«Prospettiva Esse – 1997 n. 1»

Indice

PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

Dalle parole ai fatti (notizie in breve):

Angoli di discussione:

Voci dalla Sezione femminile:

Voli di dentro (poesie e quant’altro)

Lettera a…(D. Rabai)

 

 

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PERIODICO AD USO INTERNO DELLA CASA CIRCONDARIALE DI ROVIGO

 

Bravi

Una voce unanime a complimentarsi per il primo atto del nostro giornalino. Abbiamo investito molto per arrivare a tanto: tempo, dialogo e mediazione, pur nei limiti di comunicazione personali ed ambientali. Anche noi siamo soddisfatti, ma consapevoli di aver compiuto solamente un primo tratto di una strada ancora lunga da percorrere. Vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile questo nostro lavoro, dagli operatori del Ser.T. che ci hanno incoraggiati stimolandoci, ai volontari del Centro Francescano di Ascolto che si occupano della impaginazione e della stampa.

Abbiamo creato quello che può assomigliare ad un “processo epigenetico”, dove i geni sviluppano un organismo dalle caratteristiche precise, appunto nella discussione e trasmissione di valori fondamentali di vita sociale sui quali basare la nostra volontà di recupero.

“Prospettiva Esse” come momento di riflessione e formazione, quindi, ma anche come “soggetto culturale”, nel senso più esteso del termine. E’ noto cosa ci differenzia e quindi ci emargina dalla collettività, ma a noi sembra sia proprio il caso di vedere cosa ci accomuna e dove si può arrivare insieme.

Nel nostro ambito vorremmo anche avere valore di “funzione sociale” interagendo con tutte le forze consapevoli del nostro disagio e determinate alla soluzione dei nostri tanti problemi: ciò può valorizzare la stessa società civile.

Se “Comunicazione uguale liberta”, nel senso di libertà di espressione dei propri pensieri, delle aspettative e dei desideri, tanto ci dà già tanto! Oltre il ribadire la volontà e la necessità di liberazione.

Con fatica abbiamo acceso un fuoco che ci riscalda e ci illumina: starà un po’ a tutti noi continuare ad alimentarlo affinché non abbia a spegnersi.

Dalle parole ai fatti
(notizie in breve)

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Oggetto incontro/dibattito

Prefazione alla discussione della fattibilità di una sene di programmi mirati al reinserimento di noi detenuti nelle realtà produttive del Paese, l’assessore Pasin ha illustrato i programmi politici perfezionati in questo ultimo anno nell’ambito del rapporto tra le istituzioni esterne locali, le istituzioni carcerarie, e ultima, ma non meno importante, la popolazione detenuta. Dopo anni di oblio, il problema “carcere” non è più un “tabù” di cui è meglio non parlare, come se ogni iniziativa riguardante i detenuti fosse la soluzione di un problema che non esiste.

Tramite il proprio rappresentante, 1’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Rovigo ha iniziato un programma di indirizzo politico finalizzato alla realizzazione pratica di progetti e iniziative, per molto tempo chiusi in un cassetto. La possibilità di usufruire di finanziamenti comunitari specifici a supporto di associazioni, vedi cooperazione, gestite in tutto o in parte da detenuti o ex detenuti, trova comunque per ora due ostacoli: il primo di natura pratica e burocratica, logico e prevedibile, è il tempo di attuazione in funzione di progetti ancora da definire; il secondo, meno astratto ma più reale, è il momento economico-sociale e la crisi occupazionale generale del Paese in cui la provincia di Rovigo non può fare eccezioni.

Tra i vari interventi al dibattito sono emerse alcune proposte interessanti, occorre, da parte nostra, la stesura di un programma di massima, visto che la disponibilità dell’Amministrazione Comunale è stata pure confermata. anche se nei limiti delle leggi e regolamenti di O.P. Già iniziative di formazione al lavoro si sono rivelate fattibili e funzionali, continuare su questa strada è di fondamentale importanza per arrivare poi, eventualmente, alla progettazione di forme di lavoro desueto o senza ricambio di personale specializzato, come da sempre sono le attività artigianali.

La strada da percorrere per arrivare a risultati concreti sarà sicuramente lunga e tortuosa, ma con la garanzia della disponibilità delle istituzioni interne ed esterne al carcere la possibilità di risolvere il problema “lavoro dopo il carcere” non è più un miraggio.

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Corso di fotografia

Il 6 marzo si è concluso, con la quinta lezione teorico-pratica, il corso di fotografia finalizzato all’apprendimento delle tecniche di sviluppo e stampa.

Le lezioni, con frequenza settimanale e della durata di un’ora e mezza, sono state seguite da un interessato gruppo di dodici persone: insegnava, come volontario, il signor Antonio Guerra, di Lendinara, che con la sua simpatia e cordialità ci ha trasmesso il suo entusiasmo per questa attività amatoriale.

L’attrezzatura tecnica a disposizione, fornita dall’Amministrazione Penitenziaria, consisteva in idonea apparecchiatura di ingrandimento e stampa automatizzata di tipo professionale. Dopo le prime due lezioni, dedicate all’approccio e alla conoscenza degli accorgimenti basilari per un corretto uso della macchina fotografica e delle sue componenti, si è passati alla pratica dell’uso dei reagenti chimici per lo sviluppo, con la messa in atto di tutti i “trucchi del mestiere” indispensabili per ottenere i migliori risultati con i vari tipi di carta fotosensibile per la stampa.

Il raggiungimento di un buon grado di preparazione ci ha consentito (e ci consentirà in futuro) di trarre vantaggio da quanto abbiamo appreso, non solo a livello hobbistico, ma anche come possibilità di reinserimento, soprattutto per i detenuti più giovani, se si considera che l’attività professionale di sviluppo e stampa è una reale occasione occupazionale.

Un sincero riconoscimento va dato a Toni, così come vuole essere chiamato, per quello che ci ha insegnato, ma soprattutto per “come” è riuscito a trasmetterci la sua esperienza. Doveroso è anche un plauso alle istituzioni che ci hanno concesso, non solo materialmente, di usufruire di queste valide opportunità.

L’auspicio è che questo corso di fotografia appena concluso sia, in relazione temporale, il “primo corso di fotografia”, affinché si possa approfondire la materia e dare modo anche ad altri, purtroppo futuri compagni di pena, di evadere la noia del carcere, impegnando il tanto tempo libero e magari per “vedere lontano”, al proprio futuro, anche attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica.

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“Abbiamo bisogno solo di prospettive”

Da “Il Gazzettino” del 3 marco 1997.

Caro cronista, in riferimento al Vs. articolo “Enaip-Casa Circondariale” del 20 febbraio, che parlava della consegna degli attestati per il corso di computer avvenuta alla presenza di alcune personalità politiche, vorremmo integrare la cronaca dell’incontro con quelli che a noi detenuti sono sembrati i punti più importanti.

Si è parlato di reinserimento, di formazione professionale e di lavoro, nonché, al proposito, delle difficoltà più che note esistenti nel nostro territorio. Noi. come detenuti, abbiamo dialogato con gli ospiti ponendo domande, facendo osservazioni e proposte ma soprattutto dimostrando il nostro reale ed attivo interesse.

E’ stato fatto presente al neo assessore Romagnoli che tempo fa il suo predecessore Vallin era venuto a trovarci facendo la promessa di valutare le nostre proposte e le eventuali possibilità di realizzarle, ma che allo stato delle cose ancora non si è fatto niente di concreto: anche se per noi è stato più che importante il contatto avvenuto (finalmente!) con i rappresentanti politico-amministrativi della società.

Abbiamo fatto notare che “i soldi ci sono”, riferendoci, ad esempio ai contributi del Fondo di Solidarietà Europeo, ma che a mancare è ancora la progettualità. Non abbiamo chiesto “il posto di lavoro fisso”, non un’assistenza permanente senza senso, tutt’altro! Abbiamo bisogno di essere attivati, di avere prospettive. e speranze come stimolo per tentare un reale reinserimento, nonché l’aiuto necessario a risolvere i nostri problemi, primo tra i quali la tossicodipendenza con la pratica, appunto di valori positivi come il lavoro stesso.

Abbiamo fiducia nelle persone con cui abbiamo parlato e siamo certi che le loro parole erano “voce che viene dal cuore”, ma soprattutto pensiamo di aver dimostrato che vale la pena investire su di noi.

Il 6 marzo verrà nuovamente a trovarci l’assessore Pasin, invitato a suo tempo con una lettera di alcuni di noi, ed ancora una volta ci troverà attenti e motivati, oltre che “cronisti” per il giornalino interno dell’Istituto, il “Prospettiva Esse” che è promotore e portavoce delle nostre iniziative e della nostra volontà di recupero della società. Ringraziamo per l’ospitalità. Cordialmente.

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Festa della donna

Festa della donna come spunto di riflessione, suggerito dal tema proposto dalla direttrice: “il rispetto della diversità”.

C’è molto da dire, ma soprattutto da meditare: pregiudizi, egoismo, intolleranza, prevaricazione... La signora Lombardi, vicepresidente dell’azione cattolica, fa una breve storia della condizione femminile e dell’emancipazione della donna, sottolineando il fallimento del movimento femminista, inteso come semplice rivendicazione e contrapposizione. Il suo messaggio è chiaro: la vera rivalutazione della donna sta nel ricercare se stessa, nell’individuare la propria diversità ed identità. Il dibattito è aperto ed interessante.

La società, i valori, i bisogni condizionati, il consumismo... come affermare la propria identità rispetto al conformismo dilagante? Rispetto a valori che hanno poco o niente di umano? Ad una società e ad un potere che prevaricano l’uomo? Con “il coraggio della diversità”, con il messaggio della propria testimonianza, anche nelle “piccole cose” di ogni giorno, per costruire un modello alternativo di donna, di uomo, di persona! Si pensi al coraggio di amare… al coraggio come una delle componenti fondamentali del cambiamento per l’uomo come per la società... Si susseguono domande, opinioni e testimonianze personali: la signora Lombardi ci parla del suo impegno nell’azione cattolica, consapevole che il messaggio di Cristo è testimonianza dell’uomo e meno “struttura ecclesiale”.

“8 marzo” come rito, ma questo non è male se maturano le coscienze: anche nella rivalutazione del significato di festa, che è stare insieme, condivisione, partecipazione emotiva e gioia: tutti ingredienti che non si acquistano, ma che stanno rinchiusi nei nostri cuori.

Per concludere, una battuta: avrò raggiunto la “mia parità” il giorno in cui riuscirò a realizzare una torta buona quanto quella preparata per noi dalla signora Loi!

Come uomo riconosco che ogni “tocco di femminilità” arricchisce la mia persona come esperienza di sensibilità e di amore.

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Teatro e cabaret

Negli ultimi mesi la nostra vita è stata movimentata con la rappresentazione, nella cappella del carcere, di alcuni spettacoli teatrali: di cabaret, concerti e la proiezione del film “Scano boa”, creando anche situazioni di dialogo e confronto. Proviamo qui a fare alcune recensioni “nostre”, consapevoli che ogni momento di cultura e spettacolo lascia in ognuno di noi impressioni a volte limitate, ma anche molto spesso originali.

Il 18 gennaio, la compagnia teatrale “La cortina”, del circolo ANSPI San Benedetto di Grignano Polesine, ha rappresentato la commedia teatrale “Son stufa” di Mirca Gregnanin. L’interpretazione in dialetto veneto è stata ben compresa da tutti, grazie anche alla mimica ed alla bravura degli attori. In un mondo contadino che è parte ormai dei nostri ricordi lontani, dove la semplicità della vita rende genuini i rapporti tra le persone, si svolge quel “dramma quotidiano” che si risolve appunto nei divertentissimi meccanismi della commedia d’arte. “Bepi, Maria, le comari, l’ubriacone” sono interpreti della schiettezza, dell’arguzia e della furbizia che è “filosofia contadina”, come dei sogni o della rassegnazione che caratterizzano l’umana condizione. Alla fine trionfano l’amore ed i buoni sentimenti. Bravi! Bravi veramente.

Anche per l’aver recitato in uno spazio ristretto con le molte conseguenti limitazioni e difficoltà. E, se la commedia è terminata con un richiamo al titolo “Son stufa”... noi non eravamo stanchi di sicuro ed il nostro applauso ha avuto il significato di un invito a tornare e riportare la simpatia e la disponibilità tra queste mura.

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In quanti prima della proiezione del film si sono chiesti: “cos’è sto Scano boa?”. E’ un film documentario sul Basso Polesine negli anni ‘50. Girato circa due anni fa con attori che hanno saputo interpretare la loro parte con lo spirito della povertà e le risorse che il Polesine le offriva. La colonna sonora è stata realizzata con suoni originali, con i tronchi d’albero trasportati dalla corrente del Po e che man mano si ammassano nelle anse del fiume; essiccati, emettono con percussioni un suono particolare. Durante la proiezione erano presenti il regista, lo scenografo e l’autore delle musiche. Alla fine è seguito un lungo commento dello stesso Cibotto, autore del romanzo da cui è stato tratto il film, una persona dai modi squisiti; un critico che ha saputo illustrarci nei particolari com’è nata l’idea di girare il film. Ha dato un saggio di critica teatrale, impressionandoci con il suo vissuto di sacrifici e successi. Quando ha parlato dell’indimenticabile Pierpaolo Pisolini, l’ha fatto con un tale entusiasmo che lo stesso è sembrato essere presente tra noi. Ci ha stupito come ha definito la felicità: “una lastra di vetro che avvolge il mondo: quando si frantuma cadono dei cocci, ne raccogli uno, ecco, hai raccolto la felicità. E’ tanta o poca? Dipende da quanto grande è il coccio che hai... Quanto durerà? Chi lo sa?. E’ la tendenza che ha ognuno di noi nel volersi cimentare a capire quanto possa durare la felicità che abbiamo raccolto”.

 

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Il “Teatro Insieme” di Sarzano, frazione di Rovigo, ci ha proposto il dramma teatrale di Giovanni Testori “Interrogatorio a Maria”. Ingrediente principale l’ascolto con la disposizione alla partecipazione emotiva. I misteri della fede e della vita, l’uomo con le sue aspirazioni e le sue paure; il tutto spiegato in chiave religiosa, intesa in senso di testimonianza di Dio anche attraverso la quotidiana testimonianza del credente: essere se stessi, “gettare la maschera” e vivere la propria originale identità libera dall’ipocrisia e dall’egoismo. Parole e concetti che si sono tradotti in emozioni: per me di sicuro, perché, anche se come non credente, ho provato profonda tensione risolta infine dalla pace in me stesso. Il suono della chitarra e le diapositive, oltre alle voci fuori campo, hanno reso l’atmosfera alquanto coinvolgente. La bravura degli attori penso non si possa discutere, ma quello che mi ha più colpito è stato il capire quanto la loro interpretazione sia stata “vissuta”; infatti nel dialogo che è seguito, abbiamo potuto verificare le basi di fede religiosa dalle quali partono il messaggio e la testimonianza di questo gruppo. Vedo tutto questo anche come vero impegno sociale e mi dico che “non a caso” questi amici sono stati in mezzo a noi.

 

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A parte il divertimento, il “relax del cuore” e qualche ora passata diversamente vogliamo notare quanto per noi possano essere importanti i contatti, anche se momentanei, con le persone che a diverso titolo entrano in carcere per tenerci compagnia e per “dirci qualcosa”. Loro sono sicuramente la parte “più stimolante” della società a cui tendiamo per il loro impegno umano, per il volontariato che svolgono e per la solidarietà che esprimono. Tutto questo per noi è sperare, oltre che credere, nelle persone e nella comprensione ed aprire uno spiraglio al nostro futuro. Vogliamo anche ringraziare tutti i gruppi teatrali e musicali che, per motivi di spazio, non abbiamo “recensito” in queste pagine: con il cuore.

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Enaip/Casa Circondariale

Corso d’informatica. Consegnati gli attestati.

Da “Il Gazzettino” de1 20 febbraio 1997.

All’interno della Casa Circondariale di Rovigo si è svolta la cerimonia di consegna degli attestati ai detenuti che hanno partecipato al corso di “alfabetizzazione informatica”. Il corso, realizzato dal centro servizi formativi Enaip-San Giovanni Bosco, in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria, si è svolto nel periodo ottobre-dicembre 1996. Alla cerimonia, presieduta dalla direttrice del carcere, dott.ssa Casella, hanno partecipato l’assessore provinciale all’istruzione Bertoli, l’assessore provinciale ai servizi sociali Pasin, l’assessore comunale ai servizi sociali Romagnoli, la direzione dell’Enaip e il docente del corso.

La dottoressa Casella, soddisfatta per la presenza dei rappresentanti delle istituzioni, ha proposto all’assessore Romagnoli l’istituzione di borse di lavoro al fine di agevolare l’inserimento lavorativo dei detenuti e degli ex detenuti. Il direttore dell’Enaip, Lanza, ha sottolineato come l’intervento formativo, oltre ad avere un significato esplicito di acquisizione di elementi di professionalità, abbia permesso ai detenuti di sottrarsi ai ritmi ripetitivi della vita carceraria. Il docente del corso, Cassoli, ha esposto le finalità del progetto, che si proponeva di far acquisire agli allievi gli elementi di base dell’Office Automation. Ha inoltre espresso viva soddisfazione per la partecipazione e per gli ottimi risultati ottenuti.

Gli assessori si sono resi disponibili, affinché l’esperienza abbia un seguito nel tempo. L’assessore Romagnoli, infine, ha dimostrato interesse alla proposta lanciata dalla dott.ssa Casella in merito alle borse di lavoro. Anche gli assessori Bertoli e Pasin hanno espresso il loro impegno per sensibilizzare il mondo produttivo riguardo la problematica del reinserimento lavorativo degli ex detenuti. A tal fine si attiveranno per coinvolgere le associazioni produttive (in particolare quelle degli artigiani) con l’obiettivo di recuperare figure professionali che ormai stanno scomparendo.

 

Angoli di discussione

 

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Un’opinione a proposito della liberalizzazione di droghe leggere

La mia intenzione non è certo quella di proibire qualcosa a qualcuno: penso che ogni persona abbia diritto di scegliere, anche di sbagliare. Una legge può risolvere poco o niente, sia in un senso che nell’altro, perché il problema, dal mio punto di vista, non è la repressione o meno, ma una corretta informazione. Ornai l’uso delle cosiddette “droghe leggere” è un fenomeno largamente diffuso: ma che dire di alcol, tabacco, psicofarmaci ed altro? Come dell’impotenza di fronte all’inquinamento ambientale, alla sofisticazione alimentare e all’impoverimento culturale? E’ quindi evidente che “qualcosa non quadra” rispetto ai messaggi in senso generale, dettati dalle leggi o lanciati dai mass-media.

Parlo dal mio punto di vista di una esperienza di venticinque anni di tossicodipendenza e di devianza, purtroppo ancora abbastanza disinformato rispetto ai danni reali che in genere le droghe possono causare.

In questi ultimi anni ho recepito un messaggio importante: “Il problema non è la droga in se stessa”, ma la difficoltà del singolo ad affrontare la propria vita; oltre alle difficoltà oggettive dovute alla carenza di vere opportunità, soprattutto per i giovani, di esprimere la propria creatività.

Se, come penso, non è sempre vero che dallo spinello si passa obbligatoriamente all’eroina, anche questo comportamento, però, molto probabilmente evidenzia qualche disagio e disadattamento rispetto al “modello uomo “ che la società ci propone, o direi meglio impone.

La vera risposta sta, ripeto, nell’informazione, ma soprattutto nella proposta di valori diversi da quelli umanamente dissocianti di produzione-successo, sfruttamento-egoismo, sui quali è basato attualmente il nostro vivere sociale.

Una società che schiaccia l’uomo non può assolutamente considerarsi giusta. Nei fatti di ogni giorno: giovani demotivati, senza ideali e già stanchi di vivere, vite sprecate in una società decadente; altro che progresso!

L’intera società ha bisogno di una “curetta disintossicante” a parer mio!

Per ritornare al “problema”, in concreto, la risposta sta nel sensibilizzare, con un’informazione corretta, capillare e tenace, educando, contemporaneamente educandosi ai bisogni ed alle aspettative di ogni uomo.

Una “campagna culturale” che richiede convinzione e tempo, come volontà politica ed “amore sociale” per un uomo nuovo ed alternativo.

Altri rimedi saranno solamente palliativi e temporanei. (Quirino P.)

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Ancora sulla liberalizzazione delle droghe

La liberalizzazione delle droghe leggere è l’argomento che molti rappresentanti politici si stanno ponendo con insistenza, l’urgenza di discutere al più presto le varie proposte di legge giacenti in tema di legalizzazione della “cannabis” e dell’uso terapeutico degli oppiacei.

Il lungo testo delle premesse, presentato dall’area radicale, è improntato sul numero dei consumatori abituali di droghe e sulle morti per overdose, drammaticamente aumentate.

Viene ravvisata nella legislazione proibizionista il principale ostacolo alla riuscita politica, rivolta ad affrontare il problema delle droghe, mentre si propongono forme di sperimentazione, somministrazione legale di metadone. Questo deve suscitare scetticismo, non entusiasmo, il metadone è pur sempre una droga alla stregua dell’eroina, dopo di che il tossicodipendente è quasi sempre costretto ad aggiungere alla dose altra droga illecita in un contesto incontrollabile. Questa specie di somministrazione la chiamano “uso terapeutico”.

Il dramma attira l’attenzione per l’effetto negativo; sono rari i casi che allontanano da una profonda rassegnazione per poter dire “basta”.

Il testo delle premesse suscita molte perplessità perché sostanzialmente tende a ridurre tutto ad un’alternativa tra proibizionismo ed anti-proibizionismo.

La repressione penale e la messa al bando legislativo non bastano, non sono stati trovati rimedi adeguati a che la peste mieta vittime.

Gli unici enti a porre rallentamento sono le associazioni pubbliche e gli enti preposti e privati, che però sono drammaticamente inadeguati.

L’ammissione dell’inefficacia delle strategie non ci aveva mai indotti a riconoscere nella liberalizzazione una via d’uscita, non solo per il principio che impedisce allo Stato di farsi fornitore di sostanze che portano malattie e morte, ma per la rinuncia ad un’idea della persona e della vita, che comporta risposte ancora più difficili.

In questo contesto se la lotta alla mafia ha ottenuto notevoli risultati con le collaborazioni internazionali, non potrà certo avere gli stessi risultati se non diverrà oggetto della politica di quei governi che non hanno mai posto e imposto il divieto alla coltivazione, al commercio e allo spaccio delle droghe come punto fondamentale delle loro civiltà.

Alcuni comuni riaccendono questo dibattito per la liberalizzazione delle droghe leggere anche se la strage di tossicodipendenza continua e la guerra agli spacciatori è fallita, occorre solo promuovere i valori della persona con l’impegno degli enti preposti, la rieducazione del tossicodipendente tossico dipendente. (Mario C.)

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Buoni propositi

Come avete trovato il primo numero di “Prospettiva Esse”? Spero positivamente. Comunque sia, continuiamo nel progetto e nel cammino intrapreso presentando il secondo numero e ragionando ancora sui buoni propositi.

Prima di tutto, nel caso in cui il tempo trascorso fosse stato un disastro, armiamoci di buona pazienza e proponiamoci assolutamente di cambiare in meglio gli aspetti della nostra vita che non convince.

Perseguire un simile obiettivo non è affatto facile, occorre avere la volontà di agire e la voglia di rinnovarsi, non scoraggiandosi e, per raggiungere uno scopo qualsiasi, proporsi la meta.

Se invece è stato fortunato, non rilassiamoci troppo!

In ambedue i casi dobbiamo sforzarci molto per arrivare al meglio. Ci sono sempre dei buoni propositi che tutti noi dovremmo realizzare: aprire i ragionamenti “dei buoni propositi” depennando i vecchi; corteggiare e conquistare la meta che ci interessa.

Perché no?

Se ancora non ci siamo riusciti almeno tentare, assaporeremo i sicuri effetti benefici; apporteremo almeno un cambiamento nel nome dei “buoni propositi”.

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Pianeta carcere

La casa circondariale è il luogo al confine della realtà, un muro. Non è che tutti i cattivi siano di qua e tutti i buoni di là, è il posto dove vengono sbattuti i deboli e gli emarginati.

Il carcere è un luogo di disperazione, è come vivere in un mondo senza tempo dove si trova l’umiliazione, lo scempio di sentirsi solo un numero. Il carcere produce cose molto tristi.

Il tempo scorre lentamente e si ha la possibilità di pensare senza fretta alla propria vita e alle cose che individualmente hai fatto.

Ci si accorge di aver commesso degli errori e nella nostra interiorità non si fa altro che ripetere: “Se tornassi indietro tutto questo non lo rifarei più”.

Ci si sente impazzire, momenti che succedono con frequenza, si deve saper resistere, si deve trovare la forza per andare avanti.

Si deve resistere tanto per se stessi quanto per gli altri, per le nostre famiglie che sono fuori e che continuano a credere nella nostra forza e nella speranza.

Così non si fa altro che convincersi che con la violenza non si risolve niente, anche se poi le più tracimate disperazioni rimangono chiuse tra queste mura; così si fa l’impossibile per non covare rancore, odio, vendette.

In carcere ci si confronta sull’oggi, non sul passato.

Ci si sente persi, il più delle volte soli e senza speranze. Il coraggio di farcela non te lo insegna nessuno, lo si trova un poco alla volta, centellinato attraverso la sofferenza, e talvolta arriva proprio quando credi di non farcela più. In prigione ci sono le gerarchie, ci si deve dimenticare qualsiasi posizione sociale: le prigioni sono un “Ministero” con regole proprie, ci si deve organizzare la vita secondo i ritmi preposti se non si vuole essere distrutti.

La scansione dei tempo è importantissima, come lo sono l’uso dello spazio e l’attenzione del proprio corpo.

Ti organizzi per muoverti in due metri per tre, la misura della cella. Passeggi muovendo i piedi in un modo predeterminato; se fumi una sigaretta sai che è “quella sigaretta”; le poche parole che pronunci sono pesanti, ossia se dici una cosa devi mantenerla, pena l’espulsione dalla comunità.

In prigione le donne sono di carta, sono quelle con cui hai rapporti epistolari o quelle che vedi sui giornali.

Molti si mettono a disegnare paesaggi, ritratti con grandi cieli azzurri, ma quei cieli, oggi, sono tagliati da un filo spinato.

 

Voci dalla Sezione femminile

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Donne

Sappiamo quello che a noi “donne” sta veramente a cuore, far sapere a tutti che ci siamo, vogliamo essere ascoltate e prese in considerazione.

Un grido, un grido di speranza, di umanità ,d’amore.

Un grido che vogliamo sia sentito! Perché tutti sappiano che nei nostri cuori c’è Amore da dare e da ricevere.

Siamo una sezione di dodici donne, molte se ne vanno come un soffio di vento; noi ce ne andremo!

Ma prima di farlo vogliamo lasciare qualcosa di buono, di costruttivo. Qualcosa da dare, non per ricevere, ma per lasciare un’impronta, un’impronta profonda di speranza, per chi rimane e per chi se ne andrà.

Perché in questo mondo è bello essere ricordate non come detenute, non come numero di matricola, non come semplici (dette dall’opinione pubblica) “delinquenti”. Sì!? Forse lo siamo, ma nessuna di noi ha fatto realmente delle cose cattive e crudeli. Ecco il perché del nostro grido!

Come dicevo all’inizio, siamo in dodici donne e tutte abbiamo un gran desiderio di far capire alla società che le etichette non sono poi così vere.

E’ vero che abbiamo sbagliato, ma è anche vero che stiamo pagando.

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Amore

Sono una delle tante donne rinchiuse in questo istituto, da quasi nove mesi. Questo periodo mi ha fatto riflettere molto e mi ha fatto capire cosa voglio veramente da questa vita fino a ieri disastrata.

Ho 33 anni, le mie esperienze sono in buona parte negative in quanto il mio unico errore è di aver incontrato, molto giovane, la droga nel mio cammino.

Anch’io, come il resto delle mie compagne, ho vissuto in vari carceri, penali, punitivi, etc., etc.

Sono sempre entrata negli istituti con delle idee sbagliate; in questi istituti ho frequentato corsi, ma sempre con poco impegno.

Nel carcere di Venezia ho portato a termine degli studi che fuori non avevo avuto tempo per fare o, per essere più chiari, la mia testa non è mai al posto giusto nel momento giusto.

Beh! Con questo stupido gioco mi son vista volare via vent’anni della mia vita.

L’ultimo istituto da me frequentato è stato questo nel 1993. Uscii con le stesse idee di prima, quindi come prima cosa un “buco” (cioè l’ambiente), ho conosciuto la persona che ora amo più della mia vita, cioè mio marito.

Ci siamo innamorati e sposati subito; non nego che abbiano avuto brutte esperienze legate sempre allo stesso problema. In questo percorso è successo quello che a noi tossicodipendenti è inevitabile e cioè il carcere: prima a lui, dopo qualche mese io.

Entrambi in questo periodo di detenzione, abbiamo iniziato a costruire un futuro scoprendo delle cose stupende che già erano dentro di noi, ma soppresse dall’eroina. Nessuno dei due le aveva mia esposte; abbiamo iniziato un dialogo più sincero, più onesto ed è uscito il meglio di noi.

Lui è affascinato dal cinema, dalla fotografia e da molte altre cose, ma di tutto questo non ne parlavamo mai, in quanto tutti i nostri hobbyes erano come chiusi in un armadio.

Qui ho capito che la vita è bella e che sprecarla è proprio un’offesa a Dio.

Ora, la nostra comunicazione è cambiata, parliamo di tutto, tutto quello che è vita, parliamo sempre d’Amore, perché nel mondo questa parola è quasi irraggiungibile e la gente non ha più questi valori.

Sono una donna molto fortunata, sono riuscita a raggiungere quello che pensavo non esistesse. (Natalina)

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Pensieri

Che cos’è la mia vita?

Io sono qui, abbandonata da chi amo, sono privata della mia vita libera, se così si può dire.

Ho sempre fallito, dicono i famigliari, ma non è vero, sono in grado di fare molte cose, e tutti possono sbagliare, siamo persone, in fin dei conti. Ma forse la mia cocciutaggine, il mio orgoglio e il mio carattere impulsivo mi hanno e li hanno portati all’esasperazione.

Mi sono trovata in mezzo ad una strada, senza soldi, vestiti, insomma nulla! Lì ho conosciuto il buco. Ed ora sono qui in carcere, per me è la prima volta e speravo nell’aiuto del mio compagno di vita, del mio ragazzo, del mio uomo, speravo nell’amore che ci legava. Ma tutto è sparito come se fosse stato portato via da un soffio di vento. Le nostre strade si sono divise bruscamente, in un silenzio che mi faceva impazzire e con il quale ho imparato a convivere.

Molte volte ho pensato alla morte. Pensavo: “Non ho più motivi per vivere, voglio abbandonare il dolore del vivere quotidiano, voglio lasciare le preoccupazioni e i pensieri che in qualunque momento mi distruggono. Io non posso più continuare, voglio liberarmi da ogni peso che mi toglie piano piano i miei sentimenti più belli, rendendomi vuota entro nel mio cuore”.

Ma poi, vedendo le mie compagne, vedendole lottare con tutte se stesse, mi sono resa conto che la propria vita è un bene prezioso.

Lo so, ho sbagliato, e sto pagando per questo, ed ora anche se sono sola sto imparando, proprio perché sono sola, ad amare me stessa e nessuno potrà impedirmelo, anche se c’è chi tenta di portarmi all’autodistruzione mentale!

Devo lottare! Lottare prima per me stessa, e poi per riconquistare la fiducia delle persone che ho ferito profondamente. Devo lottare per rifarmi una vita, e… ce la farò! (Erika)

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L’Amicizia

E’ bello avere un amico a cui confidare le tue paure, le tue speranze, le tue aspettative.

Beh! Lui c’era ma io avevo ignorato tutto questo senza capire il vero valore della parola. Lui ha scoperto anche questo, lui mi fa sorridere, mi fa soffrire, mi fa sentire viva.

Entrambi siamo in carcere e logicamente abbiamo un rapporto epistolare.

Ci divertiamo molto, io senza le sue lettere non so stare, e la stessa cosa vale per lui. Ci siamo messi a giocare a scacchi (grazie alla direzione mi è stato concesso di tenere una scacchiera), se devo essere onesta non me la cavo bene, “anzi”, ma pure per me l’importante è partecipare.

Ho voluto scrivere questo perché sento di doverlo comunicare a chi ancora non ha trovato un amico o un’amica, io in questo istituto, fra il bene e il male, ho trovato tutto questo, per me vitale per continuare a vivere in questa società che ancora crede che tutto questo sia utopia, che questa mia voce sia ascoltata da chi come me pensava che l’amicizia fosse irraggiungibile.

Beh! Credetemi, sbagliarsi è bello (Natalina)

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Voli di dentro
(poesie e quant’altro)

La mia piccola ha i capelli lisci, lunghi come il grano

il suo viso è sereno, rosa come la luna

i suoi occhi parlano a voce alta, ridono come le stelle

la curva del naso profuma della sua bocca

è agile nelle proporzioni, sciolta

i suoi abbracci mi tingono di rosso

quando la abbraccio mi coloro di amore.

Michele

Quando stanca,

smetterò di pensare,

dormirò e il mio sonno sarà dolce perché

tu sarai lì ad offrirmi un fiore

di nessun valore

che avrai colto in un campo di grano

in una giornata di sole

pensando a me.

Rosa

LA MIA PICCOLA VITA

Adesso sono qui,

ma questo

non è il mio posto,

non può essere questo

il mio tempo.

Sento incessantemente

la mia Anima urlare

la sua sofferenza,

dirmi

che vuole fuggire via

da me.

Il suo pianto diventa sempre più forte,

e lacera i miei pensieri.

Troppo vuoto mi circonda;

e mi ritrovo

solo

in una dimensione senza senso.

Mille pensieri, mille paure

mi confondono e si sovrappongono

trasformandosi unicamente in dolore.

Capisco

di avere bisogno

di qualcuno…

ma nessuno

mi può raggiungere.

Gabriele

MALINCONIA

Guardo attraverso le sbarre

sento il rumore degli uccelli che cantano…

Quasi l’inverno è passato.

Malinconia, non mi prendere così

in tristezza!

Fammi vedere delle cose belle

che mi rendano felice e sereno.

Ti prego, malinconia,

trasformati in un sorriso

che non finisca mai

e mi faccia vedere lo splendore

della luce dei cieli quando

si trasformano in primavera…

Addio, malinconia!...

Fammi sognare

Giancarlo

QUELLA STRANA VOGLIA DI NON RASSEGNARSI

A volte ti senti inutile, estraneo, un eterno inganno.

Non trovi un’uscita che ti permetta di respirare.

Ti senti trasportato da una corrente

che non ti permette di comandare la tua mente.

Una nebbia che scende su di te,

per nascondere meglio i tuoi pensieri.

Un buio che ti avvolge e ti incute solo malvagie paure.

Incatenato dai perché, maledettamente solo,

tra dubbi e incertezze.

Vorresti parlare, gridare,

ma la tua voce si rifiuta di uscire.

E’ per questo che vorresti scappare,

lasciando tutto dietro di te.

I tuoi piedi però restano fermi, immobili, come fossero incollati al cemento.

Continui a restare fermo nello stesso punto, nello stesso istante, del tuo primo pensiero.

E’ un semaforo rosso che ti dice:

“Fermati a pensare”.

“A cosa?”.

“Alla vita!!!”.

Santina

Ascolta bene ciò che non ti dico,

ciò che vorrei dire,

ma che non riesco a dire.

Rosa

DONNE

Donne condannate, ad anni… forti… coraggiose.

La vita continua a bastonarle… un colpo,

e subito dopo… un altro!!

Compagne, maestre di vita… di dolore silenzioso,

di paure… donne che nonostante tutto…

insegnano ad avere coraggio…

lottando con pazienza…

perché la vita non finisce qui…

non finisce così…

la vita continua… perché fuori il mondo malato…

ci aspetta!!!

Rosa

SPERANZA

Anche se noi siamo in due punti del mondo con

un oceano infinito che ci separa,

ci sarà sempre un’isola in mezzo a noi,

chiamata “speranza”, che ci unisce!

 Rosa

Nella notte mi sveglio,

la mia mente spazia lontano nel passato e nel presente.

Il futuro,

mi appare come un grosso punto interrogativo.

Chiudo gli occhi e lascio che il ricordo di te

Si ingigantisca a dismisura,

rivivo le gioie che mi hai dato.

Rivedo i tuoi splendidi occhi sprofondare nei miei,

le tue mani intrecciate alle mie, giurandomi eterno amore.

E al buio il mio viso triste sorride!

A mio marito, compagno, amico!!

Rosa

AMICIZIA

Amicizia,

una parola dai molti significati,

usata molte volte

da chi non sa

quanto sia il suo vero valore.

Amico mio,

tu mi hai fatto conoscere

quanto sia bello

essere amici,

e quanto sia importante esserlo.

Tu sei l’amico di tutti,

ma soprattutto sei il mio unico

e grande

amico sincero.

 Erika

Se guardi nel profondo del tuo cuore,

io sono sempre stata lì ad aspettare

che ti accorgessi del mio cuore.

Rosa

SOLITUDINE

Soli, soli nel buio della notte

nelle lunghe e vuote giornate,

soli con i pensieri verso l’orizzonte

un orizzonte pieno di incertezze, paure, insidie.

Soli in queste metropoli di fango

dove i tuoi sentimenti sono come cerchi sull’acqua

che svaniscono con un nonnulla.

Soli in una strada lunga, faticosa, pericolosa.

Soli in una vita che non dà nulla;

nulla che sia bello.

Una vita che dà delusioni, paura e solitudine.

Tanta solitudine.

 Erika

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Lettera a…

 

Mi chiamo Douibi Rabai, ho 22 anni, sono algerino e mi trovo in Italia da circa 4 anni. Sono partito dal mio Paese carico di speranze e di buona volontà per “cercare la fortuna” e costruirmi un futuro diverso da noi ci sono povertà, ingiustizia sociale e pochissime opportunità per un giovane che cerchi la sua giusta collocazione nella vita.

In Italia la realtà mi si è presentata subito diversa da come l’avevo immaginata e la mia storia è simile a quella di tanti miei paesani immigrati: sfruttamento, intolleranza, emarginazione.

Ho provato in mille modi a darmi da fare e cercare un lavoro, ma non ce l’ho fatta, probabilmente debole, sfinito dalla mancanza degli affetti lontani, di una voce e di una mano amiche che mi aiutassero e mi incoraggiassero.

Il seguito è un racconto di sopravvivenza, di illegalità, di rapporti falsi e sempre più di sfiducia, forse mi sono anche illuso di poter guadagnare abbastanza per tornare in fretta al mio Paese e poter cominciare una vita decorosa e senza problemi. Invece ho incontrato la strada e la tossicodipendenza, la sofferenza e il carcere.

Ora il mio futuro mi appare di un colore ancora più nero di quando sono partito.

Qui in carcere cerco di vivere con dignità, ma senza una lira per i bisogni più stretti, senza contatti con la famiglia, senza lavoro né pace e prospettive. Ho però incontrato degli amici, dei bravi ragazzi che mi hanno incoraggiato a contattare il Ser.T., gli operatori, i volontari, la stessa Portaverta: partecipo agli incontri del giornalino, ascoltando e parlando dei miei problemi, come al “gruppo del giovedì”, dove parliamo della nostra situazione personale e di come poter migliorare il carcere.

Mi sono reso conto che io, come i tanti extracomunitari detenuti, oltre a tutto il resto subisco, in un certo senso, anche l’ingiustizia di non poter usufruire, in pratica, delle opportunità che la legge prevede per i detenuti italiani in genere: a questo mi ribello civilmente e, con tutte le mie forze e con l’aiuto che spero di ricevere, voglio tentare l’esperienza in comunità, dove poter trovare lo stimolo e l’aiuto per poter affrontare diversamente la mia vita.

Qui sto sprecando il mio tempo e non realizzo alcunché di positivo; uscire dal carcere per me non potrà significare libertà, ma ancora emarginazione e probabilmente il ripetersi del mio passato.

Vorrei anche essere di esempio per gli altri stranieri, per dare a tutti noi la speranza che una prospettiva diversa accende sicuramente nel cuore.

Diversamente, conoscete bene la nostra condizione nelle carceri: insofferenza, rabbia, autolesionismo, violenza, quello che assomiglia più ad una morte sociale che non all’espiazione di una pena.

Anche noi “marocchini” siamo esseri umani!

Ho sentito molte belle parole, in questi ultimi tempi, da tante persone, come dai rappresentanti delle istituzioni che sono venuti a trovarci in carcere; mi rivolgo un po’ a tutti affinché si cerchino le vie e le opportunità anche per il nostro reinserimento; il che significherà molto di più: la nostra integrazione in una società civile.

Anche noi possiamo dare il nostro importante contributo.

So bene che voi di Portaverta la pensate come me, ma questa mia lettera è da considerarsi “aperta”, cioè rivolta a chiunque possa e voglia darmi aiuto e solidarietà per risolvere quelli che sono “problemi veri”.

Con speranza,

Douibi Rabai

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