ore sedici, conta, sbattono le sbarre, poi sala giochi, andare o non andare. Beh, una partita a calcetto, una a ping pong. Di nuovo in cella.

Arriva l’ora della cena.

Cosa fanno in televisione, sempre il solito.

Scrivo una, due lettere.

Ti coinvolge il pensiero della famiglia: “Cosa staranno facendo? Stanno bene? Chi lo sa!” Boh.

Ottimismo: sì, speriamo bene.

I figli, la mamma, il papà, la “donna”, la libertà! Qual è il prezzo?

Si sono fatte le ventitrè e quarantacinque, tra poco passa l’ultima conta. Odio quel letto, sempre pronto ad accoglierti!

Gli occhi nel vuoto; quanti pensieri nella mente: giustizia, rieducazione, reinserimento. Questo è tutto, o quasi. Domani solita giornata, solite cose. (Mario C.)

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Riflessioni

Mi chiamo Luciano e vengo dalla provincia di Rovigo. Attualmente sono rinchiuso proprio nel carcere del capoluogo, per reati di furto, per procurarmi la dose giornaliera.

Sono stanco di questa vita vissuta senza nessuno schema, senza nessuna educazione, violando qualsiasi cosa o le persone che mi vogliono bene.

La verità è che non ho più voglia di lottare, perché alla mia vita non do più nessuna speranza. Per questo, credo che gli sforzi che farò saranno tutti inutili, perché “quella droga” ha preso il sopravvento su di me.

Sono tutte piccole scusanti che non fanno di me un uomo, e il male è che non lo faranno mai!

Potrebbe solo salvarmi il Signore illuminandomi, ma non penso che sprechi energie per me. Il destino per noi uomini in qualche maniera è segnato (o lo facciamo noi?); però, cominciando da me, c’è troppo egoismo e presunzione, in questo mondo fatto spesso di menzogne e di apparenze; questo benessere quanta gente sta rovinando e quanta ne rovinerà?

Purtroppo questo è quello che ci offre il mondo.

Spero tanto che i giovani cerchino di dare una svolta a tutto questo, prima che sia troppo tardi.

Valori zero.

Figli che uccidono i genitori, uomini politici che rubano il denaro pubblico, ecc. Purtroppo, come dice il cantautore Luca Carboni, “ci vogliono dei fisici bestiali per stare al passo della vita”, ma, secondo me, ci vogliono uomini veri ed onesti, e per fortuna ce ne sono ancora tanti.

Sono stati anche i mass media, in buona parte, a rovinare persone deboli di valori come me, con la loro informazione fatta tante volte di bugie, di apparenza e di business.

Poi, per non parlare di tutti i ragazzi che si sono uccisi per solitudine con il tubo nella propria macchina, imitati da altri, grazie anche al clamore suscitato in TV.

Quello che va di moda è la violenza o il principe azzurro; bei principi ci vengono dati, e soprattutto nessun valore.

Con tutto ciò voglio dire che la responsabilità è anche mia, per non essere riuscito a distinguere in tempo le cose positive da quelle negative.

Per me ho dei progetti, ma non voglio essere cinico e tanto meno bugiardo se ho in mente di poter andare in comunità insieme a tanti compagni di sventura, per far sì che la vita riacquisti un valore anche per me.

In conclusione: sono un ragazzo di fede e ringrazio il Signore che mi dà ancora delle opportunità. Grazie Dio, Tu sei in grado di vedere molto avanti. (Luciano S.)

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BREVEMENTE dalla redazione

 

Non dimenticateci

Negli ultimi anni la situazione del carcere in Italia è divenuta particolarmente pesante: non solo l’enorme espansione del numero dei detenuti, ma anche problemi di natura diversa, alcuni dei quali sorti per far fronte a sempre nuove emergenze, si sono progressivamente aggravati perché non affrontati in modo adeguato ai profondi mutamenti del tessuto sociale. A tali mutamenti si è sempre risposto con continuo ricorso allo strumento penale, determinando così una radicale trasformazione della popolazione carceraria; presenza di detenuti immigrati, tossicodipendenti, sieropositivi e anche di soggetti in aids conclamato. La riforma penitenziaria del 1975 e la legge Gozzini del 1986 sono inoltre uscite stravolte dai provvedimenti dei primi anni ’90, adottati per contrastare la criminalità organizzata. Tali provvedimenti hanno finito con incidere negativamente sulle condizioni di vita di tutta la popolazione detenuta e sullo stesso impianto teorico all’origine del “trattamento” penitenziario. I conflitti, non assorbiti e acuiti dalla limitatezza delle strutture, malgrado il generoso impegno degli operatori e di un’ampia rete associativa, non sono divenuti in ambito istituzionale oggetti di un’adeguata analisi del settore, per costruire specifiche ipotesi di intervento legislativo. Per questo, tutti coloro che, in modo associato o individuale, si occupano per scelta di lavoro o volontaria, di intervenire in questo specifico ambito, avvertono fortemente l’esigenza che nell’attuale Parlamento affluiscano competenze necessarie per dare un contributo al funzionamento del sistema penitenziario, recuperando altresì una nuova capacità di affrontare il problema della pena e della sua esecuzione attraverso un’impostazione organica e non episodica. L’espansione della popolazione detenuta e la presenza di soggetti, provenienti da vari settori di emarginazione sociale, provoca, del resto, disfunzioni che non possono non ripercuotersi nella società esterna e che non significativamente affrontate finiscono con il coinvolgere emotivamente l’opinione pubblica, determinando riflessi di insicurezza.

E’ per questo che nell’attuale Parlamento sarebbe bene fosse visibile e presente il problema della finalità costituzionale della pena, sia negli aspetti di diverse scelte politiche, volte a sanare il disagio sociale da cui essa si origina, sia in quelli della tutela dei diritti dei cittadini detenuti e della garanzia di un loro effettivo reinserimento. (Giuseppe T.)

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Orientarsi nei benefici

Vi proponiamo due motivazioni, una positiva ed una negativa, dell’Ufficio di sorveglianza di Venezia; risposte, abbastanza recenti, in merito ad istanze atte ad ottenere il beneficio della liberazione anticipata.

Pensiamo che in questo modo ci si possa meglio orientare un pò più “dal vivo”, nel comprendere le valutazioni su cui si basano i giudici di sorveglianza per la concessione o meno dei benefici che si richiedono, e quindi trarne le proprie considerazioni. Sempre tenendo presente che ognuno di noi rappresenta un “caso” a sè in fatto diritto che:

 

  1. Il contenuto sostanziale del beneficio della liberazione anticipata è costituito dai due elementi fondamentali della partecipazione all’opera di rieducazione (e quindi del riconoscimento di tale partecipazione attraverso gli strumenti dell’osservazione condotta in Istituto) e della regolarità della condotta inframuraria, unificati in una valutazione globale volta al più efficace reinserimento del detenuto nella società libera al momento della scarcerazione. Si tratta quindi di una misura i cui aspetti predominanti sono costituiti dalla premialità e dalla finalità incentivante, per stimolare il detenuto a fruire delle opportunità offerte dal trattamento penitenziario, senza che ciò, però, avvenga per mero calcolo di convenienza e quindi con intenti speculatori da parte del soggetto che si trova a beneficiare di tali strumenti.
    Nel corso del periodo di valutazione, il detenuto in oggetto ha mostrato, unitamente ad una condotta sempre formalmente corretta e priva di elementi di contrasto con il personale di polizia penitenziaria e con gli operatori, un sufficiente impegno ed una buona volontà nella partecipazione al l’opera di rieducazione, utilizzando in maniera proficua le risorse e le opportunità messegli a disposizione dall’amministrazione penitenziaria.
    Appare pertanto meritevole della concessione del beneficio.
  2. Il beneficio della riduzione di pena conseguente alla valutazione del periodo trascorso in detenzione, postula che il giudizio sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, dovendosi esprimere compiutamente sulla base dei risultati acquisiti nell’area di tempo in cui si è sviluppato il trattamento rieducativo, anche se tale periodo è limitato ad uno solo semestre di carcerazione, per effetto della prassi ormai consolidatasi a seguito della giurisprudenza della Corte suprema sulla “semestralizzazione”, non si limiti, da una parte, né alla verifica “in negativo” della mancanza di rapporti disciplinari a carico del detenuto, che farebbe o dovrebbe far presumere una condotta regolare, né, d’altro canto, ad una mera disamina del comportamento “esteriore” del soggetto; ne consegue che, oltre a doversi ritenere necessaria la buona condotta carceraria, che costituisce la norma di comportamento del detenuto, è altresì necessaria la verifica dell’effettiva partecipazione attiva di quest’ultimo alla pronta e costante adesione alle regole che disciplinano la vita carceraria, nonché un assiduo impegno nelle attività di lavoro, di studio, di solidarietà sociale e di buoni rapporti con gli altri detenuti e con il personale di custodia, sintomatici dell’evoluzione della sua personalità verso modelli validi. Ove poi tali elementi non siano riscontrabili per oggettive carenze dell’Istituzione Penitenziaria o per fatti contingenti (dovuti ad esempio alla brevità del periodo in valutazione o al frequente “passaggio” del detenuto da un carcere all’altro), subentrano altri elementi essenziali di valutazione, che vanno identificati, ad esempio, nella verifica da parte degli operatori attraverso i colloqui con il detenuto, di un serio impulso dello stesso alla volontà di ravvedersi e di rivedere criticamente i propri comportamenti pregressi e le motivazioni che lo avevano condotto alle scelte criminali, nonché, quanto meno nelle intenzioni e senza strumentalizzazione, del progressivo abbandono dei disvalori sui quali tali scelte si fondavano.
    Allorché non si riscontri anche uno solo di questi elementi di valutazione, come nel caso di specie, ove, a fronte di una condotta peraltro non sempre regolare (cfr. rapporti disciplinari), si è registrata una scarsa partecipazione all’opera di rieducazione, rimasta per così dire sempre “in superficie”, senza coinvolgimento diretto ed effettivo nell’opera di rieducazione e nel confronto utile con gli operatori, di tal ché il detenuto non ha dato sufficiente dimostrazione di una convincente dimostrazione del comportamento nei termini suddetti, l’istanza non può che essere rigettata, in quanto non si sono integralmente verificati i presupposti richiesti dalla norma.

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Libertà

Libertà - è la parola magica, invocata e desiderata da tutti, ma difficilmente realizzabile quando la si desidera a proprio uso e consumo.

La libertà è come una pianta esposta alle intemperie della natura, il vento la fa oscillare ora a destra, ora a manca.

Se non ci sono intemperie, la pianta convergerà al centro e reggerà.

Ma se il vento è fortissimo, farà convergere la pianta da un solo lato e, se le radici non saranno profonde, verrà sradicata.

Quanti vorrebbero delle radici profonde per resistere alle intemperie! Le radici della libertà per non essere limitati ed impediti ad un reale sviluppo.

“L’ iniziativa” è dove una persona può operare ed esprimersi a seconda delle proprie capacità e attitudini, è la via migliore per crearsi il reale inserimento nel contesto della nostra società.

Purtroppo, una libertà perfetta non esiste; non lo sarà mai, noi uomini non saremo mai perfetti, questo ci è imposto per l’evoluzione della cultura della società nei suoi repentini cambiamenti, dal progresso della cultura. L’unica via è la speranza di quella pianta che dondola secondo la direzione del vento, con le radici ben profonde.

Il cammino della libertà è sempre difficile e imperfetto, specie se ci allontaniamo dal contesto fondamentale di ogni diritto e della speranza. Attualmente questa speranza è fondata nel seguire e resistere alle intemperie del vento, resistere con le radici ben radicate e capaci di non far cadere il fusto della pianta.

Dobbiamo cercare di annullare l’oscillazione della pianta per non incorrere in guai, sforzandoci di non farla dondolare, si avrà più possibilità di restare fermi, la fermezza che ci siamo premessi per raggiungere la meta: la libertà. (Mario C.)

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

 

“Poeta è chi si ubriaca con una goccia di rugiada.”

JOHN KEATS

Fusione d’amore

Concentra

gli occhi

sulla bellezza di un fiore...

non senti

che il cuore

si apre?!

Concentra

la mente

sugli spazi infiniti...

il cuore

sembra fermarsi

di fronte all’ignoto...

Concentrati

sull’Uomo che vive!...

respira il profumo del fiore,

la grandezza dell’universo...

non senti

che ogni cuore

si fonde

nel ritmo dell’amore?!

Quirino P.

Mamma

Tu sola mi puoi comprendere, mamma,

tu che mi hai amato, sconfinando e seguendo

il tuo amore.

Adesso sono stata processata, condannata

ed emarginata.

Solo tu puoi confortarmi,

nella mia grande sventura

e nel mio grande dolore.

Mery P.

Paura

Paura di addormentarmi la notte

per continuare ad avere incubi.

Paura di svegliarmi al mattino

per incominciare una giornata senza fine.

Paura di vivere in questo mondo

che ti fa sentire come una mela bacata.

Paura di esser dimenticato

da chi più ami.

Paura di esistere

dove sei soltanto un robot.

Paura di farla finita

ma vorrei tanto che tutto finisse.

Mario M.

Il ricordo

Sorrisi innocenti e spensierati

lacrime versate con tanti perché

segreti chiusi a chiave nel tuo cuore

litigi serviti a far pace

problemi che ci hanno diviso e unito.

Sguardi pieni di amore

occhi che si incrociano

per dirsi qualcosa di misterioso

parole sbocciate direttamente dal cuore

altre mai dette per orgoglio.

E di tutto questo

cos’è rimasto?

Solamente il ricordo…

Andrea A.

Canto della bontà, dramma del tradimento.
Dolore umano

Scultore del legno, levami gli occhi

perché io non veda al processo

quell’uomo infame.

Fai dare le mie pupille a un cieco

perché possa vedere il mondo.

 

Taglialegna, tagliami le braccia

perché io non possa più abbracciare

gente vigliacca e ambigua

mascherata da un vestito d’ipocrisia.

 

Valanga, tagliami le gambe

per non correre felice mai più

verso i traditori

che credevo amici.

 

Buon chirurgo, cuci la mia bocca

che non mi fanno usare più per la verità

in questa ingiustizia

che crede solo ai bugiardi.

 

Lasciatemi solo l’udito

per sentire gli amici veri

parlare al mio tronco umano

come ad un albero mozzato dal dolore.

 

“Perchè, perché questo scempio, Elena?”

Risponderà il mio cuore grande:

“Meglio cieca e muta

qui, dove la giustizia è morta”.

 

Qui, dove non avrò più strade, né piazze

su cui camminare come prima

con il mio onore

e con la testa alta.

 

Sopravviverà solo il mio cuore

che resterà sempre gentile

e bisognoso di tanta tenerezza

perché la vera bontà non muore mai.

 

Ed anche restando un tronco umano

salirò su una torre alta

e senza occhi vedrò il sole e persino Dio.

Senza braccia toccherò gli Angeli

buoni come i veri amici in terra!

Elena J.

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Lettera a…

 

Care ragazze, cari ragazzi,

la prima pagina di questo giornalino ha sempre avuto il suono del proclama, dell’appello, a volte della “predica”: me ne rendo conto e non mi dispiace, perché tutto questo era voluto. Questa invece è sicuramente la mia “ultima pagina”, perché ai primi di marzo finisce la mia condanna.

Vorrei tanto fare un bilancio, ricordare cosa ho trovato e cosa lascio. Le mie, le nostre difficoltà, come le conquiste grandi e piccole, le sconfitte, le delusioni, i sogni, la forte passione... Un giorno, su quello che considero l’antenato del nostro “Prospettiva esse”, il diario del “Gruppo del giovedì”, scrissi: “...a guardare indietro vediamo tanta strada fatta, vediamo superate difficoltà che potevano sembrare insormontabili; a guardare avanti ci vuole sempre tanto coraggio: l’orizzonte si sposta sempre, man mano che ci si avvicina, ma ci attira troppo per non tentare di raggiungerlo!...”. Ci tengo molto a riproporre questo pensiero, perché mi ha molto sorretto e lo ritengo sempre attuale.

Lascio il carcere non senza una punta di rimpianto: troppe emozioni, troppe esperienze sono entrate a far parte del mio cuore. Il mio impegno continuerà fuori da queste mura nel tentativo di concretizzare le tante ipotesi espresse per “risolvere” la carenza sul nostro territorio di strutture che permettano un po’ a tutti la possibilità di un reale reinserimento in una vita onesta e produttiva.

Il mio desiderio più grande è che questo giornalino possa continuare con successo la sua opera, “strillando” quanto più necessario la sua voce in ogni orecchio che dovrebbe ascoltarci con attenzione.

Cerchiamo di migliorare il carcere, di dare un significato diverso alla pena così come tuttora è intesa, affinché possa avere il senso vero di recupero e di reinserimento nella società.

Cerchiamo contemporaneamente di migliorare noi stessi, il che è fondamentale e nessuno ce lo può togliere, per divenire una forza produttiva, non più passivi ed emarginati. In questo modo non sprecheremo il nostro tempo, che è la nostra vita, nella disperazione di una carcerazione senza senso.

I sogni, gli ideali, i progetti sostengano quanto più i nostri sforzi nella “prospettiva della società della speranza”. Vi voglio bene. (Quirino P.)

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