ANNO 2014

SOMMARIO anno 2014

  1. I diritti dei più deboli vanno difesi insieme (Livio Ferrari)
  2. Avvocato di strada: riconosciuto e premiato (Francesco Carricato)
  3. Il tempo (Rossella Magosso)
  4. La carità nel servizio (Federico Maronati)
  5. Minori e giustizia (Sergio Temporin)
  6. Dalla parte dei bambini (Paola Zonzin)

[Sommario]

I diritti dei più deboli vanno difesi insieme

di Livio Ferrari

 

La drammatica quotidianità

Stiamo percorrendo il ventiseiesimo anno di vita della nostra associazione in una stagione triste e faticosa per gli abitanti di questo Paese, accalcati dentro un tunnel buio di speranze dal quale, per ora, non si scorgono uscite.

Si è creato, nel corso degli ultimi anni, un solco profondo tra la gente, culturale prima ed economico dopo, che alimenta giorno dopo giorno un aumento di emarginazioni con una conseguente guerra tra poveri.

Le risorse materiali che scarseggiano o addirittura non esistono per una fascia enorme di popolazione sono contrapposte all’opulenza e privilegi discriminatori nei quali continua a vivere una minoranza di italiani.

A questo si accompagna una perdita di riferimenti, soprattutto per i giovani, un imbarbarimento vendicativo da parte di una frangia di coloro che amministrano la giustizia (rif. leggi carcerogene), una distanza abissale dalla realtà e dagli interessi della popolazione in cui versa il mondo politico, e chi è più in difficoltà ha meno mezzi per far fronte alla quotidianità, è calpestato e sopraffatto soprattutto nei suoi diritti.

Segnali di speranza

Nell’anno appena trascorso sono sorte in Italia molteplici e spontanee iniziative promosse a livello nazionale e locale dal mondo della solidarietà e dell’impegno sociale, che si contrappongono al mondo della corruzione e dell’accaparramento, che hanno riportato in primo piano la necessità di ridare fiato e dignità ai fondamenti della nostra storia: la Costituzione e la salvaguardia della fruizione dei beni primari come l’acqua e l’energia.

La responsabilità di tutti

Però tutto questo non può essere sufficiente, la sensibilizzazione che diventa coscienza e azione conseguente non può essere solo appannaggio di una fetta di italiani, ma deve spargersi in tutti i rivoli del nostro stivale e delle isole, con un coinvolgimento e una condivisione che tocchi tutti, perchè solo insieme possiamo difendere i diritti dei più deboli.

E’ oramai nella tradizione del Centro Francescano di Ascolto iniziare il nuovo anno con l’incontrarci, attraverso la nostra convention, un momento fondamentale di confronto e proposizione, che vuole coinvolgere tutto il territorio, per riflettere sul cammino futuro di impegno sociale da percorrere insieme e su quanto è necessario fare concretamente per alimentare progetti che diano senso alle esistenze e speranza a chi l’ha persa.

Sapere mettersi in gioco

Quest’anno l’impegno che ci siamo prefissi è di confrontarci sul tema: “I diritti dei più deboli vanno difesi insieme”, perché solo ritrovando una condivisione, da troppo tempo frammentata se non persa, il più aperta e larga possibile, nella fatica che ognuno può avere a comprendere le vite disperate e le scelte di frontiera, possiamo ridare colore alle speranze e al futuro, disegnare nuove e più giuste strade di legalità, reciprocità, pace e giustizia.

Con questa nuova occasione abbiamo pensato di confrontarci su questi temi insieme a compagni di viaggio da anni immersi nel sottobosco della solidarietà, per uno scambio di esperienze che possa aprire nuovi squarci di “possibilità”, di azioni da promuovere soprattutto per coloro a cui sono tolte quasi tutte le possibilità. Per quelle persone a cui sono negati i diritti e gli abbracci, che divengono troppo spesso oggetto di discriminazione e separazione dai territori di appartenenza, perché queste “possibilità” possano alimentare calore ed accoglienza, rispetto e opportunità, dando significato a queste esistenze troppe volte non amate e ancor di più calpestate.

Confronto e scelte

Ecco, perciò, che questo nostro appuntamento diventa una occasione di confronto e dialogo rivolta a tutti coloro che hanno ancora il desiderio di conoscere e comprendere, di non dare nulla per scontato. A quelli che ritengono di poter mettersi una volta di più in gioco, per un’esistenza che si nutri di rinnovati significati ed azioni, di riflessioni e scelte conseguenti, nella volontà di farsi promotori di cambiamenti per tutti quegli occhi che quotidianamente incontriamo e che ci interrogano.

L’anno appena trascorso

Oltre ai servizi e sportelli dell’associazione, che quotidianamente si interfacciano con le persone che vi transitano per quelle fatiche e disagi a cui cerchiamo di rispondere, altri e diversi sono stati gli impegni portati avanti nel 2013, che si sono conclusi con la realizzazione di un corso di formazione ”Minori: da problema a risorsa”, fatto in collaborazione con il Centro di Servizio per il Volontariato e che ha visto 27 partecipanti, 16 dei quali hanno poi esternato un interesse a intraprendere un’attività nella nostra associazione. Un corso nato dall’esperienza dello Sportello Pinocchio, un’esperienza che ha ormai tre anni e attraverso la quale ci poniamo a fianco di ragazzi e ragazze che sono inciampati sulle strade dell’adolescenza, un momento particolare e importante, nel quale diventa fondamentale l’apporto della famiglia e delle figure adulte di riferimento, che spesso sono proprio quelle che mancano o che alimentano gli errori.

Andando a ritroso nel corso dell’anno troviamo il nostro impegno all’interno dei percorsi scolastici, con apposite lezioni rivolte agli studenti delle scuole medie superiori della città, sul carcere e la devianza minorile. C’è stata l’occasione, proprio in concomitanza con il corso di formazione, di portare ad un incontro con gli studenti don Ettore Cannavera, cappellano del carcere minorile di Quartucciu (Cagliari) e fondatore della Comunità di accoglienza La Collina di Serdiana (Ca).

Un altro appuntamento è stato organizzato nella Casa Circondariale di Rovigo, insieme all’associazione Viva la Costituzione, e ha visto il giudice di cassazione Domenico Gallo incontrare le persone detenute per parlare loro della nostra Carta per un incontro di forte tensione.

“Prospettiva Esse” è la rivista dei detenuti del carcere di Rovigo, nata alla fine del 1996 e da sempre curata e coordinata dai volontari del Centro Francescano di Ascolto, che raccoglieva i contributi delle persone ristrette nelle sezioni maschile e femminile. Dal mese di marzo l’impegno è rimasto solo appannaggio degli uomini in quanto è stata chiusa l’ala occupata dalle donne, di cui non è prevista la presenza neanche nel nuovo carcere in costruzione. Dallo scorso anno siamo diventati anche proprietari della rivista stessa in quanto la direzione dell’istituto penitenziario locale ha ritenuto di chiederci questa disponibilità e cedere questo tipo di responsabilità. Nel mese di giugno, poi,sono finalmente riprese le pubblicazioni, dopo uno stop “forzato” di un paio d’anni, anche se i problemi non finiscono mai...

Le novità che si affacciano

Il nuovo anno, da poco iniziato, ci vedrà impegnati anche in nuovi progetti, due soprattutto.

Il primo sarà rivolto agli studenti delle scuole medie superiori cittadine per un’attenzione e un dialogo rivolto a quei ragazzi ritenuti “difficili”, per far emergere le problematiche che stanno alla base di queste criticità e cercare di superarle prima che diventino problemi; della serie: è meglio prevenire che curare. In tutto questo saremo spalleggiati da un gruppo di insegnanti per un’attività che ha la necessità primaria di essere tessuta in rete, coinvolgendo più soggetti possibili.

E’ un progetto pionieristico nel nostro Paese, dove pochi altri simili tentativi sono in corso e di cui, confidiamo, il prossimo anno iniziamo a vederne i colorati contorni.

Il secondo è di natura culturale e desidera prima di tutto creare conoscenza e condivisione tra diverse realtà del territorio, dalle associazioni ambientaliste a quelle di impegno sociale. Tutto questo per poi offrire al territorio una serie di iniziative che tocchino temi e nervi scoperti della nostra esistenza, dei nostri rapporti, della comunicazione, dello sport, dei principi costituzionali, della carità, etc.

Uno degli obiettivi della nostra associazione è anche quello di ridurre sempre di più l’autoreferenzialità in cui vivono tante importanti realtà del nostro territorio, per parlarci di più, arricchirci vicendevolmente attraverso le nostre diversità di impegno, nella finalità di poter essere più uniti nelle scelte che servono a migliorare la qualità della vita, che non è solo cosa nostra ma cosa di tutti.

 

 

 

 

 

 [Sommario]

Avvocato di strada: riconosciuto e premiato

di Francesco Carricato

Il 2013 è stato un anno molto importante per “Avvocato di Strada”, dal momento che la nostra associazione nazionale di riferimento ha ottenuto dal Parlamento Europeo il riconoscimento del Premio Cittadino Europeo 2013.

Lo Sportello di Rovigo è stato presente sia alla consegna ufficiale del premio, avvenuta a Bruxelles nei giorni 15-17 ottobre, sia alla cerimonia italiana, tenutasi a Firenze il 20 settembre.

A Bruxelles è andata Aurora Vallin, e qui di seguito riporto testualmente le sue brevi impressioni, osservazioni, emozioni in questa importante occasione.

“Lo scorso 16 ottobre ho avuto l’onore, nonché il piacere, di partecipare, assieme ad una folta delegazione di avvocati provenienti da tutta Italia, alla cerimonia di premiazione del premio cittadino europeo 2013. L’evento si è svolto presso l’edificio Shumann, sede del parlamento europeo di Bruxelles.

La premiazione è stata preceduta dalla visita all’edificio, guidati da un funzionario italiano, molto preparato sul tema dell’integrazione europea, così che la visita si è ben presto trasformata in un dibattito su tematiche di respiro europeista, reso sicuramente più interessante dall’aver focalizzato l’attenzione su problematiche concrete sia della professione che dell’attività di sportello (comunque professionale) dei partecipanti.

La premiazione, nel pomeriggio di mercoledì, è durata all’incirca un’ora, con il discorso del presidente del parlamento europeo Schulz, tenuto dallo stesso in inglese, francese e tedesco, è stato teso a sottolineare l’importanza del ruolo svolto, nelle rispettive Nazioni, e non solo, dalle diverse persone, ed organizzazioni coinvolte. In una fase storica in cui gli anti-europeisti prendono sempre più piede all’interno dei vari Stati membri, ha detto il presidente Schulz, le associazioni che operano nel rispetto e nell’attuazione dei valori comunitari sono i veri eroi dei nostri giorni e dell’Unione Europea intera.

A conclusione della cerimonia è stato particolarmente commovente il discorso tenuto, in Francese, da Boris Pahor, scrittore sloveno di 100 anni, che ha dedicato la sua opera al ricordo degli eccidi e dei campi di concentramento, nel quale ha intimato a tutti i presenti di non abbassare mai la guardia, di non abituarsi al brutto ed alle ingiustizie, anche se spesso prodotte in forme più sottili”.

A parte i riconoscimenti “formali” è proseguita silenziosa, ma non per questo meno efficace, la nostra attività a tutela degli ultimi e di chi è privato dei propri diritti, che ci ha visto affrontare casi giudiziali e stragiudiziali per tentare, ove possibile, di dar voce a chi ne è privo.

Abbiamo poi partecipato, con il sottoscritto, Arabella Brognara, Marta Cagnato e Patrizia Donzelli alla “Notte dei senza dimora”, tenutasi il 17 ottobre, ed altresì a molteplici incontri del Coordinamento delle Associazioni di Volontariato che si occupano di carcere e di persone senza fissa dimora.

Abbiamo poi preso contatti con l’Università di Ferrara, Facoltà di Giurisprudenza di Rovigo, per andare a “presentarci”, in modo da farci conoscere a chi un domani potrà diventare, se lo vorrà, un volontario dello Sportello; nel 2014 dovremmo anche riuscire ad entrare in un’Assemblea di Istituto di una Scuola secondaria superiore.

Nel 2013 si è anche verificato un certo turn-over, dal momento che alcuni “storici” volontari dello Sportello rodigino ci hanno salutato e sono arrivati diversi giovani, laureandi o neo-laureati, pieni di energia e di entusiasmo, frutto anche del corso di formazione tenuto da Livio Ferrari a fine 2012; credo che questo sia da salutare positivamente, quale segno di rinnovamento e di vitalità della nostra esperienza, pur con tutti i limiti che ci connotano.

Un ringraziamento, vero e non formale, a chi è stato un compagno di viaggio in questi anni, contribuendo con la propria opera a far crescere lo Sportello di Rovigo.

Concludo con le parole di Patrizia, che ci lascia dopo sette anni insieme; a Lei il GRAZIE con le maiuscole, per l’arricchimento che ha portato a tutti noi conoscerLa.

Ecco le sue parole: “Lo sportello di Avvocato di Strada offre tutela legale gratuita e qualificata alle persone senza fissa dimora: adesso lo so. Quando ho iniziato no. Mi attirava l’idea di poter aiutare chi era finito a vivere in strada, cercare di farlo tornare a vivere una vita “comune”.

Se chiudo gli occhi rivedo le prime riunioni, il gruppo di avvocati che ha costituito lo sportello di Rovigo, chi è passato e chi si è fermato, i tanti pomeriggi di ricevimento e ascolto, le iniziative organizzate e l’ansia di riuscire a terminare lo stato dell’arte, cioè la “fotografia” dell’attività dell’anno, cosa non facile per chi, come me, non è avvocato”.

Quest’anno cosa succederà? L’ultima riunione, prima di Natale, ha visto la partecipazione di un folto gruppo di giovani: donne, avvocati e futuri avvocati, un segnale evidente della volontà di continuare a difendere i più deboli.

 

 

 

  [Sommario]

Il tempo

di Rossella Magosso

 

Il tempo implacabile, insensibile, ingiusto a tutto ciò che incontra, il tempo che viene, veloce come il vento di primavera, calmo come il mare d’estate e feroce come il fuoco.

Con il tempo si ottiene tutto e con il tempo si perde tutto.

Viaggia veloce, accarezza volti e anime, ti lascia solo se lo vuoi, l’opportunità di voltarti e vedere ciò che hai lasciato alle tue spalle.

Da aprile 2013 la sezione femminile della Casa Circondariale è stata chiusa e tutte le ragazze sono state trasferite in altre carceri.

Mi mancano, mi mancano molto, è una stretta al cuore quando penso a loro.

La nostalgia dei nostri incontri, delle nostre lunghe chiacchierate, fatte di disagio e speranze, delle nostre risate, si fa sentire. Le loro impensabili storie… erano diventate parte della mia vita. Un percorso per me straordinario, una lezione di vita non indifferente, una crescita interiore notevole, tutto ciò mi ha aiutata a vedere con occhi diversi le incomprensioni, l’indifferenza, la scarsa sensibilità delle persone ed i problemi che quotidianamente si incontrano.

Il condividere con loro emozioni e sentimenti hanno lasciato nel mio cuore calore, amore , ardore, non facili da raccontare. Con la loro anima sono riuscite a coinvolgermi emotivamente e psicologicamente lasciando in me un vuoto per ora incolmabile…

Alcune di loro scrivevano così:

“Dopo la catastrofe” di Claudia - Vi adoro donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo: sono nuova, come una gemma in fiore, come un fresco ricciolo biondo, perchè tutti devono capire e vedere. Attenti cantiere aperto, stiamo lavorando per voi, ma soprattutto per noi stesse; più dell’alba, più del tramonto, più di un volo di un uccello. Una donna in rinascita è la più grande meraviglia per chi la incontra e per se stessa; è la primavera a novembre quando meno te l’aspetti.

“Recupero” di Lucia . - In carcere non c’è lavoro e cosa può fare chi non ha niente con cui ricominciare, e che in passato l’unico modo per sbarcare il lunario era quello di delinquere? Senza processi alle intenzioni vi lascio con questo dilemma a cui sinceramente neanche io so dare una risposta, le carceri continuano a riempirsi e la maggior parte sono tutti recivi, ci sarà futuro? Se si come sarà? -

“Eroina” di Daiana - Spezzo le catene di ferro per liberarmi, per vivere davvero, non ricascarci più perchè tu sei un burrone senza fine! Desideravo la “falsa libertà” per evadere dai problemi e dai dispiaceri. Lasciami cambiare vita nel modo giusto senza di te, lasciami cancellarti per sempre dalle corde della mia memoria e vederti come un brutto incubo … non sono più una ”falsa eroina” della tua “guerra infinita” non posso cambiare il mondo, ma di sicuro cambierò me. Con il tempo tutto è possibile, è ciò che ci sorprenderà sempre, non si può prevedere ma volenti o no arriverà. -

Dalla loro dipartita vado nella sezione maschile, un confronto non indifferente per me donna. Una scommessa con me stessa, ... spero di vincerla.

Ho iniziato con i colloqui individuali ed ora, insieme a Bruno e Mario incontriamo un gruppo di detenuti per un momento chiamato “di riflessione”, dove si promuove anche lo scrivere di articoli che poi trovano posto nel periodico “Prospettiva Esse” il giornalino del carcere.

Un’impresa ardua, con gli uomini è più complesso instaurare un rapporto confidenziale e di amicizia. Sono riluttanti a raccontarsi e scoprirsi, far conoscere le loro fragilità, i loro errori. Si sanno nascondere bene dietro ogni pretesto e contesto, non è un percorso semplice con loro, ma fiducia, costanza e speranza spero non mi abbandoneranno. Perciò è una scommessa che faccio con me stessa, spero di riuscire almeno a farmi accogliere e poter condividere anche con loro un percorso vero e costruttivo.

 

 

 

 

  [Sommario]

La carità nel servizio

di Federico Maronati

 

Perché fare servizio di volontariato? Perché mettersi a disposizione degli altri?

Ai fini dell’obiettivo, che è offrire aiuto a chi si trova nel bisogno o privato dei diritti, tutte le motivazioni e spinte che portano una persona a mettersi a disposizione per definizione vanno bene: l’altruismo, la responsabilità sociale, il tempo libero, la necessità di effettuare un tirocinio professionale, ecc.

Dall’altra parte i volontari molto spesso incontrano persone che per le loro situazioni e storie di vita non possono certo scegliersi il volontario ad “hoc”! Come una persona che sta per essere trascinata da un torrente impetuoso, si devono aggrappare al primo ramoscello che in quel momento passa vicino, anche se esile!

Aiutare una persona in un determinato momento della sua vita è come offrire del cibo a chi ha fame, tutto bene! Tutto positivo! E anche abbastanza facile per chi come me di cibo ne può avere in sovrabbondanza! Insegnare però a quella stessa persona a provvedersi il cibo, penso sia un po’ più impegnativo e faticoso, perché significa aiutarlo a prendere in mano la propria vita in modo responsabile, soprattutto se dobbiamo farlo stando all’interno della sua storia e non della nostra.

Parlare di carità non è facile, il termine carità si presta ad essere limitatamente interpretato e identificato come “fare della carità”, che può essere di tipo immateriale o materiale. Non è questa o quanto meno non dovrebbe essere solo questa la carità che pervade il servizio di un volontario, ma quella carità che fa rima con dignità .

Si perché le persone private dei propri diritti innanzitutto sono private della dignità di essere uomo e/o donna. Vivere in una condizione di bisogno e/o di dipendenza da qualcosa o da qualcuno, significa innanzitutto vivere privati del diritto alla propria dignità.

È qui che si inserisce la carità, quella carità che restituisce dignità a chi la riceve e che può essere imparata e acquisita da colui che gratuitamente ci ha donato la vita e che per salvarci dalla nostra condizione di fragilità umana è morto in croce, “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, Mt. 11, 2-11. Tutti abbiamo ricevuto dei talenti, chi più chi meno, e tutti saremo chiamati a rendere conto del tanto o del poco ricevuto.

Quella carità incarnata di San Francesco di Assisi nell’amare e accogliere tutti, forse perché lui per primo ha fatto la stessa esperienza di sentirsi accolto e amato.

Quella carità fatta innanzitutto di misericordia, di amore, accoglienza, condivisione del prossimo, non del giudizio o anche del tecnicismo del fare per...

Quella carità intrisa di consapevolezza che non siamo migliori di nessuno, forse solo più amati o fortunati a seconda dei valori nei quali crediamo.

In quanto volontario, almeno per quel che mi riguarda, il rischio che il servizio possa diventare una sorta di “lavatrice” esistenziale ed arrogarmi la presunzione di essere un po’ migliore di altri o comunque a “posto” con me stesso perché faccio qualcosa per gli altri è sempre molto alto.

Certamente sono importanti le azioni del “fare” che si compiono rispetto le persone che vivono privati dei propri diritti e/o in particolari situazioni di bisogno, per cui assume un ruolo fondamentale la consapevolezza e competenza operativa del “come fare”, ma se tali risorse non vengono amalgamate dalla carità, quale espressione di misericordia, rischiano di diventare “attività non retribuite” i cui destinatari sentiranno tutto il vuoto ed il gelo del nostro “fare”.

 

.

 

[Sommario]

Minori e giustizia

di Sergio Temporin

 

Non molto tempo fa, trovandomi a parlare con degli amici, ho avuto l’occasione di argomentare a grandi linee sul cosa succede normalmente in Italia ad un minorenne che commette un reato.

Senza entrare troppo nei dettagli giuridici e nelle procedure burocratiche, ho spiegato come esista una legge, da ormai un quarto di secolo, che permette al giudice minorile di offrire al giovane reo la sospensione del processo, per un periodo più o meno lungo, durante il quale testarlo sulle sue reali volontà e “metterlo alla prova”.

Praticamente un periodo nel corso del quale il ragazzo o la ragazza dovrà dimostrare di voler camminare nella legalità, e questo anche attraverso l’osservanza delle prescrizioni da rispettare: tipo andare regolarmente a scuola, fare dei servizi nel mondo del volontariato, tenersi lontano da sostanze che possono causare dipendenza (o iniziare ad uscirne) ecc. Inoltre, se possibile, incontrare e fare atti di tipo riparativo nei confronti diretti della/e vittime del reato stesso.

Una visione alta e moderna della giustizia!

Al termine del periodo, in seguito al positivo svolgimento delle prescrizioni e notata una evoluzione della personalità del minore, il giudice dichiara estinto il reato e chiude la procedura a suo carico.

Altrochenò! Se si considera che nel nostro Paese (ma tanti non vorrebbero che fosse vero) NON esiste una emergenza minorile, possiamo anche vantarci di avere un sistema normativo penale minorile assunto a modello anche a livello internazionale.

Ricordo le facce dei miei interlocutori, alquanto basite per le mie argomentazioni e non propriamente in linea con il mio entusiasmo. Le miei considerazioni sulla legislazione minorile italiana erano state accolte con freddezza ed un certo visibile disappunto. Insomma, era parere unanime di quel variegato gruppo di adulti che la legge fosse troppo buonista e permissiva nei confronti dei giovani “delinquenti”.

Quel giorno non ebbi la forza di reagire, anche perchè non mi spiegavo tanta ottusità sull’argomento da parte di persone a me così vicine.

Più tardi, cercai di “consolarmi” constatando attraverso una ricerca in internet di come sia statisticamente prevalente il pensiero repressivo nei confronti dei minori, insomma, il cittadino medio si sentirebbe più sicuro se la legislazione minorile fosse più repressiva!

Incredibile. In una società che tollera (anzi, un po’ di più direi, ammicca?) una evasione fiscale enorme, causa principe della perdita di importanti pezzi di welfare, che si tiene una classe politica che quando non è corrotta è assolutamente incapace, una società che non ha mai voluto diventare adulta rinnegando il merito e promuovendo il nepotismo e il clientelismo … ebbene ... no! Il ragazzino che sbaglia dovrebbe essere punito, bacchettato ed essere esposto al pubblico ludibrio.

Probabilmente ci si fa grossi quando il nemico è debole!

Invece, la saggezza del nostro legislatore, quando fu fatta questo tipo di scelta, fu proprio nel riconoscere per il minore anomico la necessità di dover percorrere strade nuove ed alternative.

Di aver compreso che per un individuo che non ha ancora completato un percorso di crescita fisica, culturale, morale ed affettiva, il compimento di un reato rappresenta prima di tutto un campanello d’allarme di un qualcosa che si è inceppato.

A volte è anche una carenza valoriale, ma spesso è solo una richiesta d’aiuto messa in scena con gesti e/o comportamenti estremi.

Dovremmo impegnarci un po’ di più ad ascoltare i nostri “piccoli uomini e donne”, coinvolgere e coinvolgerci nel “nostro” e nel “loro” mondo, solo così potrebbero cadere inutili barriere e diffidenze che spesso producono situazioni difficili.

E’ necessario, per una società complessa come la nostra, non lasciare ferite aperte con le giovani generazioni, è un dovere fisiologico ricucire bene, rimarginare con calma, curare con amore.

Affinché chi incespica possa essere aiutato a rialzarsi il più presto possibile e gli vengano dati quegli strumenti che gli consentano, in seguito, di essere più attenti, più vigili, ma anche con la possibilità, se non la sicurezza, di non essere più soli.

 

 

 

 

 

  [Sommario]

Dalla parte dei bambini

di Paola Zonzin

 

La mia alunna Nina è sempre sorridente, le piace scherzare e non si abbatte facilmente; in ricreazione mi si avvicina con in mano uno dei suoi grandi panini al prosciutto e mi abbraccia, oppure corre incontro alle sue amiche per chiacchiere fitte. Eppure, tutte le volte che in classe affrontiamo temi che hanno a che fare con ragazzi in difficoltà, con infanzie difficili o con percorsi di crescita ad ostacoli, lei si rivolge a me con uno sguardo di intesa, senza parlare e senza perdere il sorriso, e vuole dire: “Lei sa che cosa ho passato io”.

Nina si mangia le unghie fino a farsi uscire sangue e soffre di crisi d’ansia. L’ha molto sollevata, però, quella volta in cui io, presa dalle mille cose da fare, ho detto alla classe: “Mamma mia, ragazzi, quasi quasi dall’agitazione mi manca il respiro”…anche a lei capita la stessa cosa.

Il padre di Nina è stato sei mesi in carcere, quando lei era alle elementari e il suo fratellino era appena nato; solo da pochi mesi, lei adesso ha 14 anni, dopo un’attesa lunga e angosciante per tutta la famiglia, ha avuto la sentenza definitiva e la certezza di non dover più tornare dentro.

Sono centomila i bambini in Italia ogni anno colpiti dalla detenzione di uno o entrambi i genitori: sono innocenti che scontano la pena del distacco, dell’emarginazione sociale, del giudizio degli altri per colpe che non hanno commesso. È evidente che l’interruzione o la dequalificazione dei legami con mamma e papà è particolarmente devastante nei primi anni di vita, ma può essere causa di sofferenza e profonda ferita all’identità anche in seguito. Si tratta di una sofferenza grave, quasi una ferita fisica, che andrebbe per quanto possibile evitata.

Questi bambini, invece, cominciano la loro vita su una strada in salita, che richiederebbe di essere percorsa con il sostegno dovuto, in cui la fatica dovrebbe essere quanto più possibile alleviata e accompagnata.

Al contrario, la struttura penitenziaria ed in particolare i modi, i tempi e i luoghi per i colloqui non tengono in considerazione la sensibilità e la sofferenza dei figli dei detenuti. Spesso le sale per i colloqui sono posti squallidi e anonimi, troppo ristretti i tempi dell’incontro, quando invece un bambino ha bisogno di calma per riallacciare un rapporto con un genitore da cui è stato allontanato; certamente non mettono a proprio agio i bambini la divisa e la presenza degli agenti, le sbarre alle porte e alle finestre, i pesanti mazzi di chiavi che aprono e chiudono i cancelli, le attese in sale d’aspetto spoglie.

Nella formazione dell’identità di ogni bambino è fondamentale sapere di avere un padre e una madre, riconoscerli e sentirsi riconosciuti e importanti per loro; è perciò un dolore per il bambino quando questi eventi lo inducono a mettere in discussione e a svalutare queste figure fondamentali, fondanti, direi, e quando si sente costretto a pensarla con vergogna.

Alcune statistiche dimostrano che il 30% dei figli di detenuti finiscono a loro volta in carcere: è un dato allarmante, che sembra sostenere che le colpe dei padri sono ingiustamente destinate a ricadere sui figli; d’altra parte tale esito non è difficile da ipotizzare, visto che il compito di crescita di un figlio di detenuti è doppiamente difficile: il genitore rappresenta non un modello da imitare ma da cui prendere le distanze, per non ripercorrerne la strada, col rischio di arrivare a rifiutare del tutto il suo ruolo e la sua presenza; inoltre il figlio di detenuti ha opportunità in meno e difficoltà in più da affrontare, non ultima l’emarginazione sociale legata alla detenzione del genitore.

Quello dei figli dei detenuti è dunque un tema delicato, di cui però spesso le strutture carcerarie non riescono a farsi carico, affidandolo alle iniziative dei volontari.

Il punto di partenza per aiutare questi piccoli innocenti è la considerazione che solo una regolare consuetudine e una relazione affettiva consolidata, in cui la comunicazione non sia interrotta o alterata, permettono di preservare il rapporto parentale e di non indurre i ragazzi, sia pure con sofferenza, a sfuggirne.

Esistono alcuni esempi interessanti di come alcune associazioni di volontariato abbiano cercato di dare risposte a queste esigenze.

Nel carcere di Bollate i volontari di Telefono Azzurro hanno allestito e gestiscono una ludoteca in cui avvengono i colloqui e dove i bambini possono giocare prima e dopo l’incontro con mamma o papà; nell’attesa non sono da soli ma animati da volontari che attraverso l’attività ludica li aiutano ad esternare e superare le tensioni, i timori che accompagnano l’incontro col genitore recluso e l’ingresso in una struttura che spaventa e di cui sfuggono le regole e i meccanismi; la ludoteca è colorata, arredata in modo funzionale ai piccoli e anche agli adolescenti che troveranno un angolo dove ascoltare la musica.

All’interno di questo spazio si possono anche festeggiare compleanni o ricorrenze religiose. I volontari che vi operano non improvvisano la loro azione, ma sono formati per proporre interventi mirati e corretti, di vero aiuto a genitori e figli in quegli incontri così delicati

 Anche nel carcere di San Vittore opera dal 2002 l’associazione “Bambini senza sbarre” che si è posta l’obiettivo di offrire sostegno e di seguire dal punto di vista psico-pedagogico proprio i figli dei detenuti.

All’interno del carcere è stato creato lo Spazio giallo dove avvengono i colloqui e dove gli operatori formati ad hoc non solo seguono i bambini, ma forniscono anche consulenza ai genitori, per aiutarli a tenere vivo e sano il rapporto temporaneamente a distanza con i figli.

Tali strutture risultano tanto più importanti se si considera che durante il tempo della reclusione non è solo necessario mantenere il legame genitore-figlio, ma spesso anche recuperarlo e ricostruirlo: infatti non è raro che la genitorialità sia compromessa ancor prima dell’ingresso in carcere. Ancora una volta, grazie ad interventi di sostegno mirati, il tempo di reclusione potrebbe diventare un tempo di opportunità e davvero si potrebbe realizzare l’art. 28 dell’Ordinamento Penitenziario che recita: “Rapporti con la famiglia. Particolare cura é dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”. Ancora una volta l’azione competente del volontariato risulta essenziale alla concreta realizzazione delle norme vigenti.

In conclusione, una riflessione sulla legge che consente alle madri detenute di tenere i figli con sé fino al compimento del terzo anno di vita. Ciò determina un doppio trauma per i bambini: trascorrere i primi e fondamentali anni di vita reclusi per dover poi affrontare bruscamente il distacco dalla madre. Da più parti, dal mondo del volontariato in primis, si chiede a gran voce l’abrogazione di tale norma e l’attuazione di soluzioni alternative.