«Prospettiva Esse – 1997 n. 3»

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PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

La sofferenza e la solitudine sono gli stati d’animo che più degli altri si vivono in carcere. Sono i segnali che più risaltano anche dagli scritti del nostro giornalino. Proviamo perciò a cogliere le sfumature “idiomatiche e di gergo” che, pur se spesso legate a situazioni momentanee e personali, dobbiamo sempre considerare in riferimento all’ambiente in cui viviamo, per cercare e capire il significato delle parole e dei sentimenti.

Ci sorprende il fatto che molto spesso si possa trattare di “dolore alienato” dovuto più allo smarrimento e alla depressione che non all’esperienza di persone che esperimentano sulla propria pelle.

E’ difficile vivere veramente il dolore, il nostro e quello degli altri, perché ci fa paura, abbiamo paura del coinvolgimento emotivo che comporta. Ecco quindi la più insolita delle situazioni: in carcere ad espiare una pena che non è “nemmeno nostra”, è solamente un’astrazione, un sentimento alienato. Dura da digerire!

Il modo c’è per venirne fuori! Guardarsi dentro, guardarsi attorno, con sensibilità, accorgersi della sofferenza altrui, accettare la propria senza farsi schiacciare, farsene una giusta ragione.

Reagire, essere attivi, non tanto per evitare la noia quotidiana, ma per provare de sentimenti concreti, a stretto contatto con la realtà, anche se tragica. In questo modo le nostre parole, le parole del nostro giornalino, acquisteranno un significato diverso, profondo, più vero, e potranno aiutarci a costruire un ambiente migliore, più umano, dove ci sia posto tanto per la nostra sofferenza quanto per i desideri e la speranza.

Questo luogo dove, veramente, possa il dolore di oggi divenire la felicita di domani.

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Dalle parole ai fatti
(notizie in breve)

 

Detenuti al lavoro per “ritornare” nella società

Per chi non ha letto l’articolo su “Il Gazzettino di Rovigo” del 13 agosto, si porta a conoscenza l’impegno dei Servizi sociali del Comune di Rovigo, con il CNA, insieme per il reinserimento dei detenuti. Hanno stilato un progetto in comune accordo con la Direzione del carcere, un piano per corsi di formazione professionale. Sono corsi della durata da tre a se mesi, durante i quali il detenuto frequenterà in un’azienda un tirocinio di apprendistato e percepirà una borsa lavoro erogata dal Comune.

Oltre a questo c’è un più importante accordo, che al termine del corso, il tirocinante potrà essere assunto dall’azienda e il Comune interverrà con un parziale compenso per le spese sostenute. In questo senso la direzione del Carcere ha già messo in atto il progetto e scelto due detenuti che parteciperanno a questi corsi; potranno uscire la mattina alle ore 8 e rientrare alle ore 19. La possibilità che i Servizi sociali del Comune di Rovigo hanno messo a disposizione dei detenuti e degli ex detenuti, i finanziamenti per il reinserimento di questi nella società, sono un supporto che trova ampi consensi e ulteriore impegno dentro il carcere; credere in questo reale e concreto progetto ci aiuta a sperare nel carcere non più come luogo di emarginazione, ma di recupero e risocializzazione.

Dunque i nostri appelli tramite il giornalino si sono rivelati fattibili e funzionali; continuare su questa strada è di fondamentale importanza per arrivare poi, eventualmente, alla progettazione di altre forme e soluzioni di lavoro. La strada da percorrere è agli inizi ma già con concreti risultati. Continuiamo con forza a fare la nostra parte ed avremo sempre più la garanzia che anche le istituzioni si convinceranno maggiormente che il detenuto va aiutato. Abbiamo invitato l’Assessore ai servizi sociali del Comune di Rovigo, che verrà a trovarci per continuare il dialogo che abbiamo intrapreso.

La scorsa settimana, in una riunione con i detenuti, la direttrice e l’educatrice ci hanno esposto il “Progetto di studio” in fase di attuazione, per rendere meno afflittiva e monotona la vita in carcere. E’ un programma al quale potranno partecipare tutti i detenuti, divisi in gruppi, tenendo conto delle proprie attitudini e delle proprie esigenze: un gruppo con il Ser.T., per tossicodipendenti ed ex, per continuare il lavoro del “Gruppo del giovedì”. Un gruppo del giornalino che porterà avanti i buoni risultati del nostro “Prospettiva Esse”. Un gruppo d’incontro con don Damiano, il cappellano del carcere, dove si parlerà di valori, della centralità dell’uomo e la sua umanità. Un gruppo che tratterà le problematiche del lavoro con un operatore esterno. Si pensa anche ad un coordinamento come collegamento fra i vari gruppi. I gruppi verranno introdotti con quattro incontri in tema, che ci daranno anche modo di orientare le nostre preferenze.

Noi ci impegneremo anche per non tradire la fiducia degli operatori e degli enti e soprattutto perché i momenti di dialogo e di confronto sono sempre stati chiesti da noi con fermezza. Invitiamo tutti i nostri compagni di detenzione ad una partecipazione attiva, consapevoli dell’importanza che queste occasioni ci pongono per la nostra maturazione personale e per continuare a migliorare la vivibilità e l’amicizia in carcere. (M. Curi e Q. Pavarin)

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Osservazione e benefici

Da quando è stata fatta la riforma penitenziaria del carcere sono stati previsti operatori che si occupano della rieducazione dei condannati (solo definitivi). La Costituzione italiana prevede che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato in base all’art. 27 della Costituzione.

Gli operatori che seguono il detenuto in questo difficile compito sono: l’Educatore, l’Assistente sociale, lo Psicologo, gli Agenti di Polizia Penitenziaria, nonché i volontari, dove sono presenti, e il Direttore che dirige e coordina questo lavoro.

Di solito il detenuto si rivolge all’Educatore prima di ogni altro operatore ed iniziano alcuni colloqui per conoscere la situazione personale, i motivi del reato commesso, la motivazione a reinserirsi nella società. L’educatore è presente in alcune attività in comune tra i detenuti (es. attività sportiva, cinema, concerti, etc.). Coloro che ci “osservano” 24 ore su 24, sono gli agenti con quali siamo più in contatto e con i quali si cerca un clima di rispetto e di fiducia.

L’Assistente sociale viene in Istituto su richiesta del Direttore per svolgere colloqui e conoscere la nostra vita all’esterno, prima di essere arrestati. Si reca a fare visita ai nostri parenti, per conoscere il nostro ambiente familiare e verifica quali sono o potrebbero essere le occasioni per reinserirsi nel mondo esterno.

Chi ha la possibilità di essere affidato ai servizi sociali verrà seguito costantemente dall’Assistente sociale, nella prima fase di reinserimento nella società.

Lo psicologo studia la nostra personalità più nelle radici ed esprime il suo parere nel lavoro di équipe. La durata prevista per l’osservazione va da un minimo di un mese, da quando si ha una condanna definitiva, ad un massimo di 9 mesi, a seconda delle situazioni personali e della tipologia del reato.

Il detenuto, in genere, ci tiene a fare bella figura con questi operatori, perché ciò che loro hanno osservato andrà prima discusso con il Direttore del carcere in una prima riunione e poi verrà fatta una relazione chiamata “sintesi”, la quale andrà spedita al Magistrato di sorveglianza che dovrà decidere sui benefici da applicare al detenuto. Il detenuto può fare richiesta di alcuni benefici secondo l’ordinamento penitenziario. I principali sono: i permessi premio, la liberazione anticipata, la semi-libertà e l’affidamento in prova al servizio sociale.

L’osservazione è fatta individualmente, tenendo conto delle difficoltà e del tipo di problemi che il detenuto ha avuto. (I. Giantin)

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Piccola publicità

Come tutti saprete, esiste per la sezione femminile un’attività artistica, tenuta settimanalmente da volontarie, di cosiddetto “cartonaggio”, ovvero creazione da parte delle detenute di oggetti ornamentali in cartoncino e tessuto, specie di bellissime scatolette da portagioie, portaposta , soprammobile, biglietti augurali ed ogni sorta di ricordini.

Al femminile di Venezia la produzione è da anni talmente vasta e perfetta che viene venduta in negozi della città, a tutto vantaggio monetario delle detenute.

I prezzi per chi compra sono decisamente minimi. E allora, senza bisogno di raggiungere i fasti del capoluogo veneto; che ne direste di cooperare a formare. una piccola produzione ad uso interno, qui. nel nostro piccolo?

Chi volesse fare un regalino alla consorte, al parente, alla persona che preferisce, potrebbe ordinare un. determinato oggetto, ovviamente, pagarlo con il conto corrente d’Istituto e portarlo al momento del colloquio o farlo depositare in portineria; insomma le modalità sarebbero fissate dal Direttore. Ma la sorpresa del parente, o di chi per esso, al vedersi donare in carcere un così bel ricordino sarebbe proprio grande.

Per sviluppare questa piccola cooperativa interna, fateci sapere, se vi interessa e se avete idee.

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Storie

 

Io, un albanese

Sono un extracomunitario albanese, detenuto come tanti altri, che ora si trovano in carcere qui in Italia. Sono lontano dal mio paese dal 1991, l’ultimo anno della dittatura che per 50 anni ha terrorizzato il popolo albanese. Era la prima volta che il mio popolo respirava l’aria dell’Europa “imperialista”, come la definivano i nostri dittatori del passato.

In Albania ho lasciato la miseria e la povertà, insieme alla mia famiglia e a mio figlio che ancora non aveva sei mesi. E’ stata una fuga di lacrime e disperazione.

Arrivati a Brindisi mi sembrava di essere in uno stadio, con 25 mila miei paesani ammassati nel porto. Dopo un paio di mesi ho cominciato a lavorare, ero molto felice e i miei sogni di un tempo diventavano realtà. Ho lavorato per quattro anni facendo i lavori più duri; però per me non era un problema, perché pensavo sempre alla dura vita che avevo lasciato in Albania e ad un futuro migliore.

Con il passare del tempo lavorare in Italia diventava ogni giorno più difficile e mi sono ritrovato disoccupato, su una strada.

Ho così deciso di ritornare al mio Paese e cercare di far fruttare quei pochi risparmi di quattro anni di fatiche. Il destino è stato amaro per me perché i soldi che avevo risparmiato sono finiti nelle Finanziarie che molto presto sono fallite. Dovevo ricominciare tutto daccapo.

Ho deciso di partire ancora per l’Italia, ma le lacrime di mia madre e dei miei figli mi volevano dire di restare a casa.

Mi sono ritrovato in Italia e la situazione è stata ben diversa dalla prima volta. Non avevo più speranze per me stesso e ho scelto la strada sbagliata, una strada dove mai nessuno è arrivato alla fine. Non mi resta che chiedere perdono alla mia famiglia. Ora sono in questo carcere, mi trovo abbastanza bene e sono tranquillo. Ho guadagnato la stima dei miei compagni ed anche quella dei superiori. Qui ci sono diversi stranieri e non vedo segni da razzismo attorno a noi, conviviamo alla meglio pur nella nostra sofferenza e nella lontananza dai nostri cari. (K. Agim)

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La mia storia

Sono un ragazzo di 23 anni, mi trovo in questo istituto dal settembre 1995 e molto presto sarò trasferito per scontare la mia lunga pena in una casa di reclusione.

Quando sono stato arrestato sapevo che mi aspettava un lungo periodo di detenzione. Ho passato momenti bruttissimi! Articoloni sui giornali, critiche ed insulti che partivano in continuazione dalla bocca della gente.

Credevo che mettendo piede qui dentro avrei completamente tagliato i ponti col mondo esterno. Non sapevo niente di carcere, pensavo di non rivedere pia nessuno dei miei familiari. Pensavo mi odiassero e si vergognassero talmente di me che non ne volessero più sapere Avevo tradito tutti! Come potevo pensare ad un perdono da parte loro! Mi sbagliavo. Da subito mi sono stati vicini, prima i miei fratelli, poi mio padre. Dopo quasi un anno anche mia madre ha trovato il coraggio e la forza di entrare nella sala colloqui (per tutto questo tempo la sentivo per via epistolare e con le due telefonate mensili). La mia “ex” ragazza, un po’ alla volta, si è allontanata, ora non ne so più nulla. Credo, però, di aver conquistato l’affetto di altre persone; amiche e amici, che non vedevo da tempo, hanno iniziato a scrivermi e tentano di sostenermi moralmente.

Ho scoperto che anche all’interno di un carcere c’è vita. Chi è allegro perché sa che di lì a poco uscirà, chi è soddisfatto perché sa che gli è stata accettata qualche istanza che a lui interessava molto, e chi è triste per i suoi mille pensieri.

Qui io risulto essere il più giovane e allo stesso tempo quello che dovrà fare più anni di tutti. Tanti compagni mi chiedono come faccio io a rimanere così tranquillo, quando c’è gente che per pochi mesi perde la testa.

Beh, io non sono affatto tranquillo, so di aver sbagliato e so di dover pagare per lo sbaglio che ho fatto, ma non sono affatto tranquillo. Come può essere tranquillo un ragazzo di 21 anni quando si sente dire che dovrà farne altrettanti di carcere! Sì certo, anch’io pensavo fino a qualche mese fa, di essere forte, cioè pensavo di sapere quello che stavo vivendo e quello che mi aspettava.

Ora però io non lo so più. So quello che ho fatto, ma mi sembra di vivere il presente di un altro uomo, mi sembra di vivere in un film.

Mi sono fatto molti esami di coscienza. Ho passato molte notti in “bianco”. Ho fatto molti brutti sogni, sembra quasi che da 17-18 mesi a questa parte il mio sia stato un bruttissimo sogno, e adesso è arrivato il traumatico risveglio. La parte più brutta di questa mia situazione è che non c’è peggior pena del rimorso. La parte più facile è far passare gli anni, quelli passano, ma il rimorso resta.

Le poche scene che ricordo di quel tragico giorno del 4 settembre 1995 non saranno i 21 anni di carcere a farmele dimenticare, quei minuti non saranno mai cancellati dalla mia testa. (A. Andriotto)

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Proposte “a chi di dovere”
(e a chi si sente in dovere)

 

Cooperative sociali

Le cooperative sociali operano appunto nel “sociale”, senza fini di lucro, anche aiutando le categorie deboli con l’inserimento lavorativo. Per questo sono agevolate dagli Enti Locali con l’assegnazione preferenziale di appalti pubblici.

Sono solitamente formate da “soci fondatori” e da altre persone che man mano, secondo le opportunità di lavoro, ne entrano a far parte.

Il genere di lavoro che svolgono è vario, anche se di solito si tratta di pulizie, manutenzione, assistenza ospedaliera e servizi in genere.

Nel territorio della nostra provincia ci sono più o meno 17 cooperative. A quanto sembra, anche leggendo i giornali locali, queste cooperative sono spesso in conflitto di concorrenza tra loro, offrendo le prestazioni con prezzi al ribasso pur di accaparrarsi i vari appalti.

Quando si parla di “sociale” si dovrebbe, a mio parere, guardare un po’ di più alla qualità, intesa sia come lavoro che come aiuto alle persone più deboli. Tempo fa è stata proposta una mediazione dai politici locali, cercando di costruire un coordinamento.

Fin qui ci siamo. Penso che “politicamente” si sia considerato che anche detenuti appartengono alle categorie deboli e non credo ci sia molto bisogno di spiegare il perché. Lo stesso Assessore provinciale ai servizi sociali, Pasin, alcuni mesi fa ci aveva assicurato che avrebbe svolto la sua opera per promuovere i nostri bisogni lavorativi e di reinserimento in senso generale: gli crediamo ed abbiamo fiducia.

A nostro avviso, il modo migliore, economicamente parlando (perché sempre di soldi si deve trattare quando si parla di lavoro e di reinserimento), per trovare una soluzione è quello di avvantaggiare, ma non a scapito del servizio da svolgere e tanto meno dello stipendio, quelle cooperative che si facciano carico di almeno un detenuto nel loro programma di lavoro.

Non si tratta di creare per noi delle corsie preferenziali, ma di riconoscerci una legittima appartenenza (purtroppo) come categoria debole. Con un simile “capitale potenziale”, riguardo alla possibile richiesta lavorativa di detenuti e di ex tali, si metterebbe sicuramente in moto un ottimo meccanismo che darebbe a noi tutti molte speranze in più per il nostro futuro.

Qui ci sono molte persone che hanno certamente voglia di lavorare e di cambiare vita. Perché sprecare questi nostri desideri?

Dateci una mano. Un detenuto per ogni cooperativa, non è un bel sogno!? Almeno fino a quando non saremo noi stessi ad organizzarci ed essere in grado di formare una nostra associazione su questo territorio privo di opportunità anche per tantissime persone libere: per noi è molto, molto più duro. Io non mi voglio rassegnare. (O. Pavarin)

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Angoli di discussione

 

”Speranza dentro la speranza”

Sono Massimiliano e cercherò di affrontare questa realtà riferendomi alla società esterna a queste mura, informandola che anche noi detenuti siamo un popolo e una società.

Spesso sento dire dai detenuti che una volta usciti dal carcere verranno sempre visti come dei diversi e come conseguenza avranno difficoltà a trovare un lavoro, una casa e da queste affermazioni, nelle quali c’è una etichetta, deduco che noi non ispiriamo fiducia e quindi la “pena” sembra non finisca mai!

In questa mia detenzione, ho potuto osservare che fra queste quattro mura, guardandone l’angolazione migliore e vivendo con un po’ di coraggio e speranza, si può apprezzare questo piccolo popolo che, in maniera forse più lenta dell’esterno, cerca di darsi da fare in qualche attività lavorativa, per i più fortunati, sportiva per chi si sente atleta e culturale per coloro che cercano di costruire non solo una propria cultura, ma cercano di agevolare e far capire alla società esterna che anche noi siamo un popolo e abbiamo bisogno di fiducia perché anche noi, come tutti i popoli, sappiamo lavorare, curarci e abbiamo dei sentimenti. Certamente il nostro popolo non è borghese, ma se il mondo e la società esterna provassero ad accettarci senza ipocrisia, egoismo e discriminazione, riuscirebbero a capire che, nonostante i nostri sbagli, siamo figli dello stesso Dio, per chi crede, e di carne e ossa, per chi vuole capire! E’ con questi piccoli valori “come società” che cerchiamo di sopravvivere e sperare in un futuro migliore.

Se cerchiamo la vostra attenzione lo facciamo semplicemente perché non vogliamo staccarci dalle regole che la vita ci impone.

Sono certo che ogni detenuto è cosciente dei propri sbagli e sono altrettanto certo che queste “porte blindate” sono aperte a tutte le categorie di persone, ed è perciò che questo ambiente deve progredire, non solo come forma di comodità (visto che la maggior parte delle persone esterne pensa che sia un luogo “turistico” dove si vive bene), ma anche negli aspetti più positivi; così ognuno saprà esprimere le proprie capacità.

Con questo mio pensiero spero di portare verso una riflessione degna di umanità e soprattutto non vorrei che foste “voi” (con voi intendo “società”) a farci pesare le nostre pene, perché un giorno potrebbero essere anche le vostre pene.

Infine esplicitamente vi dico: “La forza dell’uomo è il cervello” e in questa forza non esiste discriminazione e ignoranza; dunque, se vi sentite intelligenti e veramente capaci, aiutateci a capire e a costruire un qualcosa di positivo.(M. Stroppa)

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Carceri: sistema inflessibile soltanto contro i più deboli

Nelle carceri italiane i detenuti sono circa 50 mila e, di questi, la maggioranza è composta da soggetti appartenenti alle classi sociali meno abbienti.

Il carcere è in particolare il luogo in cui sono ristretti tossicodipendenti e immigrati che rappresentano, pur essendo nella società una ristretta minoranza della popolazione, la metà dell’intero universo carcerario.

Nella spiegazione di questa realtà dev’essere fatto riferimento a due precisi fattori:

Il furto nei supermercati, volendo fare un esempio banale, è quasi sempre sanzionato quando lo compie lo straniero, magari per necessità. mentre non lo è praticamente mai quando invece è posto in atto dalla signora agiata che, per sfizio, nasconde la merce sotto la pelliccia.

Questa situazione di palese disuguaglianza va spiegata col fatto che la nostra società cerca di affermare la propria moralità e la propria integrità nella repressione di quei soggetti (deboli) che nella logica dominante possono facilmente essere definiti come nemici interni. Un atteggiamento che, se letto attentamente, evidenzia chiari sintomi di cattiva moralità e di mancanza di integrità.

Il carcere può quindi tranquillamente essere il luogo in cui la società, secondo le indicazioni del diritto repressivo, rinchiude i suoi nemici, divenendo il simbolo della vittoria del bene sul male, che appunto gli esclusi rappresentano nell’immaginario collettivo. Questa dimensione simbolica viene meno solo nel momento in cui esso si pone a limite della libertà dell’élite, Quando ciò si verifica ne conseguono, a livello istituzionale, feroci tentativi di delegittimazione simbolica e se ne costruisce un’immagine totalmente diversa, cioè quella di uno strumento indegno, luogo della sofferenza e della morte psichica e fisica dell’ individuo.

Il che avviene però, naturalmente, solo nel caso in cui l’individuo è l’onorevole o l’illustre personaggio che per anni ha condotto nel paese le sue scorrerie predatorie, mentre nulla cambia quando la vittima è un (non) individuo, cioè il nemico contro cui bisogna essere sempre inflessibili.

Per questo non valgono attenuanti o alibi, valgono solo le sue colpe e la necessità dell’espiazione (anni di dura lotta contro l’eroina non possono in questa logica essere considerati una pena sufficiente).

D’altra parte, se tutti pensassero di cavarsela a così buon prezzo forse un giorno potrebbero anche liberarsi troppi posti nelle patrie galere e l’onorevole potrebbe anche cominciare a tremare.

Il diritto è diritto, la giustizia è giustizia, la legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali per la legge, l’ex-tossico è tossico, e i miracoli ormai accadono sempre più di rado. (Giuseppe T.)

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Pena e carcere

Nelle carceri italiane i detenuti sono circa 50 mila e, di questi, la maggioranza è composta da soggetti appartenenti alle classi sociali meno abbienti.

Il carcere è in particolare il luogo in cui sono ristretti tossicodipendenti e immigrati che rappresentano, pur essendo nella società una ristretta minoranza della popolazione, la metà dell’intero universo carcerario.

Nella spiegazione di questa realtà dev’essere fatto riferimento a due precisi fattori:

Il furto nei supermercati, volendo fare un esempio banale, è quasi sempre sanzionato quando lo compie lo straniero, magari per necessità. mentre non lo è praticamente mai quando invece è posto in atto dalla signora agiata che, per sfizio, nasconde la merce sotto la pelliccia.

Questa situazione di palese disuguaglianza va spiegata col fatto che la nostra società cerca di affermare la propria moralità e la propria integrità nella repressione di quei soggetti (deboli) che nella logica dominante possono facilmente essere definiti come nemici interni. Un atteggiamento che, se letto attentamente, evidenzia chiari sintomi di cattiva moralità e di mancanza di integrità.

Il carcere può quindi tranquillamente essere il luogo in cui la società, secondo le indicazioni del diritto repressivo, rinchiude i suoi nemici, divenendo il simbolo della vittoria del bene sul male, che appunto gli esclusi rappresentano nell’immaginario collettivo. Questa dimensione simbolica viene meno solo nel momento in cui esso si pone a limite della libertà dell’élite, Quando ciò si verifica ne conseguono, a livello istituzionale, feroci tentativi di delegittimazione simbolica e se ne costruisce un’immagine totalmente diversa, cioè quella di uno strumento indegno, luogo della sofferenza e della morte psichica e fisica dell’ individuo.

Il che avviene però, naturalmente, solo nel caso in cui l’individuo è l’onorevole o l’illustre personaggio che per anni ha condotto nel paese le sue scorrerie predatorie, mentre nulla cambia quando la vittima è un (non) individuo, cioè il nemico contro cui bisogna essere sempre inflessibili.

Per questo non valgono attenuanti o alibi, valgono solo le sue colpe e la necessità dell’espiazione (anni di dura lotta contro l’eroina non possono in questa logica essere considerati una pena sufficiente).

D’altra parte, se tutti pensassero di cavarsela a così buon prezzo forse un giorno potrebbero anche liberarsi troppi posti nelle patrie galere e l’onorevole potrebbe anche cominciare a tremare.

Il diritto è diritto, la giustizia è giustizia, la legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali per la legge, l’ex-tossico è tossico, e i miracoli ormai accadono sempre più di rado. (Giuseppe T.)

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Voci dalla fantasia

 

L’aratro

In una fredda mattina d’inverno, in mezzo ad un campo intravedo un aratro semi nascosto dalla nebbia, abbandonato a se stesso a combattere contro le intemperie.

La prima cosa che mi passa per la testa è: “Vorrei che avesse la parola per ascoltare cosa mi dice”.

A questo punto mi proietto nella realtà e cosa vedo? Una grande distesa di zolle di terra ricoperte da una bellissima rugiada argentata, un velo sottile di non più di un paio di millimetri. Sopra, come per incanto, una nebbia malinconica e un po’ lugubre. Con la coda dell’occhio noto la figura lontana di un bellissimo albero secolare che tutt’ora rivedo come se mi fosse ancora accanto.

La nebbia mi attira e mi trascina fino a condurmi ai confini della realtà.

Fissandola piano piano, mi scarica fino a svuotarmi di ogni perplessità. Alzo lo sguardo a tiro d’uomo e rivedo in lontananza la sagoma dell’aratro. Una forza misteriosa mi attira senza ostacoli di alcun genere e mi incammino passo dopo passo. Provo una sensazione davvero strana, direi unica, e mentre mi avvicino quasi al rallentatore mi accorgo che questa sagoma sta svanendo nel nulla.

A questo punto accelero il passo sempre più fino a correre in lungo e in largo nel campo, finché sfinito mi corico per terra con gli occhi rivolti verso il cielo bianco e penso. Penso che forse quell’aratro non c’è, non c’è mai stato.

In mezzo al campo c’è solo un uomo, avvolto dalla sua solitudine proprio come quell’aratro abbandonato. (T. Piombo)

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Uno splendido sogno l’Italia pacificata

Anch’io ho fatto un sogno. Mi sembrava che l’Italia fosse riuscita a trovare, per ogni sua istituzione, una degna sede. Tutto era cambiato, solo il Presidente della Repubblica continuava ad abitare nel suo palazzo al Quirinale a Roma . La Camera, composta da trecento deputati, era stata trasferita a Torino e il Senato a Palermo, il Governo a Milano, il Ministero di Grazia e Giustizia a Firenze, il .ministero del Lavoro a Napoli, quello della Marina mercantile a Venezia, della Difesa a Udine e così via. Insomma, tutte le grandi e medie città erano divenute sedi di uno o più dicasteri.

E’ ovvio che tutto era stato reso possibile dalle tecniche avanzate di telecomunicazione. Roma, non essendo più l’accentratrice dei servizi statali, aveva ritrovato la sua giusta collocazione nel mondo dell’arte, dell’archeologia e della religione; e in tutte le città della penisola c’era una tangibile testimonianza di rispetto per il Ministero ad esse assegnato.

Ma, ciò che era più importante, era che gli italiani si sentissero partecipi del governo del loro Stato, non più diviso da deleterie idee secessioniste. D’accordo, era un sogno, ma era così bello. (Giuseppe T.)

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Il suono

Qual è il suono più bello del mondo? Chiedilo ad un vecchio,:la sua risposta sarà il silenzio. Poi chiedilo ad un bambino, ad un ragazzo, ad un adulto: vi diranno di tutto, ma difficilmente parleranno del silenzio. E’ solo una sensazione che crediamo di tenere, perché il silenzio non esiste più.

L’ho scoperto, mio malgrado, cercando di catturare il suono più bello del mondo.

Purtroppo quel silenzio della natura non ha più la voce del vento, del fruscio delle foglie, dei rami e del canto dell’acqua libera; non c’è più il silenzio del giorno e della notte.

Ho fallito nel mio intento perché, sempre e dovunque, è arrivato inaspettato un rumore a sconvolgere i miei piani. Quell’ inconsueto fastidioso rumore prodotto dall’uomo.

Così sono rimasto sconvolto dalla scoperta avvenuta per caso, e solo perché volevo registrare con la mente la voce della terra, invece niente.

Così ho avvertito un senso di sgomento, come davanti alla scomparsa di una persona cara.

Il silenzio è morto e la colpa è di tutti, perché tutti abbiamo paura del silenzio. Cerchiamo di cancellarlo quotidianamente, e solo perché quel silenzio che ci rimane ormai possibile è quello interiore. Fare spazio al silenzio, al silenzio del cuore, della mente, fare spazio alla speranza non è troppo tardi.

Ora dipende solo da noi, cercare il nostro silenzio. (F. Lombardo)

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

Alla mia mamma bambina senza età

Mia mamma ha capelli bianchi

ma occhi da bambina

e quando mi abbraccia,

dopo tanta lontananza

io sembro la sua mamma

e lei la mia bambina adorata.

Mamma mamma, primo amore

il bene che ti voglio tu non sai

amor mio grande

che non scorderò mai!

Mamma, quante lacrime da rimpiangere

come la mia tomba e i giorni di ieri

che rimpiango ancora:

nascosta nei secchi e nei cespugli

verserei uragani di lacrime per te.

Ma in questo mondo

cosi cambiato e così brutto

non c’è più tempo per la sofferenza:

i miei occhi sorrideranno per te.

Ora io semplice, io onesta, io generosa

sono presa per debole, colpevole, pazza.

Mentre l’unica cosa strana

e crudele

è che la tenerezza non esiste più

e che nessuno conosce la pietà.

Ma tu, mamma

nel mio cuore resterai l’amore più grande

nella mia mente il pensiero più dolce

e nel tempo resterai una bambina:

la mia bambina con gli occhi giovani.

Elena

Cuori imprigionati

I nostri cuori sono imprigionati

aspettano che qualcuno li liberi.

I nostri pensieri possono viaggiare

lontani, liberi, cavalcando sui cavalli

della nostra immaginazione, volano alti

nei cieli, svettano verso le cime più alte

del mondo, attraversano lo spazio temporale

per scoppiare in miliardi di scintille nel cosmo.

Rosa

Per il compleanno della mia bambina

AUGURI, stella

perché tu sarai

la stella del mio futuro!

 

AUGURI, bimba bella

alla quale io giuro

che farò da madre.

 

AUGURI, figlia

io ti ridarò tuo padre

e riavrai la tua famiglia!

Rossana

Mare e Mura

Il profumo del mare così leggero e trasparente

misterioso e affascinante,

un rumore insovvertibile e devastante

che fa di lui il sogno di molte persone sole,

sole in quattro mura come me.

Fantasticando e scavalcando le mura,

mi tuffo nel mio mare colorato,

e trovo la forza di andare sempre avanti.

Mi manchi mare ma ti raggiungerò

mia amata libertà.

 Vittorio

 

Un ricordo non lontano

un immenso mare riflesso nei tuoi occhi

con leggere onde che accarezzano i nostri passi.

Un ricordo molto più vicino…

in un freddo grigio ufficio di questura

di una gelida sera di gennaio

ci concedono pochi istanti per salutarci.

Ti abbraccio e sono presa da un brivido

ti guardo seduto su quella sedia

sei chinato, le braccia appoggiate alle tue gambe

come se i tuoi 28 anni ti pesassero in modo esagerato.

Ti stringo forte a me…

Il mio cuore è frantumato

il totale profondo dolore

è padrone assoluto

delle nostre sensazioni

dei nostri sentimenti.

Le tue lacrime

mi riportano in un attimo

a quelle spumeggianti onde.

Guardo i tuoi capelli quasi nero corvino,

non c’è sole a riflettere su di essi.

Sei bello come un dio greco

ma non solo per questo ti amo.

Tu... con i tuoi lunghi silenzi,

mi fai terribilmente soffrire.

Tu… con i tuoi teneri, dolci sorrisi,

mi fai semplicemente impazzire.

Tu... con i tuoi sensualissimi baci

mi porti in mondi fiabeschi

riempiendomi il cuore di tantissima gioia.

Tu... che quando guardi me

fai esplodere la primavera

e tutto meravigliosamente fiorisce intorno a me.

Tu... solo tu

che amo sempre di più.

Ivana

 

Nello splendido, luminosissimo firmamento

il mio cuore ne è l’epicentro

e tu… solo tu, mio dolce uomo

che amo sempre più

sei la fonte energetica

di questa meravigliosa luminosità.

Se tu... per un solo attimo pensassi di andartene

sarebbe una totale catastrofe

perché tutto si spegnerebbe

e molto semplicemente

il mio cuore ne morirebbe.

Ivana

 

E’ notte fonda,

il silenzio è totale,

un silenzio così grande

da sembrare anche rumoroso

o forse sono i pensieri della mia mente

che rincorrendosi fanno rumore.

Il buio mi avvolge con le sue lunghe pieghe,

come fosse un grande mantello.

Mi guardo attorno

all’affannosa ricerca di uno,

seppur piccolo, spiraglio di luce,

volgo il mio sguardo attraverso le sbarre

della finestra,

alla ricerca di qualcosa che sembra non esistere,

i miei occhi continuano a vagare nel buio,

guardo il cielo sperando che…

una fievole luce faccia capolino da una nuvola

ma sembra che anche le stelle

nel cielo di Rovigo... si rifiutino di accendersi.

Ho la netta sensazione di vivere

in un angolo remoto del mondo

dimenticato da Dio e dagli uomini.

Un brivido freddo attraversa il mio corpicino

mi abbraccio, respingendo quella sensazione

di grande solitudine

che mi accompagna da più tempo

ma il buio continua

ed ingigantisce ancor più

il totale silenzio che mi circonda

facendomi capire che la mia solitudine

è infinita come la notte dei tempi.

Ivana

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Lettera a…

 

Mio carissimo Matteo

sei nato tanto piccolino, ti potei sfiorare appena con un bacio sulla guancia, poi ti misero nell’incubatrice.

Corsi dalla tua mamma, ancora in barella, sorridente come sempre; le sue prime parole sono state: “Hai visto nostro figlio, è bello!?” Baciai anche lei per ringraziarla di averti messo al mondo.

Cento giorni. Tanti sono stati i giorni che ho potuto starti vicino, eri tanto piccino da temere di poterti tenere tra le mie braccia, temevo di poterti fare male. La tua mamma mi incoraggiava e ti adagiava sulle mie braccia, io restavo immobile, riuscivo solo a muovere gli occhi per vedere il movimento della tua boccuccia, vederti dormire e nel tuo sonno di tanto in tanto tu accennavi ad un sorriso.

La tua mamma ed io ci guardavamo felici: “E meraviglioso il nostro scricciolo”. Così ti chiamavamo.

Dopo 100 giorni il destino è stato crudele con te che ti è stata tolta la figura paterna, non di certo il mio profondo amore che la tua mamma riesce a trasmetterti cercando di colmare questo vuoto.

Tu eri piccino, non potevi capire; la tua mamma sì: quanto avrà sofferto!

Mio carissimo Matteo, sono trascorsi 2 anni da quel maledetto giorno che il destino mi ha strappato a te, in questo periodo ti ho potuto vedere una volta alla settimana per un’ora. Settimana dopo settimana ammiro il ciclo della tua crescita, la tua mamma mi racconta tutto di te, quanto mangi. quanto pesi, i primi dentini, i primi passi, le paroline che impari, i tuoi capricci. Una continua indescrivibile emozione.

I primi mesi, quando entravi nella sala colloqui, il mio sguardo verso la mamma era alto per poterti vedere fra le braccia sue. Ora lo sguardo è basso; sì, non ti porta più in braccio, ma cammini da solo con la manina aggrappata alla mamma, gli occhioni gioiosi, ti dirigi subito verso di me.

Ora ti chiedo un bacino e me lo dai, mi chiami papà. Quell’ex-scricciolo cresce meraviglioso, capriccioso e vanitoso, ora mi chiedi: “Papà quando finisci di lavorare, quando vieni a casa?”

Mio amatissimo Matteo, adesso in quell’ora settimanale del colloquio vivo momenti di straordinarie emozioni, difficili da descrivere; guardo i tuoi occhioni e, incrociando lo sguardo della tua mamma, sento “circolare” tensioni positive della cui forza sono stupito. E sei tu che le accendi nei nostri cuori. Hai portato la felicità.

Il tempo passa lento ma inesorabilmente; vorrei che passasse più veloce, sento il desiderio di poterti vedere crescere ora per ora, minuto per minuto, che anche tu come gli altri bambini possa dire: “Il mio papà”.

Carissimo figlio, nei miei sogni sei un angelo. Voglio tornare al più presto, come ti dico quando ti telefono, per farti sentire tutto il mio amore, perché tu possa crescere sereno e tranquillo.

Quando ritornerò, voglio recuperare questo tempo perso in cui sono mancato a te e alla tua mamma.

Ti bacio, con tenerezza ti abbraccio.

Tuo papà

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