«Prospettiva Esse – 1997 n. 2»

Indice

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

Dalle parole ai fatti (notizie in breve):

L’intervista:

 Proposte a chi di dovere (e a chi si sente in dovere):

 Angoli di discussione:

Voci dalla Sezione femminile:

Voli di dentro (poesie e quant’altro)

Lettera a…

 

[Indice]

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

A tutti! Affinché il sapere serva a prendere posizione, almeno nella crescita individuale e collettiva.

Questo giornale è rivolto alle compagne e ai compagni di detenzione: come spunto di riflessione, come stimolo di dialogo e di collaborazione: perché la nostra voce sia forte e si faccia sentire lontano…

E’ rivolto agli operatori, dai quali per molti versi dipendiamo, ma con i quali vogliamo interagire attivamente nel realizzare un carcere sempre più vivibile, a misura dei nostri bisogni e delle umane aspettative. Per ricuperarci, certo, ma soprattutto per aiutarci concretamente nel reinserimento con il lavoro, lo studio e il pensiero positivo.

E’ rivolto agli agenti di polizia penitenziaria, perché nel capire profondamente la nostra condizione di emarginazione e di bisogno, facciano quel salto di qualità che può tramutare un servizio in una missione di aiuto e di solidarietà.

E’ rivolto ai volontari che ci sostengono con la forza dell’impegno disinteressato e dell’amore, affinché questo riesca ancor più a “suscitare amore” per non risultare sterile e fine a se stesso.

E’ rivolto alle istituzioni, alle persone che all’esterno ci leggono, alla società; perché è a questa che noi guardiamo alimentando fiducia e speranza in tempi migliori: il tempo dell'amicizia, della giustizia e della gioia.

A tutti: aspettiamo di sentire la vostra voce.

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Dalle parole ai fatti
(notizie in breve)

 

Leggere per divertirsi

Se da sempre nella nostra vita “normale” leggere ha significato promuovere la propria fantasia e il proprio patrimonio culturale e ha potuto essere una forma di svago alternativo ad altri passatempi, nella passività della condizione dei detenuti la scarsità di alternative a curare passioni è inversamente proporzionale alla disponibilità di tempo “libero”.

La lettura troppo facilmente può trasformarsi da occasione di evasione (spirituale) in fonte di autoisolamento.

Sensibile a questo ennesimo aspetto problematico, la direzione della Casa Circondariale, nelle sue molteplici espressioni di ricostruzione ed indirizzo, memore di precedenti e costruttive esperienze di collaborazione con le associazioni volontarie “Portaverta”, ha organizzato un corso di lettura.

Il corso in oggetto, articolato su un programma già felicemente collaudato a beneficio di parte della popolazione di Rovigo, più fortunata (o meno sfortunata) della popolazione detenuta, si è articolato su un ciclo settimanale di sei incontri.

Incontri che definire lezioni sarebbe ingiustamente riduttivo ed ingrato nei confronti del personale volontario che si è prestato sia in modo continuativo che occasionale.

Le finalità del corso, nelle intenzioni programmate dai relatori (conduttori) erano tra l’altro “prendere coscienza” che a tutti, da sempre, piace farsi raccontare storie; è stato così riscoperto il piacere di ascoltare e la voglia di confrontare le sensazioni che singolarmente vengono tratte dall’interpretazione di un fatto descritto, dei contorni e delle circostanze.

Vedere con la propria immaginazione ciò che uno scrittore ha visto con gli occhi o sentire come emozioni astratte fantasie: concrete realtà.

L’occasione di un confronto, un esperimento estremamente riuscito di verificare quanto ci possa essere in noi di “narratore” e la capacità di “scrivere”, ci è stata offerta dal lavoro svolto a gruppi.

Lavori di reinterpretazione e continuazione scritta di alcuni passaggi, particolarmente significativi. avulsi da capitoli tratti da romanzi di autori di diverso indirizzo letterario, da E. A. Poe a Tomasi di Lampedusa, a Maupassant; confronto riuscito, anche se difficilmente pronosticabile all’inizio.

L’ottima riuscita del corso di lettura, così come recepito da parte dei fortunati partecipanti è testimone della validità di quest’ultima. “in ordine di tempo”, iniziativa volta a nostro favore e in aiuto alle nostre capacità di superare, almeno in parte, la realtà della vita in carcere. (R. Rossi)

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Corso CNA

Il corso CNA è nato grazie all’iniziativa del “Gruppo del giovedì” e all’interessamento della direzione del carcere.

Cos’è il corso CNA? E’ un corso di 60 ore che consiste nel montaggio di componenti elettronici al quale hanno partecipato circa 12 ragazzi detenuti con problemi di tossicodipendenza; ecco, grazie al “Gruppo del giovedì”, che ha fatto ripetute richieste di aiuto finanziario, per impegnare il tempo libero (per modo di dire) racchiuso nella monotonia più assoluta. L’impegno della direzione è stato quello di contattare un responsabile del CNA e un paio di imprenditori impegnati nell’elettronica.

Da parte dei ragazzi ci sono stati grande partecipazione ed impegno sul lavoro, tanto che il corso è passato così rapidamente che tutti alla fine risono rimasti male: “quando ci si diverte il tempo vola“. La verifica fatta ha avuto ottimi risultati tanto che l’ultimo giorno sono stati consegnati gli attestati di partecipazione. Per noi lo scopo principale è quello di creare attività lavorative all’interno del carcere per dare possibilità ai ragazzi di occupare il tempo, guadagnandosi qualcosa, e più che altro, occupando la mente. Ora che questo corso è finito non si sa con precisione se un domani (vicino si spera) si riesca a introdurre all’interno del carcere delle attività lavorative. Se non altro qualcosa si sta muovendo. Per questo tutti ragazzi del corso ringraziano la direzione del carcere, l’imprenditore signor Soldà e l’operatore del CNA, signor Cestonaro, per l’interessamento e l’amicizia dimostrateci. (T. Piombo)

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Salute in carcere e aids

Per cominciare abbiamo fatto una serie di incontri con gli operatori del Ser.T. sul tema della salute in carcere. Siamo stati tutti d’accordo nel dire che il benessere è fisico, psichico, sociale e che lo stare bene dipende in gran parte da noi stessi.

L’argomento che è risultato interessare di più, come informazione, è stato quello delle malattie infettive. Per approfondire ci siamo incontrati tutti con il dottor Masiero, infettivologo, che ci ha spiegato come ”funzionano” le infezioni dell’aids e dell’epatite. Non si deve aver paura di convivere con una persona sieropositiva, basta stare un po’ attenti e non avere comportamenti a rischio: scambio di siringhe, uso comune di oggetti taglienti, rapporti sessuali senza preservativo…

Ci sono ancora persone disinformate e che quindi hanno paura; per la maggior parte in carcere questo non avviene, perché, per vari motivi, conosciamo da vicino il problema e sappiamo essere solidali, anche se l’informazione è spesso scarsa e non corretta...

Abbiamo visto, tramite delle diapositive, come si sviluppa il virus e ci è stato spiegato che un sieropositivo può restare per sempre tale senza che la malattia si allarghi. Anche per le epatiti valgono le stesse precauzioni.

E’ importante fare periodicamente gli esami del sangue per sapere il proprio stato di salute, oltre che sapere come comportarsi verso se stessi e gli altri.

Il secondo gruppo che abbiamo fatto è stato con la psicologa Savegnago. Ci ha spiegato che per stare bene in carcere prima di tutto devi stare bene con te stesso, “esserci con la testa”. Ci ha fatto capire che ora siamo in carcere e dobbiamo cercare di vivere bene anche qui. Poi anche lei ci ha spiegato come non avviene il contagio. Ha detto che un sieropositivo non va emarginato, ma va aiutato, anche perché, oggi come oggi, le persone a rischio o contagiate non sono solo i tossici o gli omosessuali, ma può essere chiunque, visto che un rischio enorme è avere rapporti non protetti con partners occasionali. (R. Ceccolin)

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Grazie Padre Alberto

Frate Cappuccino, cappellano del carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia, responsabile della comunità cooperativa Olivotti di Mira, che opera in tutti i campi del disagio giovanile, padre Alberto è venuto a trovarci per parlare dell’aids sotto l’aspetto sociale. Perché si ha tanta paura del portatore dell’aids o del sieropositivo stesso? I malati sono spesso ghettizzati senza motivo, anche da chi dovrebbe conoscere a fondo la malattia, come per esempio i medici di ospedale...

”Io convivo, lavoro e opero da tanti anni con persone sieropositive e vedo che non mi è successo proprio niente di male!...“ ci dice, raccontandoci le sue esperienze al proposito, e mi fa sentire piccolo piccolo, io, detenuto con i miei tanti problemi, di fronte alla forza ed al coraggio di tanti malati che serenamente affrontano la loro vita riuscendo spesso ad essere di aiuto per gli altri, anche per chi è in buona salute...

La libertà, il tempo, la paura, la morte: concetti toccati nel dialogo con i presenti; dove l’immaginazione vola inconcludente, la ragione ed il cuore sanno ben darci risposte e conforto. Non è facile convivere con la sofferenza, tanto con la propria come con quella degli altri. Il dolore e la diversità possono però essere tramutati in ricchezza.

“Secondo me”, dice questo frate dal grande cuore “non ci sono persone buone o cattive, ma solo chi sta bene e chi sta male...”, dandoci in questo modo un forte messaggio di speranza per il nostro recupero e la possibilità di riscatto, perché in buona parte stare bene dipende soprattutto da noi stessi. Vivere i valori e gli ideali potrà darci lo stimolo vero per migliorare e tentare di risolvere la nostra condizione sia in carcere che nella vita. Dovremmo lottare contro l’alienazione delle nostre più umane esigenze (come la convivenza, la comunicazione, l’amore...), per costruire, nel nostro piccolo, ma facendo la nostra parte, quella forza che cercherà di risolvere i mali di questa società. Grazie padre Alberto e torna a trovarci. (Q. Pavarin).

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L’INTERVISTA

 

Trent’anni di volontariato in carcere

Abbiamo intervistato il m.° Giovanni Pavarin perché ci raccontasse la sua lunga esperienza di volontariato in carcere: le motivazioni, le difficoltà, le soddisfazioni, i progetti…

«La mia prima visita in carcere risale al 1966, incaricato dal direttore didattico delle scuole elementari per fare il responsabile del centro di lettura e come assistente. Per questo sono venuto a conoscenza dei problemi dei detenuti.

La prima impressione è stata quella provocata dalle persone che, non avendo alcun legame parentale o familiare, uscendo non trovavamo alcun punto di riferimento. Tutto questo ha causato un dialogo con un gruppo di giovani dell’Azione Cattolica, ragazzi della Diocesi di Adria e Rovigo.

Il gruppo guidato da don Vanni Cezza si è preso carico di questo problema. Dopo diverse discussioni e proposte si è deciso di gestire una piccola casa di accoglienza nella Parrocchia di Granzette di Rovigo; ciò ha dato inizio nel 1980/81 all’Associazione ‘Portaverta’, che ha ora la sua sede in via Forlanini, 62 (tel. 0425/22583).

Le difficoltà più grandi nel risolvere i problemi dei detenuti che si presentano ai colloqui sono dovute alle limitate possibilità di intervento da parte dei volontari, specialmente negli anni in cui mancavano il direttore del carcere, l’educatore, lo psicologo e gli operatori del Ser.T., specialmente per quanto riguarda la soluzione dei problemi relativi al reinserimento nella normale vita sociale.

Resta comunque il problema delle persone sole e abbandonate. La soddisfazione più forte e significativa è stata quella di dialogare con persone ai margini della vita sociale e di collaborare con organi pubblici e privati per risolvere in qualche modo la situazione rilevata nei singoli casi. Non è possibile generalizzare la situazione di singole persone, avendo tutte una propria storia ed un proprio cammino. Il mio rapporto con la struttura e con i detenuti si è reso più sereno e sicuro, in quanto oggi si possono trovare delle risposte più confacenti alle esigenze delle singole persone, anche se con la buona volontà e la disponibilità reciproche non sempre è possibile realizzare i desideri e le proposte espresse. Per quanto riguarda la struttura dei carcere è notevolmente migliorata, sia dal punto di vista edilizio che da quello dei rapporti con i responsabili e con gli agenti di vigilanza. Da tenere presente che non esisteva la sezione femminile, nei primi tempi, che ora è seguita da un gruppo di volontarie provenienti anche da Portaverta.

Per concludere, la mia presenza in carcere continuerà finché sarò in grado di rispondere a questa “vocazione” alla quale Dio mi ha chiamato, e sino a che i responsabili della struttura riterranno utile la mia presenza.» (intervista raccolta da P. Paiola)

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Proposte “a chi di dovere”
(e a chi si sente in dovere)

 

Nuovo Carcere

Leggiamo sui giornali locali del progetto di un nuovo carcere: non intendiamo entrare nel merito. Quello che ci interessa di più è la destinazione del vecchio carcere. Si parla di destinare gli uffici esistenti a sede della Pretura, ed anche su questo non ci esprimiamo.

Per l’area interna si progetta di fare un museo o qualcosa di simile e di destinare gli spazi interni a giardino: qui vogliamo dire la nostra.

Perché non pensare ad un qualcosa che assomigli ad una “Sezione a regime attenuato” destinata a detenuti con problemi di tossicodipendenza che vogliano considerare un cambiamento, un recupero? Magari poi pronti ad entrare in una comunità o altro? Pensiamo a situazioni di “esperimento” come il SEAT di Rimini o il carcere della Giudecca di Venezia, di nostra conoscenza. Con regole di convivenza particolari e mirate, che escludono la violenza, gli psicofarmaci, l’alcol, etc., alcuni detenuti, presi in considerazione e valutati dai preposti, lavorano a stretto contatto con gli operatori del Ser.T. e i volontari, “sorvegliati” da agenti in borghese preparati al proposito con opportuni corsi di formazione. I ragazzi, meno pressati da regole e comportamenti del carcere comunemente inteso (o peggio…), dialogando, conoscendo, anche tramite periodiche uscite in gruppo, le proposto delle varie comunità, possono sicuramente prendere meglio in considerazione la loro futura collocazione nella società, cercando soprattutto di recuperare il “problema” della droga…

Perché non pensare a costruire un giardino di speranza e di civiltà?

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Progetto giovani

Abbiamo sentito parlare di “Progetto giovani” e delle iniziative che si propongono. Ci chiediamo: “nessuno ha pensato ad un intervento in carcere?” dove sicuramente la nostra opera potrebbe risultare più che positiva.

Qui si potrebbe intervenire direttamente sul disagio giovanile, creando momenti di informazione, educativi e formativi, proprio nella direzione che il vostro progetto si propone.

Chiediamo quindi agli interessati, al Comune ed alle Associazioni, di valutare questa nostra che è una richiesta di aiuto e di collaborazione, prendendo i contatti necessari e realizzando un programma idoneo.

Noi siamo qui ad aspettare…

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Angoli di discussione

 

Rieducare!

Dopo tanti anni di peccati, irruenza, prepotenza, anche per me si sono aperte le porte delle “patrie galere”. Un’esperienza unica, sensazionale, sicuramente formativa e finalizzata a fare lunghe riflessioni di carattere personale, sociale, ma soprattutto un momento di grande approfondimento sul concetto di “Stato”. Ora come ora, cosa mi rappresenta questo stato? Qual è mai il patto che mi lega ad esso?

Vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Sicuramente qualcuno, qui dentro, proverà a farlo: la nostra brillante educatrice, la solerte psicologa, la bella assistente sociale sono le persone preposte a questo sicuramente arduo compito. Io le ascolto con interesse. Seguo attivamente questo nuovo sistema di vita che mi si pone davanti. Un ambiente certamente amichevole, questo di Rovigo, dove il calore umano e la comprensione sono valori forti, ulteriormente alimentati dal clima di continua privazione che il carcere impone.

Questa galera rappresenta comunque uno spaccato della vita esterna; ci sono persone simpatiche e persone antipatiche, intelligenti e ignoranti, cattive e buone. E poi è sempre continua, incessante, la presenza dello stato. Con il suo controllo, la sua burocrazia totale, le sue leggi; le leggi degli uomini per gli uomini! Leggi che noi, che io, avrei continuamente eluso, raggirato, infranto. Ma che io sia talmente disumano o peggio ancora criminale da eludere continuamente le leggi che sono state fatte da persone come me e quindi per me stesso?

E’ il cosiddetto ordine costituito, con i suoi operatori che dovrebbero aiutarci a vivere meglio, a seguire il più possibile le leggi e permetterci il più totale e completo inserimento nel complesso sociale. Possibile che io sia nato fuorilegge con il gusto e il piacere di infrangere queste leggi? così apparentemente utili ed indispensabili al consorzio umano. Non credo, permettetemi, di esser nato fuorilegge o con il piacere a delinquere! Credo invece di avere avuto la sfortuna di essere nato in un paese che ha fatto della prepotenza e dell’intimidazione il suo sistema di comunicare, che ha fatto della burocrazia e dell’eccesso di legislazione il suo metodo di appiattimento sociale e di arricchimento corporativistico; che ha fatto dell’esaltazione del privilegio e della classe elemento di legalità e di fierezza e che, a fronte di questi privilegi, ha fatto dell’ingiustizia e dell’abuso l’unico metro di giustizia. Questa è sicuramente la mia colpa! Di avere sempre basato i rapporti tra me stesso, lo stato e le istituzioni su principi di obiettiva giustizia, legalità e dignità umana.

Ma in questo paese tutte queste cose non esistono più; esiste solamente un’obbedienza servile al potere e al privilegio, elementi tipici di una società senza cultura, che quindi mai potrà aspirare ad una giustizia giusta e alla certezza del diritto. E’ sicuramente l’epilogo di uno sfascio generale, dell’assenza completa di valori certi e forti, della mancanza totale di cultura; tutto è stato evidentemente soffocato e marginalizzato da un benessere frivolo e lascivo che per cinquant’anni ha ignorato tutto e tutti. Ad essere colpita inesorabilmente è l’Italia che produce, l’Italia dell’intraprendenza, quell’Italia che ha alimentato e alimenta, e che sicuramente non alimenterà più, quel sistema che ha creato sicurezze e futuro a tutti. Ma attenzione! Se il sistema si ferma, tutti quanti saremo costretti a fermarci. Per me non c’è problema! Qui in carcere ho imparato a giocare a briscola, a scacchi, a poker; ho imparato persino a fare il solitario. Mi sto dolcemente abituando a stare fermo! Ma quelli che non lo sono, quelli che non sanno che cosa sia il sacrificio e la privazione, quelli che hanno giurato fedeltà allo stato e che si ritroveranno “fermati” dallo stato stesso, lo sanno fare quelli il solitario? Io credo sinceramente di no! Si parla quindi di funzione rieducativa della carcerazione, finalizzata ad un più corretto inserimento del detenuto nella società. Ma signori! Lasciate stare! Il signor Gallimberti non ha nessuna intenzione di inserirsi in questa società! Non ha nessuna intenzione di essere rieducato, a che cosa poi? All’ubbidienza cieca e all’umiliazione? No, mi dispiace! Sono nato uomo, con la mia dignità, e applico la giustizia vera degli uomini e per gli uomini. L’ingiustizia fatta legge non mi interessa; la pseudo giustizia dello stato italiano non fa per me! Mai potrò essere educato all’ingiustizia. Questo in carcere rimane quindi il periodo più inutile, ozioso e soprattutto pericoloso della mia vita. Pericoloso perché determina quella spaccatura profonda e insanabile. tra un uomo e la mediocrità di un sistema, materialmente e soprattutto intellettualmente corrotto. Che questo stato, e i suoi servitori, lo sappiano! (E. Gallimberti).

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Carcere e tossicodipendenza

Anche se ci sarà la benvenuta e tanto attesa depenalizzazione dei reati minori, anche se il tossicodipendente non verrà più punito in quanto tale e considerato un delinquente anziché persona da curare ed aiutare, anche se…

A mio avviso, in carcere ci saranno sempre, purtroppo, persone con problemi e disagi esistenziali da risolvere, dovuti proprio all‘uso degli stupefacenti o dell’alcol ed altro. Quando la pratica del reato non è una scelta consapevole di vita, la pena dovrebbe assolutamente avere il significato di rieducazione, non solo alle regole, ma soprattutto alla vita e ai suoi valori più strettamente umani. Già l’Ordinamento Penitenziario prevede “corsie preferenziali” per il tossicodipendente condannato fino ad una pena di quattro anni; in larga misura l’Art. 47 bis viene concesso, ma ben sappiamo che per i più svariati motivi molti ragazzi ritornano in carcere spesso senza alternative alla depressione ed all’attesa del “buco” (quando poi l’uso degli stupefacenti non si consumi anche in cella...). E’ difficile in certe condizioni poter parlare di detenzione alternativa, perché appare spesso evidente l’incapacità “del tossico” a considerare il valore della propria vita e maturare la volontà di cambiare.

Come fare? Una soluzione può essere la “sezione a regime attenuato” (di cui si è parlato nell’articolo precedente “NuovoCarcere”) dove, pur controllata, ma assistita e aiutata, una persona può più facilmente cercare di recuperare se stessa, libera dai condizionamenti negativi del carcere stretto e capace, si spera, di una scelta ben precisa. (Q. Pavarin)

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Detenzione alternativa? Sì, grazie!

La possibilità di misure alternative alla detenzione già esistono nelle leggi, ma in pratica, per vari motivi, non vengono utilizzate se non in pochi casi. Si pensi che per un affidamento o per una semilibertà bisogna essere in grado di presentare una richiesta di lavoro, ed in più “affidabile”...

Ci vien da ridere (anzi da piangere) solo a pensare al numero dei disoccupati che aumentano giorno per giorno; per non dire che molti di noi non hanno conoscenze, né aiuti all’esterno o le capacità al lavoro stesso (professionalità).

Mancano le opportunità ed il carcere diventa un contenitore (sempre più stretto) e un po’ per tutti resta la soluzione migliore, quella che non richiede l’impegno e la fatica di tentare di risolvere i problemi.

A noi così non va. La società dovrebbe “inventarsi” soluzioni diverse, creando strutture e meccanismi che permettano alle persone, che hanno sbagliato, di recuperare e riscattarsi al tempo stesso: almeno per chi lo voglia veramente e consideri il cambiamento accettando l’aiuto offerto.

Il carcere dovrebbe rappresentare solo l’eccezione, il rimedio estremo per i casi più gravi o “impossibili” (se mai impossibilità ci possa essere...). Troppo comodo? Non penso, perché le difficoltà. le regole, le restrizioni, anche di una pena così intesa, avrebbero il loro peso su persone non certo abituate a tanto, quanto ne avrebbe anche il senso di umana civiltà nel considerare la propria riabilitazione rispetto alle opportunità ricevute. Per i fallimenti, se ce ne fossero, resterebbe sempre il carcere...

Se pensiamo anche a quanto costa alla collettività ogni giorno una persona detenuta, a quanti soldi sono investiti in edilizia carceraria e a quante spese si dovrebbe andare incontro per la ristrutturazione o per l’assunzione di personale che vada ad integrare l’organico sempre carente degli agenti di polizia penitenziaria, ecc....

Ecco! “l’impresa” di creare un’alternativa al carcere si autofinanzierebbe. Si compiano sforzi d’intelligenza nella direzione indicata o si continui a parlare e parlare senza mai risolvere nulla in concreto. (Q. Pavarin)

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Ordinamento penitenziario… ossia “legge Gozzini”

E’ pura utopia parlare di diritti per i “cittadini detenuti”. Per chi non la conosce e per chi non ne ha avuto diretta esperienza, brevemente diciamo che la legge Gozzini, in vigore dal dicembre 1986 e che modifica la precedente normativa del 1975, avrebbe dovuto essere la “carta dei diritti dei detenuti”. Essa parla di liberazione anticipata, di affidamento, di semilibertà, di permessi premio e altro. Tutte belle cose, ma tutte solo scritte sulla carta, perché i vari benefici si possono ottenere solo “se” il detenuto ha mantenuto regolare condotta e prova di ravvedimento durante la detenzione. Sicuramente è una nobile legge, ma con gravi carenze per l’attuazione che la rendono lenta e macchinosa. Il ravvedimento: come si può dimostrarlo e certificarlo ? L’équipe di operatori preposta all’osservazione può con profonda serenità valutare se il detenuto si è ravveduto? In ogni caso essa non detiene nessun potere decisionale; una magra consolazione dopo aver osservato e rieducato cercando che capire nel profondo dell’animo il disagio di essere stati privati della libertà e degli affetti familiari!

Tutto è deciso da un Tribunale di Sorveglianza che si basa sui rapporti informativi del carcere e sulle informazioni delle forze dell’ordine che sempre o quasi contano molto di più del lavoro svolto in carcere nonostante non vedano l’interessato da anni. E’ palese dunque che i tempi previsti per ottenere i benefici “scritti” sull’Ordinamento penitenziario sono lunghissimi, a volte oltre i termini per riuscire a beneficiarne. Molti detenuti con pene basse non sono nemmeno presi in considerazione, nei fatti…

Nell’O.p., di cui la Gozzini fa parte, niente è un diritto; ogni articolo che propone un beneficio dice sempre che il Giudice di sorveglianza “può” concedere, non dice “deve”… Tutto resta alla libera discrezione del Tribunale. Basterebbe cambiare la parola “può” con “deve”.

Una legge dei diritti dei detenuti deve essere equiparata come minimo ai Paesi europei, dove il detenuto per l’attuazione dei diritti dipende dal direttore del carcere e dall’équipe che lo segue e lo conosce facendo insieme opera di rieducazione e ravvedimento. Solo questi dovrebbero avere potere decisionale.

Questi semplici cambiamenti, che potrebbero avvenire con decreti legge, sarebbero sufficienti per avere un buon risultato per i diritti dei “cittadini detenuti”. Ogni camera di consiglio rappresenta ancora un ulteriore grado di giudizio sul detenuto: come già non bastasse la condanna ricevuta!

Di questo argomento, come di altri, ci terremo molto a parlare, tutti insieme, con il Magistrato di Sorveglianza. (M. Cuci)

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Un grazie sincero a don Nereo Lamberti

Sono Franco e desidero esprimere la mia grande stima e un sentito saluto a don Nereo Lamberti, cappellano del C.C. di Rovigo.

Un cappellano che ha svolto la sua umile missione per ben 45 anni, ( equivalenti quasi a 2 ergastoli); una persona che ci è sempre stata vicino costantemente, nel consigliarci al meglio, nel risolvere i nostri problemi.

Un uomo che, nonostante tutto, é stato sempre tra noi dentro queste alte mura della nostra sofferenza, pieni di problemi alle volte inutili; è riuscito col suo modo di essere a farle abbassare talmente tanto che alle volte credevo di essere al di la del muro di cinta.

Perché il suo grande obiettivo era quello di trasmetterci sempre un raggio di sole, trasformandolo in luce di speranza verso un futuro di una nostra libertà maggiore.

Anche per lui gli anni sono trascorsi, ormai ha raggiunto la bella età di 87 anni, e penso che la soluzione di un nuovo cappellano possa esser positiva sotto l’aspetto dell’età; così questi (Don Damiano) avrà modo e tempo di dedicarsi a tempo pieno in mezzo a noi, perché le capacita le ha tutte.

Sotto un altro aspetto posso anche pensare che per don Nereo sia molto triste e rammaricante…

Ultimamente notavo la sua stanchezza, ma ricorderò sempre la sua educazione, sebbene non da tutti veniva notata e condivisa; per quanto mi riguarda ha trasmesso in me quanto di più giusto una persona può insegnarti. (F. Lombardo)

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Voci dalla Sezione femminile

 

Sfogliando il quotidiano “il Mattino” di Padova di sabato 14 giugno, ci siamo soffermate sorridendo e scuotendo la testa in senso di diniego sull’articolo: “Politici in visita al carcere Due Palazzi in condizioni disastrose”.

Bisogna premettere che questi signori politici aspettano quasi sempre che accada qualcosa di irreparabile prima di decidersi a visitare questi luoghi, quasi sempre stipati all’inverosimile, e, quando lo fanno in mancanza di qualche fatto eclatante, la loro visita è talmente veloce e repentina che ci si chiede se è stato solo un miraggio!

Non credo che serva sempre ed immancabilmente la morte di un povero detenuto per richiamare l’attenzione dei politici o dei mass-media, lo sanno e conoscono tutti molto bene quali sono realmente le attuali condizioni delle carceri italiane, dal Direttore Generale degli Istituti di pena fino all’ultimo volontario che presta con fatica la sua opera all’interno delle mura.

Ma il punto cruciale che intendiamo controbattere è quanto ha riferito il Consigliere Regionale ‘Verde’ Ivo Rossi, senza nulla togliere a lui riconoscendo la sua profonda sensibilità sui problemi riguardanti il carcere: (riporto un breve passo del suo discorso) “… In quanto gli italiani possono almeno contare sul sostegno di familiari e amici per generi di conforto, biancheria intima e qualche soldo, mentre gli stranieri si ritrovano terribilmente soli. Maghrebini sono in maggioranza coloro che nel carcere si prestano per lavori interni per guadagnare almeno il denaro per pagarsi le sigarette, per loro importanti. Si può fare di più per aiutarli” conclude Ivo Rossi.

Non per fare polemica, ma questo Consigliere Regionale si è mai chiesto quanti sono i detenuti e le detenute italiani che hanno la possibilità di avere qualche .congiunto che li aiuti, scartando a priori l’ipotesi che, se un amico si presenta alla portineria del carcere per lasciare un pacco o soldi, pur esibendo i propri documenti, questi non vengono in modo assoluto accettati?

Solo ed esclusivamente da parenti puoi ricevere qualcosa, qualora ne abbiano la possibilità per offrirti questo grande aiuto. Pochissimi hanno questa fortuna.

Tantissimi detenuti e detenute sono nelle stesse identiche condizioni dei maghrebini, se non a volte peggio, abbandonati a se stessi, dal momento che mettono piede in carcere al momento che escono. Anche per gli italiani detenuti sono importantissime le sigarette e quant’altro serve per poter vivere decentemente, da essere umano, questo momento di dolore.

Se la vita è un diritto per tutti, italiani e maghrebini e il resto delle etnie, anche per noi detenuti di questo Paese è un diritto poter vivere con dignità.

(I. Gottardo, R. Zampieron, .A. Vian)

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Storie di Sezione

Voglio raccontare una storia un po’ insolita che a mio parere non credo sia mai successa, né in questo carcere, né in altri.

Abbiamo ricevuto ieri sera una detenuta un po’ insolita: un gattino nella nostra sezione femminile. Per fortuna amiamo molto gli animali; ho sentito, verso le 24, dei miagolii, ma pensavo venissero dall’esterno, invece stamattina verso le nove mi portano questo batuffoletto.

Avrà circa un mese, color grigio-fumo, è stupenda ma sfortunata. L’ho tenuta solo per due minuti in cella con me; sarà perché io amo tutti gli animali, ho fatto per molti anni volontariato nei canili e i miei occhi hanno visto cose che è meglio che non vi racconti, tutta questa sofferenza rimarrà dentro al mio cuore in vita.

L’affetto, la tenerezza, la paura, anche di fargli del male, che ho provato con questa creatura, indifesa e innocente, è stata una cosa troppo grande che io con la penna non posso esprimere.

Curioso è pensare, ma anche sofferente, che qui ci sono delle signore che amano gli animali, ma di vero amore, che era da due anni che non ne vedevano uno e si vedeva nei loro visi la felicità: l’abbiamo preso come un bambino.

Qualcuno può dire: è solo un gatto! Ma per le persone come me, vi garantisco è molto, molto di più. E vi garantisco che una carcerazione con un amico così cambierebbe molto in meglio, sia dal lato mentale che morale.

Vi scrivo anche questo perché non molto tempo fa per la TV discutevano che se un animale non è di grande taglia si potrebbe tenerlo in cella. E questo per gli amanti degli ammali penso sia una grandissima cosa; passerebbero meglio le giornate, sempre solite, giorni uguali, dove si vedono solo mura e sbarre, e poi la felicità immensa che darebbe il nostro amico, oppure, per chi non ne avesse, i canili sono pieni!

Io ho un bellissimo e amatissimo pastore scozzese e, quando sono entrata qui, la prima cosa che ho domandato è stata quella di chiedere alla Direttrice di poterlo tenere qui. Purtroppo non è stato possibile.

Alle volte mi dico, e di questo se ne è parlato molto anche con pubblicità e manifestazioni, da quello che vedo e sento non si è capito niente: gli animali non sono oggetti, loro danno amore. Amore e fedeltà fino a morire per il loro padrone.

Compagni di mille avventure, ti danno quello che nemmeno il migliore amico ti può dare (non è mai morto un amico per la lontananza dell’altro, invece gli animali sì). E dopo tutto, come sono ricambiati? Con abbandoni nelle autostrade, canili, etc.; insomma con le peggiori cose, sofferenze atroci e morte.

Ora, quasi vicino al Duemila, penso che se una persona si ritiene veramente umana, prima di prendersi un cucciolotto così, solo perché è bello tenerlo, deve pensare che ha bisogno di cure, amore, spazi liberi, ed ha le sue esigenze. Insomma, non solo un batuffolo e tutto finisce lì.

Anche se all’inizio nessuno pensa mai al domani, lui avrà bisogno di tutte le nostre cure; dunque, prima di fare certi passi, pensateci, perché poi alla fine chi ci rimette sono loro innocenti.

Ora io mi chiedo: questa povera creatura che fine farà? Faremo il possibile perché possa uscire di qui e possa stare nei miglior modo possibile, anche se io non lo rivedrò più. Auguro a questo malcapitato che possa trovare un padrone, e, come a lui, a tutte quelle povere creature che soffrono.

Ricordo che ci sono tanti animali rinchiusi nei canili; questo è anche per loro “galera”, e noi, che sappiamo cosa sia galera, vi chiediamo di fare qualcosa almeno per loro. Pensateci!

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Sezione

Sono una ragazza caduta nel mondo della droga, sono finita in carcere due volte, una addirittura innocente, ma per troppo poco tempo per capire cosa voglia dire carcere.

Ora l’ho capito e voglio dire a tutte le persone detenute come me: “forza, che tutto passa!”. Dobbiamo noi stessi anche cercare di far cambiare in meglio la nostra carcerazione: inutile sarebbe rimanere nella nostra cella a tormentarci l’anima e il cuore pensando ad errori ormai fatti e che ora stiamo pagando; forse è troppo tardi. E così ci rendiamo la carcerazione ancora più dura di quella che è.

Io voglio raccontavi un po’ di me, come vivo all’interno del carcere: mi sveglio alle otto, alle otto e trenta faccio colazione, poi scrivo a qualche amico o amica, poi aspetto le dodici per il pranzo, ma se devo essere sincera aspetto mezzogiorno per la posta che per me, qui, è l’unica cosa veramente bella e importante che in qualche modo ci tiene in contatto con il mondo esterno, e non sempre carcere, carcere.

Poi dalle 13 alle 15.45 vado in ‘spiaggia’, e questo non me lo toglie nessuno, sì, la mia adorata spiaggia di cemento(l’aria del carcere), mi fa molto bene e mi libera la testa da molti pensieri. E quando c’è quel venticello, sì, io sono proprio al mare: walkman, asciugamano e crema abbronzante.

Avrei pensato di fare la proposta alla Direttrice di far mettere una piscina di plastica, ma forse è meglio che continui a gettarmi i secchi d’acqua addosso.

Dalle 15.45 chiusura delle celle: guardo la TV fino all’ora di cena, faccio nella mia cella un po’ di ginnastica, e poi, giorno dopo giorno finirà anche questa mia condanna. Ci vuole molta, molta pazienza.

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

 

Nel buio

vieni con me. lasciati guidare.

Ti conduco per strade deserte

dove il buio della notte

rende oscura ogni cosa che vedi.

dove il buio copre le lacrime

che rigano il mio volto.

Ti prendo per mano e andiamo:

mi aiuterai a ritrovare me stesso.

A. Andriotto

Per la mamma

Ora che tu non ci sei più

il mio ricordo di te è infinito

Vorrei averti qui con me

per dirti quanto ti ho voluto bene!

Le angoscie ,

le sofferenze che ti ho dato !...

Mi inducono a pensare a volte

per poter arrivare da te.

Guardo il cielo e so che tu mi guardi

è come se sentissi la tua voce

 che mi trasmette gioia e felicità.

P. Paiola

Nel mio cielo

Non c’era sole

nel mio cielo,

ne luna e stelle

a rischiararlo.

Era freddo

il mio cielo,

vuoto

e regno di dolore

Si e accesa la speranza

nel mio cielo…

la vita

rinasce prepotente.

C’è l’amore

nel mio cielo!

il tempo

riprende la sua corsa,.

Q. Pavarin

Carcere

Nella routine di ogni giorno.

 i soliti rumori alla solita ora.

ferro contro ferro che ti crepa

il cervello.

Solite facce, solite abitudini.

uno sguardo,

un saluto fuggente di un amico,

e inizia la giornata uguale a quella di ieri

che sarà come domani.

Sentire il silenzio non e facile

per nessun essere umano.

ma la ruota gira, gira per tutti

e finalmente si romperanno

quei rumori laceranti.

mi auguro per sempre e per tutti.

Teniamo duro ragazzi..

ci saranno tempi migliori.

R. Zani

Solitudine

E sono ancora sola

in un angolo di questa buia,

fredda, vuota, stanza.

Niente e nessuno mi tende una mano

 mi da un aiuto per dimenticare tutto,

infinito vuoto è ciò che mi circonda

per compagnia solo lacrime e ricordi

a volte belli, molto spesso amari,

amari per la mia esistenza

che non avrebbe più senso

se solo perdessi te

che sei tutta la mia vita.

Ivana

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Lettera a…

 

Cara mamma,

non ho mai avuto il coraggio di parlarti, e più passava il tempo più difficile era, ma nemmeno tu mi hai mai cercata. Voglio pensare di essere nata per un atto d’amore, e nient’altro e forse scrivendoti troverò il coraggio di dirti tutto.

Sono tua figlia, casomai te ne fossi dimenticata, io esisto.

Perché silenziosa è questa mia carcerazione, silenziosa sei tu.

Mi dicevi sempre: non ti ho fatto mai mancare niente. Invece mi hai fatto mancare tutto: perché quello che io volevo era un bacio, una carezza, insomma l’amore, e non le cose materiali.

Cara mamma, tu mi stai giudicando e ormai per te non sono più una persona con un’anima e con dei veri sentimenti, ma ti stai sbagliando.

Sono caduta nella droga ed è vero che lei ha saputo prendere tutta me stessa, ma voglio che tu sappia che tutte le mattine aprivo gli occhi e avrei voluto vederti e averti vicino. Mi sono sempre ricordata di te; forse tu non ti ricordavi di me, o non mi volevi pensare anche per la vergogna della gente, della famiglia . avere una figlia “tossicodipendente”.

Io credo che queste siano scuse, perché l’amore di una madre va oltre a qualsiasi chiacchiera o parola., perché una madre verso la figlia sente e deve ascoltare la voce del cuore. Ma mi chiedo, mamma, se tu hai un cuore.

Ho sbagliato e sono qui a pagare il doppio perché non ci sei, non ti sento, ti trovo e mi sfuggi, mi vedi come un mostro.

Cara mamma, nei mie sogni sei sempre un angelo, un angelo ad ali aperte e braccia e mani verso di me, poi mi sveglio ed è un incubo perché tu colomba bianca libera te ne vai, non puoi veramente tendermi le tue braccia e tenermi stretta vicino al tuo cuore.

Non pretendo che mi parli subito, ma sappi che avrai liberato almeno dal mio cuore quella sofferenza di colomba nera, che ormai non ha più speranze di poter volare e vivere. E se guardavi nel profondo del tuo cuore io sono sempre stata lì ad aspettare che ti accorgessi di me.

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