«Prospettiva Esse – 1997 n. 4»

Indice

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

Dalle parole ai fatti:

Storie:

BREVEMENTE dalla redazione

Voli di dentro (poesie e quant’altro)

Lettera a…

 

[Indice]

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

Giusto o sbagliato che sia, al momento ci troviamo in carcere, non certo la migliore delle situazioni, né delle soluzioni; ma questo non ci deve impedire di vivere, di cambiare, di crescere, di fare dei progetti per il nostro futuro. Nel rispetto della nostra e altrui dignità. Il carcere è una “istituzione totale”, governata da leggi e regolamenti ben precisi, dove la burocrazia molto spesso predomina.

Come in ogni struttura, come in ogni situazione, si ha a che fare con persone con pregi e difetti, con il loro attaccamento al dovere come con la loro umanità.

Ci può dare soddisfazione, per un po’ di tempo, quel senso di giustizia per cui “pretendiamo” quello che ci è dovuto e recriminiamo per tutto quello che ci viene negato.

Per cercare un che di “diverso”, che ci dia il modo di esprimere la nostra creatività e sviluppare l’energia necessaria, quello che si può ben chiamare “maturare”, è necessario “assolutamente” non aspettarsi che le cose ci vengano date come se cadessero dall’alto. Sta a noi attivarci e renderle possibili.

Se da una parte per questo abbiamo spesso bisogno di stimoli esterni, dall’altra abbiamo delle facoltà che possiamo “tranquillamente” esercitare e ritenere libere: il pensiero e l’immaginazione. Libere, se cerchiamo di liberarci dai mille pregiudizi che ci condizionano e che ci allontanano dalla realtà delle cose, impedendo un vero rapporto di relazione con le persone con cui abbiamo a che fare. Non a caso troppo spesso ci troviamo a semplificare o a generalizzare in maniera eccessiva o troppo rigida.

Perché mai sto dicendo questo? Perché, nei moltissimi modi che ben conosciamo, siamo proprio noi stessi ad essere vittime di pregiudizi, spesso sbagliati, che limitano la nostra possibilità di ricominciare. E questo non ci piace! Cerchiamo quindi un dialogo per farci conoscere, per dimostrare che non si deve avere paura di noi e che siamo come ogni essere umano, non meno buoni, non più “cattivi”... Senza pretese, ma con grande senso di tolleranza.

A noi il coraggio del primo passo. Con pazienza e con costanza.

Ora, più che in passato, nella Casa circondariale di Rovigo c’è del “movimento”: il corso per la terza media, gli incontri di gruppo settimanali e i vari incontri con rappresentanti del mondo esterno. Cerchiamo di non perdere queste occasioni, ma di tramutarle in un percorso di conoscenza, di chiarimento e di maturazione.

[Indice]

Dalle parole ai fatti

 

Lavori in corso

Siamo arrivati alla quarta riunione del corso orientamento al lavoro. La prima riunione è servita a conoscerci, discutendo su quali erano le nostre idee sul corso che stiamo frequentando; ognuno di noi ha dato la propria interpretazione, cercando di inquadrare nei modi più diversi quale fosse il vero senso del corso.

Molti di noi non avevano capito realmente a cosa mirasse. La dottoressa Ritamaria Zobel, psicologa, con molta semplicità è riuscita a spiegarci realmente l’utilità del corso e a cosa mirasse. Nella seconda e terza riunione ad ognuno di noi è stato chiesto quale fosse il lavoro che abitualmente faceva quando era in libertà e quale fosse il lavoro che si preferiva fare una volta usciti dal carcere, dandoci il modo di spiegarci tra tutto il gruppo.

Ovvio che ognuno di noi abbia avuto una preferenza riguardo un certo tipo di lavoro e di come intendesse svolgerlo. Nella quarta riunione si può dire di essere realmente entrati in quello che concerne il corso, vale a dire che non solo ci serva per un domani, quando dovremo lasciare il carcere, ma, cosa molto più importante, mentre si è reclusi. Ci ha spiegato come iscriverci all’Ufficio Circoscrizionale del lavoro, in modo da poter avere un libretto di lavoro. Una volta iscritti, si viene ad acquisire un punteggio che dà anche la possibilità che lo stesso ufficio possa fare delle precise richieste su persone che sappiano fare un determinato lavoro.

Logicamente non a breve scadenza, ma almeno serve ad essere in regola per ogni eventualità, anticipando i tempi. (M. Massarenti)

[Indice]

Prendete in mano la vostra vita!

“Non serve a nulla lamentarsi per le cose che non vanno bene e maledire le mille disgrazie della nostra vita. Senza aspettarci che ogni cosa ci venga data, come se cadesse dal cielo, cominciamo a fare quello che noi stessi possiamo”.

Don Sergio Pighi, Presidente della Comunità dei Giovani di Verona, ha saputo introdurre l’incontro con tutti noi in modo molto semplice ed efficace. Il dialogo, inteso come momento di scambio di esperienze e di emozioni nel rispetto delle persone e delle idee. “Ricercate la felicità...”, che il “don” identifica nell’amore: “Tu sei importante per me, io sono importante per te…”, nel dare e ricevere che arricchisce la nostra persona. Un messaggio forte ed essenziale.

Ci ha parlato, rispondendo alle nostre molte domande, della sua comunità, a grandi linee del metodo che adotta e del lavoro che vi si svolge, facendo la differenza dei molti modi di operare delle tantissime realtà esistenti. L’importante, fondamentale, è che ci sia la collaborazione da parte di chi intende intraprendere un percorso di comunità, senza la quale a nulla può l’aiuto che viene offerto.

Su di un punto io non mi sono assolutamente trovato d’accordo: quando ci ha detto che per lui un “ex tossico” non è adatto ad aiutare altri ragazzi a venire fuori dalla droga. Il contatto quotidiano con “il problema” può essere un richiamo troppo insistente, con il pericolo di ricaduta; oltre a ritenere un “ex” troppo duro con chi ancora non si è deciso a dare una svolta alla propria vita. Io penso che nessuno meglio di un “ex tossicodipendente” possa aiutare un suo simile! Sempre se in possesso degli strumenti adatti e, beninteso, inserito in un contesto più ampio a contano con alcune professionalità del settore. Comunque, durante l’incontro non mi sono certo sentito di contestare, proprio per il rispetto che merita chiunque dedichi con amore e passione ogni suo sforzo nell’aiuto di tante persone in difficoltà.

Ho notato molto interesse e partecipazione da parte nostra, anche se alcuni interventi mi sono sembrati lontani dalla profonda comprensione dei concetti espressi. Vorrei inoltre far notare che i detenuti tossicodipendenti della sezione maschile sono al terzo anno di lavoro del “gruppo del giovedì”: una volta alla settimana ci si incontra e si discute dei nostri problemi. Sarebbe molto importante che questo potesse avvenire anche nella sezione femminile, proprio perché ho visto un forte interesse da parte delle ragazze, il che denota l’esistenza di bisogni e dimostra quanto importanti siano il dialogo ed il confronto, oltre alle benefiche prese di posizione che ogni persona può prendere, man mano che si rende conto dei propri problemi e di come tentare di risolverli.

A don Pighi va il nostro affetto più sincero per essere stato con noi e per tutto quello che riesce a fare con il suo impegno di ogni giorno. (Q. Pavarin)

[Indice]

Incontro

Il vicedirettore dell’Ufficio Provinciale del lavoro, Leonardo Beccati, è venuto a trovarci per parlare dei compiti che in generale l’ufficio di collocamento svolge per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Ha fatto un po’ di storia: rispetto al passato, ora le richieste sono “nominali” in quanto un datore di lavoro può scegliere chi più gli aggrada dalle liste di collocamento, a parte una percentuale di persone che deve appartenere alle categorie deboli, come per esempio gli invalidi. Quindi, di fondamentale importanza è l’iscrizione, anche per noi detenuti. Infatti, noi tutti ci possiamo iscrivere alle liste di collocamento tramite una dichiarazione del Direttore del carcere, che su nostra richiesta certifica il nostro stato di detenzione. Questo tempo avrà valore come periodo di disoccupazione, e, dopo 24 mesi, un eventuale datore di lavoro avrà delle ottime agevolazioni nell’assumere queste persone in lunga lista di attesa (50% in meno di contributi per un periodo di tre anni).

Dall’esposizione dell’ospite sono seguite molte domande e precisazioni. Di particolare interesse è stato l’argomento “Cooperative sociali” che, proprio per le loro finalità costitutive, possono risultare una delle migliori soluzioni per essere inseriti nel mondo del lavoro come “categoria debole”, alla quale noi detenuti apparteniamo. Penso che, data la situazione di crisi lavorativa del nostro territorio e le scarse possibilità che qualcuno si accorga di noi e ci venga in aiuto, sarà molto importante riuscire a costruire una cooperativa, che nasca da noi stessi e dai nostri bisogni, che ponga attenzione ai problemi di reinserimento dei detenuto, sia come forma alternativa al carcere che come seria opportunità di intraprendere un percorso diverso dal passato; dove il lavoro diventi valore fondamentale per la propria vita. Ancor più, se come tale, saprà darci le soddisfazioni e gli incentivi alla creatività che possono tramutare il lavoro da “pesante fardello” a manifestazione di crescita e di gioia.

Abbiamo chiesto un nuovo incontro proprio per approfondire questo argomento ed il nostro ospite si è dimostrato disponibile, altrettanto quanto ci sembra “se la sia cavata molto bene” nel positivo dialogo con noi. Potremo così anche parlare di formazione, un tema che non abbiamo toccato ma che penso sia di fondamentale importanza, visto che molti di noi non possiedono alcuna specifica professionalità. (Q. Pavarin)

[Indice]

Sciopero

I detenuti del carcere di Rebibbia hanno iniziato una protesta civile, seguita poi da altri Istituti: il rifiuto del vitto dell’Amministrazione, un modo civile per rompere il silenzio e far sentire la nostra voce. Partecipiamo, se pur moralmente, anche noi. La protesta in atto è dovuta alla “sordità” che gli organi istituzionali mantengono nei confronti delle problematiche dei detenuti negli istituti penitenziari per condizioni in cui sono costretti a vivere. Basta pensare al sovraffollamento, con circa 10 mila unità in più del previsto; tanto da paragonare il detenuto ad un animale che vive in “cattività”.

Questa situazione non aiuta certo al reinserimento, ma alimenta la violenza e la repressione. La sordità delle istituzioni nell’approvare leggi per favorire il reinserimento del detenuto e lo sfollamento delle carceri: “proposta delle modifiche all’ordinamento penitenziario e al regime d’esecuzione delle pene”. Proposta, questa, presentata dalla senatrice Salvato sin dal 9 maggio ‘96, che giace ancora come “proposta” e i nostri parlamentari la ignorano volontariamente. Questa proposta consiste in: depenalizzazione dei reati minori, espiazione delle pene non superiori ai 3/4 anni in detenzione domiciliare, liberazione anticipata da 45 giorni per ogni semestre a 60 giorni. Provvedimenti che aiuterebbero il detenuto anche ad un maggiore impegno di reinserimento. Dunque, si parla tanto per tanto tempo, si illude la popolazione detenuta, ma nulla di concreto fanno i nostri Parlamentari. Questi nostri Parlamentari che dovrebbero recarsi negli istituti penitenziari per “toccare” i disagi dei detenuti e poi esporli nelle sedi appropriate per gli interventi da attuare.

La legge Gozzini fu cavallo di battaglia dell’allora Direttore Generale degli Istituti Penitenziari, Nicolò Amato; nobile legge, ma sono trascorsi molti anni e, come ogni cosa, il tempo logora; anche questa legge è logorata e dovrà essere riveduta, riportata ai nostri tempi, come dalla proposta di modifica che da tempo giace nel cassetto in Parlamento.

E’ giusto allora che il silenzio dei detenuti sia stato rotto, che si voglia far sentire le nostre ragioni. Con l’approvazione di queste modifiche e una maggiore presa di coscienza delle nostre problematiche da parte di chi opera per professione e non, si otterrebbe un’accentuazione per un legame carcere-società-reinserimento. Non si pretende di annullare il carcere, ma di trovare un’ alternativa alla pena e renderla rieducativa; prospettiva doverosa e necessaria, affinché la pena non diventi vendetta e silenzio dentro le mura. (M. Cuci)

[Indice]

Ferragosto in carcere

Abbiamo trascorso una giornata un po’ diversa dal solito in occasione del ferragosto.

Ci siamo organizzate per fare una tombola fra di noi in sala giochi. Ognuna ha messo qualcosa, facendo partecipare anche chi non aveva messo nulla. C’è stato chi ha dato qualche cartolina, buste o cosmetici, oppure magliette. Tutti oggetti che non arricchivano nessuna, ma per noi tutte è stato importante trascorrere quel pomeriggio assieme con serenità.

A questo ha contribuito notevolmente il dolce, fatto per noi dall’assistente volontaria signora Anna Maria Serra, che con grande umanità cerca sempre di aiutarci in queste ed altre occasioni. Dovevate vedere con quale accanimento e grandi risate ognuna aspettava che uscissero i numeri delle proprie cartelle.

Al termine di questa tombolata ci siamo gustate con grande soddisfazione il famoso “tiramisù” della signora Serra. Poi ognuna è tornata nella propria cella con i piccoli oggetti vinti; c’è stato anche chi, come la sottoscritta, ha stravinto, rivincendo anche i premi da lei stessa messi in palio.

Crediamo che, come in tutto, l’importante non è vincere ma partecipare, e cogliere l’occasione per stare tutte assieme in armonia e serenità. (R. Zampieron)

[Indice]

Storie

 

La prima volta

Leggendo il titolo, si potrebbe pensare a molte cose, ma mi sto riferendo alla mia prima carcerazione. Sono un ragazzo di 25 anni, da due che sono detenuto con altri tre anni circa da espiare e, oltretutto, con altri processi da affrontare. La condanna per la quale sono stato condannato è per ingente traffico di stupefacenti del tipo cocaina.

Oltre al mandato di cattura, dopo due mesi me ne hanno notificato un altro, qui in carcere, sempre per lo stesso reato e, come è accaduto per il primo, “grazie” alle dichiarazioni e “confessioni” di pentiti.

Non voglio entrare nel merito del processo, ma parlare della mia vita all’interno del carcere. Prima di essere arrestato facevo una bellissima vita; infatti giravo con macchine lussuose e sportive e potevo permettermi molte cose: il tutto mi è stato sequestrato dalla DIA.

Potrei proprio dire che, per come ero abituato, sono passato dalle “stelle” alle “stalle”. Data la mia giovane età, forse inconsciamente, non ho mai provato certe sensazioni che, da come ho sentito raccontare da altri, la stragrande maggioranza ha provato, come: sentimenti, violenze, frustrazioni, impotenza…

Avendo un carattere molto forte, queste cose le ho superate con molta facilità.

Una cosa che ho potuto constatare è che c’è più umanità e comprensione all’interno degli istituti di pena che non nella cosiddetta società libera.

La prima sensazione forte, appena entrati nell’istituto, si ha nell’ufficio matricola con le fotografie (“si giri a destra”, “si giri a sinistra”), le impronte digitali, come per la perquisizione corporale.

Per ultimo, l’entrata in sezione che è divisa in tre piani: il piano terra per l’isolamento, il primo piano dove mi trovo io, il secondo dove da una settimana si trovano solo i detenuti definitivi, mentre nel primo siamo imputati e appellati come nel mio caso.

Io sono in cella con persone che potrebbero essere entrambe miei padri, con le quali mi trovo molto bene; purtroppo per loro, con diversi anni di galera alle spalle. Però sono stato molto contento di incontrare gente così, che mi ha insegnato come si vive all’interno dei carcere, come si cucina e tantissime altre cose. Tutto sommato pensavo di peggio. Invece di peggiorare, mi sono rimesso in forma.

Penso che la cosa più importante sia di non abbattersi mai, di lottare a denti stretti, perché prima o poi verrà il nostro momento e sarà il tempo della libertà: “nessuno di noi è nato qui”.

Questo tempo ci è molto utile per riflettere sugli errori del passato e per cercare di programmare un futuro diverso.

Penso anche che, se qualcuno di noi vuole pentirsi, lo debba fare di fronte a se stesso e a Dio, se è credente, pagando i propri errori senza coinvolgere altre persone. Il pentimento è un cambio di mentalità che nulla può verso il proprio passato, ma che ci permette un futuro diverso, in cui esiste sicuramente la possibilità del riscatto, nonostante i pregiudizi e le difficoltà che si incontrano nella società libera. (I. Giantin)

[Indice]

Che pacco la galera!

Ragazzi giovani, abbandonati tra quattro mura con le finestre sbarrate. Qui a pensare e ripensare cosa ci ha portati in questo presente!

Chi è stanco, chi è passivo in questa situazione, chi è allegro perché sa che, comportandosi “bene”, di lì a poco potrà usufruire di qualche beneficio di legge e così assaporerà il gusto della libertà. Anche se solo per poche ore di permesso.

Libertà (dal latino liber = libero), che parola piena di significato! Composizione alfabetica con varie interpretazioni, ma tutte portano alla stessa conclusione: “libero”!

Bravi quelli che dicono che ad ogni individuo può bastare la libertà creata dalla fantasia. Bravi un “picchio”! Sì, certo, la fantasia per un uomo è essenziale, specialmente per una persona che si trova in carcere. Ma non può bastare.

Prima o poi le pile, che l’alimentano, si scaricano, e così quanto può durare questa speranza legata a dei sogni?... un anno, due, tre... Dipende dall’individuo, dalla forza di volontà dell’uomo.

Sono sempre stato del parere che un essere umano non può giudicare un altro essere umano. Sì, perché, per quanto male si pensi di noi detenuti, siamo anche noi “persone”. Certo, chi sbaglia come minimo deve cercare di recuperare lo sbaglio fatto. Ma signori miei, non si può far pagare una persona, degradandola, facendola umiliare anche solo per poter ottenere un rotolo di carta igienica. Ma come si può? Come può un ragazzo di venti anni uscire di qui con delle buone speranze, sorridendo alla vita libera? Se qualcuno me lo sa dire, aspetto risposta.

Tutti mi chiedono, a partire dalla mia famiglia per poi arrivare agli operatori, cosa ho intenzione di fare. Che progetti ho per il futuro. Ma che progetti posso fare io? Non me la sento proprio di pensare a quello che potrò fare fra dieci anni, non ne ho la forza.

In effetti, i progetti ci sono nella mia testa, ma non c’è la possibilità di realizzarli; non appena ci provo c’è questo maledetto muro che mi ferma.

A me piacerebbe imparare l’inglese, l’uso del computer, scrivere per un periodico: ma come si fa ad organizzarsi!

Sono attualmente ristretto presso la casa di reclusione di Padova, il mio arrivo qui è datato 5 giugno 1997.

Ho passato quasi due anni nel carcere di Rovigo ed ho sempre (o quasi) avuto un buon rapporto con il personale di custodia; a qualcuno devo molto, c’è stato chi mi ha molto aiutato moralmente, specialmente all’inizio di questa mia burrascosa vicenda.

Adesso, invece, arrivo qui e mi sembra di essere tornato indietro nel tempo di almeno venti anni. Ero convinto che le proteste e le rivolte degli anni ‘70 avessero influito in tutto il sistema penitenziario, invece credo che dette riforme abbiano influito molto poco qui.

Spero mi scuseranno le persone che si ritrovano a leggere questi miei momenti di riflessione; forse s’aspettavano quattro righe scritte bene, che trattassero di argomenti più importanti. Ho provato a scrivere qualcosa di più impegnativo, ma, per evitare una “censura”, ho evitato di presentarlo…

Le mie argomentazioni trovano sempre direzione verso i problemi che si trovano all’interno di queste strutture e, quando si toccano certi argomenti, contemporaneamente si sentono toccati alcuni personaggi che preferiscono tenere chiusa la porta del frigorifero per non far fuoriuscire alcun odore (A. Andriotto)

[Indice]

 “Io” detenuto faccio parte della società

Appena

Con entusiasmo mi presento, assieme agli altri detenuti, a una conferenza con immagine centrale un sacerdote di Padova: don Giovanni Nervo.

Con molta attenzione cerco di mettermi in sintonia, cerco di comprendere il suo messaggio rivolto a noi detenuti, riguardo ad una prospettiva di lavoro futuro e conseguente rientro nella società.

Sinceramente mi riesce difficile capire il suo pensiero, mi sento attaccare, aprire delle ferite, ma con rispetto lascio la parola, anche perché inizialmente aveva anticipato di non avere alcuna esperienza di carcere.

Sento che non devo, o meglio, non posso reagire di fronte a una realtà vera e, per quanto le parole siano dolorose, le accetto, pur essendo un detenuto.

Ma in questa presa di coscienza e di controllo, non mi sento quella parte emarginata della società, neanche un numero di qualche codice penale.

Mi sento vivo e presente ed è proprio quando una detenuta come me manifesta la sua verità, lasciandosi andare e non accorgendosi che ancora si etichettava con le proprie parole, il mio sguardo si abbassa e soffro. Soffro, perché, cara compagna di sventura, anch’io un tempo ce l’avevo su con il mondo, per il semplice fatto che tutto doveva essere semplice e immediato, ma col tempo mi sono accorto che nella vita non ci si può misurare solamente con i pugni e con l’illecito, perché altrimenti le nostre teste calde finiscono solamente tra queste alte e fredde mura.

Ti dirò in più che, per me, la nostra società è molto più malata di queste nostre “galere”, ma, se abbiamo la possibilità di rientrare nella normalità della vita, perché non sfruttarla?

Questo giornalino, “Prospettiva Esse”, dimostra che le nostre poesie, angoli di discussione, sono rivolte alla società e la cosa più bella la dimostriamo nel nostro amore verso i nostri cari, i nostri preziosi sentimenti, la nostra voglia di crescere.

Rimane duro il carcere, non cambiamo noi la società, ma non sarà neanche di certo la nostra rabbia a ridarci la nostra libertà e gli affetti.

E’ un cammino duro e, solo quando i nervi si rilasseranno, potremmo raggiungere con grande dignità i nostri traguardi; e penso che ci vengano offerte delle buone possibilità.

Dobbiamo tenere duro e non calcare quell’etichetta che purtroppo la società ha messo nelle nostre vite; ce la possiamo fare, non perdiamo la battaglia della vita, perché anche il nostro cuore batte e la rivincita è alle porte.

Un saluto sincero a tutti i detenuti come me. (M. Stroppa)

[Indice]

Riflessioni

Non so quale aiuto possa dare la mia esperienza agli altri, essendo convinto che ogni percorso debba essere intrapreso internamente a noi stessi e il dualismo della vita è un fattore strettamente personale. Ognuno di noi entra in un luogo di detenzione per dei fattori creatisi per lo più da uno stile di vita legato a dei bisogni immediati: la scarsa coscienza di ciò che ruota intorno al mondo, lo stato emotivo che provoca sensazioni forti, la voglia di sentirsi staccati dalla massa che consideriamo troppo accondiscendente ai mass media, che ogni giorno ci inebriano di parole e di opinioni, a cui essere contrari, dà un piacere immenso; oppure ad un semplice bisogno di sentirsi vivi in una vita che ci annoia. Il più delle persone cerca nell’illegalità solo un bisogno di sopravvivere con espedienti, per adempiere al mantenimento personale e del nucleo familiare!

Qualcuno, inconsciamente e suo malgrado, si ritrova qui per degli errori non suoi; e perciò mi soffermerei nella sofferenza in cui questi si ritrovano, quelli che ne soffrono in maniera diversa, quelli che vivono qualcosa di così paradossale rispetto al loro stile di vita, quelli che ci muoiono per cose non fatte!

Non ho mai visto la fine della mia detenzione, presto arriverà, so bene cosa comporta: per chi, come me ha passato un periodo lungo, significa ritrovare una realtà completamente diversa, si resta fermi a quel lontano giorno in cui si è entrati; si può maturare, si possono cambiare i propri punti di vista, ma la realtà delle cose non cambia. Ci si ritrova a dover combattere ogni giorno con l’indifferenza, con la paura, con lo scetticismo delle persone che incontriamo; rimango un ex-detenuto di cui diffidare vita natural durante!

Personalmente questo è un problema che non mi tocca, in quanto la mia decisione e la mia volontà superano le aspettative. Il problema qui è che uno si crea dei falsi scopi, si illude di cambiare se stesso, creandosi una realtà che non esiste, mettendosi delle maschere per apparire a se stesso e agli altri a suo piacimento; dovremmo essere, tutti noi, meno egoisti e voler bene a noi stessi, imparare ad accettare i propri difetti senza doverli nascondere, vivere ogni giorno una crescita interiore, per essere consci della realtà che ci circonda. So, per quanto è stata la mia esperienza, che ogni problema personale va ricercato e affrontato di petto, consciamente; siamo noi i migliori conoscitori di noi stessi. Se qualcuno ha bisogno di superare le proprie insicurezze e non ha la forza di farlo da solo, esiste un personale messo a disposizione di chiunque voglia un sostegno e un aiuto concreto; ma inutile prendere in giro se stessi e gli altri, ci si ritrova sempre all’inizio delle proprie abitudini, se non si è disposti a cedere qualcosa; bisogna imparare a mettersi in discussione, un’autocritica che può portare verso la stima di se stessi e credere in ciò che si fa!

Spero solo che ognuna delle persone, che leggerà questo punto di vista personale, si soffermi a guardarsi dentro, perché sappia che ognuno è artefice del proprio essere; ogni causa, che può portare ad una sofferenza, non deve essere valutata soltanto nel momento della sofferenza stessa, ma imprimere i valori in ogni momento per non ricadere nell’abitudine di dimenticare quando non esiste uno stato di sofferenza; se non è personale, questo stato lo sarà di sicuro per chi ci vive accanto, per chi dal di fuori vive questa situazione di disagio, ognuno può ponderare su di sé, ognuno è libero di scegliere ciò che per lui è più conveniente.

Già l’essere cosciente di ciò che si fa, con tutte le conseguenze, è positivo; la maggior parte delle persone non sanno dove le loro scelte di vita porteranno, finché un giorno si ritroveranno a scontrarsi con una realtà che stravolge ogni senso, ad essere coscienti delle proprie aspettative. Viviamo in una società dove è difficile capire dove finisce la legalità, e trasgredire è una prerogativa di tutte quelle persone che non sono coscienti dei danni che provocano, o sono obbligati dalle circostanze in cui si trovano. La sofferenza viene dal di dentro, c’è nel momento in cui si oltrepassa il confine, quel malessere che ognuno di noi ha provato nella sua esistenza. Non so dire quanto giusto o sbagliato sia ricercare un’utopia del benessere, so che è umano sbagliare ed è umano dare una possibilità di crescita ad ognuno; bisogna saper chiedere aiuto quando se ne sente il bisogno, senza chiudersi in se stessi, con volontà, senza arrivare alla disperazione, razionalizzare i propri vissuti, serenamente, per un’assunzione di positività, cercando di non lasciare ciò che di buono può darci quel piacere dimenticato!

Ognuno può dare qualcosa agli altri, ogni esperienza personale può aiutare a capire. Presto non sarò più qui ad esprimere ciò che la vita mi ha fatto vivere, e spero che qualcuno di voi voglia dare un contributo a questa iniziativa che, nel suo complesso, lascia qualcosa in ognuno di noi. Il confronto con gli altri è positivo; ogni pensiero è un po’ di vita di persone diverse tra loro, stili di vita a confronto senza giudicare, estremizzando quale sia più comodo; deve solo servire a ognuno di noi per capire; quando non si avrà più nulla da imparare, allora sì che potremmo dire di aver vissuto abbastanza. Auguro a chiunque di non reprimere le proprie emozioni per paura di non essere all’altezza; ogni cosa in cui si crede va vissuta senza estremismi, con serenità, con convinzione che non sempre tutto è a disposizione, facile da ottenere; lottare, lottare per vivere. (S. Cadorin)

[Indice]

I gabbiani

Era un piccolo batuffolo di cotone bianco che volava libero nel cielo, accanto a sè la sua compagna, erano felici, si amavano di un amore profondo e bastava guardarli per avere il cuore pieno di gioia; facevano tanta tenerezza.

Il tempo passava veloce, si avvicinava la stagione dell’emigrazione, e si stavano preparando alla partenza in posti lontani, in cerca di caldo; si godevano quei pochi giorni che restavano, tubando, giocando in riva al mare.

Era come vivere un sogno. Passò un uomo, vide tutta quella felicità, che lui non aveva mai avuto; preso da rabbia, le tirò una pietra, colpendola ad un’ala: il gabbiano sentì un dolore allucinante, volando via, ma non disse nulla al suo compagno, non voleva farlo soffrire.

Partirono; lei soffriva, ma continuava a volare ed a ogni battito d’ali il dolore era sempre più forte; disse al suo compagno di andare avanti, che lei si fermava un attimo per bere e l’avrebbe raggiunto, ma sapeva che non sarebbe più riuscita a sollevarsi in volo. L’ala si era spezzata, cercò di riprendere il volo, non riuscì. Quel piccolo batuffolo non era più bianco, era diventato rosso del suo sangue che continuava ad uscire. Guardò quel cielo che tanto amava, pensò al suo amore che non avrebbe più rivisto.

Due lacrime uscirono da quegli occhi dolci, si chiese se era giusto morire così! Si chiese del perché di tanta cattiveria e rivide tutti i giorni passati felici e sorrise. Era stata fortunata, non sentiva rancore per chi le aveva tirato quella pietra e si addormentò.

Il suo compagno non la vedeva arrivare, non esitò un attimo: torno indietro per cercarla. La vide raggomitolata su se stessa. Fu preso dalla disperazione; era ancora viva, ma il suo cuore batteva sempre più piano. Cercò di scaldarla col calore del corpo.

La beccava con tenerezza, ma il sangue continuava ad uscire e presto il suo cuore si sarebbe fermato per sempre. Lei sentì la sua presenza, aprì gli occhi e vide il suo compagno: quel piccolo cuore si riempì di gioia, non le importava più di morire, chi amava le era vicino e chiuse di nuovo gli occhi.

Di lì passò un vecchio, che teneva per mano un bambino; vide quella scena struggente e vide tanto amore; non poteva lasciarla morire. Con delicatezza l’avvolse nella sua giacca, la portò con sè e la curò, fasciandole quell’ala e il sangue si fermò.

Le fece un giaciglio vicino al fuoco e pregò Dio di non farla morire, perché sarebbe morto anche il suo compagno; non riusciva a staccarsi di lì: era vecchio, ma si sentiva la forza di un leone. I giorni passavano e quel giovane cuore ricominciò a battere.

Ringraziò Dio per quella gioia che le aveva dato, le tolse le bende, sperava che riuscisse ancora a volare: con timore lei mosse le ali, non sentiva dolore, le si posò sulla spalla, quasi volesse baciarlo per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei.

Capì che non esisteva solo la cattiveria e che tutte le persone non erano uguali. Dovevano riprendere il viaggio, si alzarono in volo, ma facevano fatica a lasciare chi li aveva curati: lui li incitò: “andate”! Quei due batuffoli di cotone bianco stanno ancora volando in quel cielo che tanto amano, liberi e felici, insieme per tutta la vita. (M. Massarenti)

[Indice]

Brevemente dalla Redazione

 

L’Associazione culturale rodigina “Autori Polesani”, con ben sette suoi rappresentanti, ha dato vita ad un incontro veramente estemporaneo per la vita fra queste quattro mura. E’ ben vero che molti detenuti scrivono poesie, magari da tenere ben strette per sè o dedicate alla propria donna o al proprio uomo, ma un incontro come questo è stato senza dubbio una novità gradita più o meno da tutti noi. Era da tempo che questo gruppo voleva venirci a trovare, questo è un fatto che ci emoziona e dà un valore particolare alla situazione.

I poeti polesani (ci scusiamo se non riportiamo i nomi degli intervenuti per scarsa memoria), hanno esordito leggendo alcune loro opere, in lingua e dialetto, prima presentandole e parlando in generale di poesie e sentimenti; in questo modo hanno coinvolto alcuni di noi che, pur se emozionati, sono riusciti a recitare le proprie composizioni.

Sul nostro giornalino pubblichiamo sempre ben volentieri alcune nostre poesie, considerandole momenti molto importanti perché ci danno modo di evadere la sofferenza quotidiana “creando” con le parole immagini di speranza e di emozioni vissute. A proposito cogliamo l’occasione per annunciare che è in cantiere un libro con le nostre poesie raccolte nel tempo tra i vari malcapitati in carcere: speriamo che questo progetto abbia una buona riuscita e che possa essere di stimolo per tutti noi ad elaborare pensieri e sentimenti positivi, considerando anche l’aiuto che ci potrà dare come mezzo di contatto con la società libera. Ringraziamo di vero cuore questi poeti dalla genuina sensibilità che hanno lasciato il loro segno d’amicizia in questo luogo di sofferenza e di espiazione. Li invitiamo nuovamente a venirci a trovare.

 

 

Per raccontarci come si fa un articolo, come si costruisce un giornale, G. Paolo Bonzio, giornalista de “Il Gazzettino”, è venuto ad incontrarci.

Purtroppo l’incontro ha preso ben presto un’altra piega: alcuni di noi, molto arrabbiati, si sono lamentati per come i giornali trattano le persone protagoniste di cronaca nera. E’ abbastanza vero che vengono riportate le “notizie” fornite dal tribunale e dagli organi inquirenti, non considerando affatto, molto spesso, la voce della difesa come sarebbe corretto che fosse. Toccati nel vivo dalle parole dei quotidiani, che raccontano anche i nostri fatti privati non inerenti alla cronaca del reato, si è scaduti quasi nell’insulto.

Non è facile, soprattutto in questi luoghi, riuscire a separare gli argomenti da trattare e mantenere una corretta conversazione.

Va a nostro demerito, soprattutto per i più coinvolti ed interessati, il non essere riusciti a riportare il discorso nell’ambito stabilito.

Ci scusiamo con il nostro ospite, sperando che nel tempo si possa organizzare un qualcosa di più costruttivo e ci sia data un’altra occasione.

 

 

La dottoressa Rosa Alba Casella è stata trasferita ad altro incarico; come nostra direttrice ci sentiamo di ringraziarla per i numerosi stimoli, per le occasioni di crescita che ci ha dato. Il suo aiuto, come la sua sensibilità e competenza, ci ha portati avanti nel tentativo di allacciare contatti importanti con la società, finalizzati a costruire il nostro reinserimento.

Speriamo molto che questo impegno continui nel migliore dei modi con il nuovo direttore, il dottor Mangreviti, perché c’è ancora moltissimo da costruire, sia nella continua opera di maturazione personale che nella prospettiva del nostro rientro nella società.

[Indice]

Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

L’AMICIZIA

Qualche volta

ti sembra vera

ma ti sbagli

non è sincera.

 

Qualche volta

ti sembra niente

ma può farti soffrire

più della gente.

 

Qualche volta è divertente.

Ma una cosa sola ti posso dire:

quando trovi quella giusta

non lasciartela sfuggire.

Ivan

Trudy, i tuoi occhi parlano!

Ti portai a casa che eri piccolissima

avevi dei grossi occhioni e ne combinavi

di tutti i colori.

 

Non riuscivi a parlare con me,

per gli altri eri solamente un cane.

 

Tornavo a casa a tarda notte e tu mi

aspettavi davanti alla porta ed io ti accarezzavo.

 

Ora, che non ci sono, so che continui a cercarmi,

vai a gironzolare nella mia camera,

annusi i miei vestiti…

 

Non ti ho abbandonata, presto tornerò

e giocheremo ancora assieme.

Massimiliano

MEMORIE

Nella mia vita,

ho sempre cercato

di non possedere nulla.

Non porto con me le memorie

della mia facilità con penna e matita.

Mi pesano.

Non voglio lasciare traccia del mio passaggio,

silenziosamente chiedo di esistere

coi segni di guerre perse,

di bottini scialacquati,

di navi in burrasca

segni di schegge di vita,

non voglio avere niente.

Già con fatica

trascino la mia ombra,

su questo terreno avaro,

mi immagino senza pesi

a pensare di poter volare via.

Luisa

FIGLIA MIA

Cara figlia,

entrambe festeggiammo tuoi anni,

a volte felici anni a volte tristi,

per causa mia.

Vorrei tanto abbracciarti, che tutto fosse lieto.

Io ti penso, nel mio vagare t’immagino

nel tuo letto di ragazzina con tante idee

bizzarre.

Ma la più debole e incerta sono io,

ma un giorno mi fermerò un momento

per darti un bacio di mamma.

Mary

CONVIVENZA

Sei stato ristretto e io ho

tradito le tue aspettative.

Poi mi sono pentita.

Ora tu mi stai ricambiando,

allora io ti dico

perdonami amore,

non tradiamoci più

perché io davvero

ti voglio bene.

GIORNATA

Sono capitata per caso in questa cella,

l’unica forse più nobile delle altre.

Ho avuto tutto senza dare materialmente niente,

una cella di tossicodipendenti.

Quindi, presa nella spirale di un simile razzismo,

quanto riusciamo ad essere buone

quanto il diavolo soccombe fuori.

Ho visto brutte astinenze senza l’aiuto

di farmaci adeguati, oltretutto

ci arrivano incartati in carta di giornale.

Mai nella vita ho visto una durezza simile,

e conosci così la pazienza.

La nostra giornata finisce troppo presto,

e il resto del tempo non passa mai,

tra un pranzo e una cena indecenti.

Ma siamo in galera e dobbiamo sopravvivere

con i nostri dolori e per me

la mancanza del mio più grande tesoro: la mia mamma.

Le nostre famiglie

le abbiamo distrutte e ormai non ci vogliono più.

Noi drogati, noi mostri, noi feccia,

noi che qui dentro riusciamo insieme a sentirci più forti

nel nostro dolore.

Luisa

LA MIA INFANZIA TRA I PINI

Ora non ci sono più pini,

la valle è spoglia,

non posso nascondermi,

si accorgono di me.

Ho paura, coprimi

non fare che mi scoprano

ho troppe colpe.

Non saprei cosa rispondere

a chi mi cerca

per lanciarmi

l’ennesima freccia

nell’anima e aumentare la mia colpa.

Spoglia, senza pini, cammino nella vallata.

So che tu non ci sei per coprirmi.

Luisa

CEMENTO

Cemento che scotta

cemento che piange

trasparente nei sogni

pesante nel cuore.

 

Cemento di mura

cemento che ti osserva

coperto di cielo

che non tocchi con le mani.

 

Cemento senza tempo

se non scopri

il tuo tempo.

Quirino

[Indice]

Lettera a…

 

Cara Luciana,

mi fa piacere che tu ti sia ostinata ad abbattere questa tua corazza ormai vecchia e logora. Si sa che dei buoni sentimenti abbattono anche quella mia parvenza di vecchia saputona.

Forse di tutto quello che era, sono rimasti solo gli anni a farmi ricordare questa esistenza difficile per me e per gli altri. Il 9 ottobre andrò ad aggiungere su una fantastica torta un anno in più: anno di che, di come, di perché.

Era destino che una vita fatta di elementi di poco peso in una dimora che pensavo di passaggio, di immagini carta, nella mia leggerezza giunsi nel luogo più profondo, più buio, più fortezza.

Qui ti rendi subito conto che ci sei per rimanerci, non di passaggio; da qui in poi diventi cittadina pericolosa per il benessere della comunità, quindi un peso sulla coscienza, mio e tuo. Ricordo di essere stata da sempre un po’ speciale, ma per me una volta significa essere diversa, asociale, bizzarra, un po’ strana. Non sapevo che era per tutti gli altri “diverso”: equilibrio instabile, depressione, compulsività.

Ora mi sento rinchiusa, spogliata di ogni mio sogno, in attesa di essere giudicata nel profondo del mio essere, della mia esistenza.

E’ tutto, sai Luciana, molto brutto.

Passo molto tempo a scrivere per me, per gli altri, ma non tengo mai niente di quello che scrivo, non voglio avere ricordi di questo periodo e anche perché mi conosci, non ho mai avuto il senso del possesso. Chissà cosa vuol dire non voler avere niente: per me significa ora che senza pesi puoi volare. Forse fuori di qui.

Siete solo voi, tu e tutta la famiglia, a poter camminare, io non ho chiesto a nessuno di nascere così diversa da tutti. Vogliatemi bene e basta, semplicemente, senza chiedervi per come e perché, semplicemente. Con dolore e con amore.

 

tua sorella Luisa

 

[top]