ANNO 2010

SOMMARIO anno 2010

  1. La storia siamo noi, nessuno si senta escluso (Livio Ferrari)
  2. Nel 2009, sulle strade della solidarietà
  3. Il mio abbraccio... (Rossella Magosso)
  4. Avvocato di strada e per strada (Francesco Carricato)
  5. Via Mure Soccorso, 5 (Fulvianna Godino)
  6. Vivere... senza malinconia... (Leopoldo Sartori)
  7. Il paradosso del lavoratore (s)contento (Alessandro Sovera)
  8. Passaggio di testimone... per la luna (Irene Rigobello)
  9. Dall'ascolto all'accoglienza (Fabio Furini)
  10. Lo sportello a colori un anno dopo! (Annamaria Visentin e Alessandra Galozzi)
  11. Immigrati: integrazione possibile? (Paola Zonzin)

[Sommario]

La storia siamo noi,
nessuno si senta escluso

di Livio Ferrari

 

“Dare il nome giusto alle cose è un gesto rivoluzionario” diceva Rosa Luxemburg, e oggi più che mai c’è la necessità, soprattutto, di chiamare le persone con il loro nome e, si badi bene, anche i fatti della nostra quotidianità, siano essi di cronaca o di politica, siano infine concetti!

Questo perchè all’inizio di questo 2010 ci troviamo di fronte a una colossale operazione manipolatoria del linguaggio e di conseguenza delle coscienze. Molte sono le cause che hanno portato ad una simile situazione, prima fra tutte, forse, la diffusione del web e delle nuove tecnologie. Ma quello che è cambiato nel tempo e probabilmente molti sarebbero d’accordo nel dire che è peggiorato, si è impoverito, si è uniformato, è il linguaggio usato dalla politica e dall’informazione che sta al servizio, meglio al sussiego, della politica.

Certamente altre concause si sono via via aggiunte, ma il nocciolo della questione è che attraverso questo processo si è creata una omologazione nel linguaggio, tanto che se uno ascolta un discorso che non contiene esplicite prese di posizione e si concentra esclusivamente sulle locuzioni utilizzate, salvo che l’ascoltatore non sia particolarmente abile e dotato di antenne sensibili, si ha difficoltà a distinguere la collocazione dell’interlocutore politico.

Parto da questo scadimento per analizzare tutti gli altri “impoverimenti” che si stanno producendo nella nostra società in maniera inarrestabile. Dalla scuola alla difesa dei diritti dei più deboli e dei lavoratori, dalla tutela dell’ambiente alla salute, insomma un ritorno al passato che ha dell’incredibile. La crisi economica e la recessione, che sta condizionando la gran parte delle nazioni ricche, non possono essere né un pretesto né una  motivazione per la deriva verso cui stiamo andando.

Il congenito abbassamento del grado di istruzione, a cui stiamo impassibilmente assistendo da anni, è l’elemento cardine di un impoverimento culturale, che poi diventa presupposto per un ridotto interesse e coinvolgimento della gente nelle scelte fondamentali che vengono prodotte dalla classe politica nel nostro Paese. E’ sicuramente più facile imbonire una popolazione che ha minori risorse intellettuali e, perciò, capacità di discernere nell’operazione manipolatoria di cui parlavo all’inizio.

La qualità della vita dei lavoratori più esposti ha avuto un regresso costante con la conseguenza di un aumento di incidenti e di morti, nonché la quasi inesistente tutela anche del diritto al lavoro, tanto che la percentuale di disoccupazione è salita a oltre il 10% della popolazione, un dato che non si rilevava dagli anni ‘70.

Il welfare state è risultato il primo passo della deresponsabilizzazione e delega al privato sociale della difesa dei diritti delle fasce più fragili e a rischio prodotta dallo Stato. Fino a qualche tempo fa il tutto supportato da finanziamenti, anche perchè era evidente che costava meno per il pubblico la delega al privato. Ora anche questo sta lasciando il posto ad una sensibile riduzione di aiuti economici a motivo di una crisi che, guarda caso, tocca solo le fasce meno abbienti della nostra società. Infatti la cosiddetta forbice si sta allargando, ma sempre in questo momento le difficoltà economiche i ricchi non le sentono, infatti, come si può rilevare da uno studio approfondito, stanno diventando sempre più ricchi.

Dopo i disastri prodotti in diverse parti del mondo dalle centrali nucleari e, nonostante in Italia la scelta sia stata quella di non produrre energia di questo tipo, sancita dalla popolazione attraverso un referendum, è tornata ad aleggiare l’ipotesi della costruzione di queste centrali anche nel nostro Paese. Un territorio che sta già pagando un prezzo altissimo all’inquinamento, in terra e in mare, che pullula di termovalorizzatori, centrali di tutti i tipi, per scelte fatte da politica e malavita, in una storia di connivenza e interessi che non vuole finire.

Sul versante della sanità, dopo anni di conquiste: ospedali nuovi, aumento dei servizi e posti letto, nuove tecnologie e scoperte scientifiche che hanno rivoluzionato le cure di malattie e patologie, da alcuni anni, anche in questo campo l’avidità umana la fa da padrona. Le regioni, non tutte per fortuna, hanno gestito le Asl e di conseguenza tutte le strutture pubbliche, ospedali e quant’altro, nella mera logica spartitoria, di interessi economici e bacino di voti. La tutela della salute dei cittadini è stata sacrificata all’altare del già visto e stravisto: il potere! Lo smantellamento, a cui quotidianamente, pezzo dopo pezzo, stiamo assistendo ha portato ad un’esplosione di strutture private convenzionate, che hanno, in alcuni casi, triplicato il numero di utenti e moltiplicato esponenzialmente gli introiti, nonché attirato diversi medici che hanno migrato dal pubblico al privato, magari dopo l’accesso ad una “anticipata” pensione!

Sul versante immigrazione e criminalità, argomenti che tanto servono a una certa politica per creare falsi allarmismi e paure, secondo i dati Istat per molti dei delitti che destano maggiore allarme sociale (omicidi, furti, scippi, etc.), il numero è in netto calo in Italia (era molto più alto negli anni ’90). Alcuni delitti fanno eccezione (tra questi, le rapine, che vedono un aumento del 25 per cento rispetto ai dati del 1991). Confrontando il numero di delitti commessi da italiani con quello dei delitti commessi da stranieri, per quasi tutte le fattispecie prevalgono nettamente i primi. Anche qui vi sono eccezioni (ad esempio, furti in abitazione), per le quali prevalgono i delitti commessi da stranieri. Rapportando il numero di delitti commessi alla popolazione di riferimento, si ottengono tassi di criminalità molto più alti per gli stranieri che per gli italiani (es.: circa 25 volte più alti, con riferimento alle rapine). Il divario si riduce cospicuamente se per ciascuna popolazione si prende in considerazione solo la porzione “a rischio” (ad esempio, solo i giovani). Questo fatto mostra come la principale motivazione del maggior tasso di criminalità evidenziato dagli stranieri sia dovuto, piuttosto banalmente, al fatto che si tratta di un gruppo sociale che si colloca naturalmente nella parte della società dove più acuto è il disagio (giovani, meno abbienti, etc.).Il numero di delitti commessi dagli stranieri, a partire dall’inizio degli anni ’90, resta sostanzialmente costante. Nello stesso arco di tempo, però, la popolazione straniera è cresciuta di un fattore 5 o 6. Benché quindi i tassi di criminalità siano molto elevati per gli stranieri, essi vanno decrescendo nel tempo: i comportamenti medi della popolazione immigrata vanno cioè normalizzandosi. Anche il tasso di criminalità degli italiani è in calo. I due tassi (lo ripeto: assai diversi tra loro) calano, in percentuale, con la stessa rapidità (stesso tempo di dimezzamento). Una curiosità: prendendo in considerazione la nazionalità della vittima quando l’autore del crimine è italiano o straniero, si vede che, per gli omicidi o le rapine in strada, gli italiani sono prevalentemente vittime di italiani; gli stranieri, di stranieri. Per la violenza sessuale, invece, gli italiani sono prevalentemente vittime di italiani; gli stranieri, ancora di italiani... Che il tasso di criminalità tra gli immigrati regolarmente soggiornanti sia dello stesso ordine di quello osservato tra gli italiani non è cosa molto significativa. La regolarità del soggiorno è infatti condizionata al fatto che lo straniero non incorra in condanne per reati anche relativamente lievi. Questo fatto seleziona una classe di immigrati regolari a bassissimo tasso di criminalità e lascia al bacino dell’immigrazione irregolare la sostanziale esclusiva dei reati di matrice straniera. Da questo non discende, però, che la condizione di soggiorno illegale sia un buon indicatore di una più spiccata propensione alla delinquenza. L’attraversamento di una tale condizione è reso infatti quasi inevitabile, almeno nel caso dell’immigrazione per lavoro, da una normativa che impedisce l’incontro legale tra domanda e offerta di lavoro. Il trovarsi illegalmente soggiornanti non è quindi frutto di una scelta deliberata di violazione delle norme (che potrebbe preludere alla commissione di crimini), ma piuttosto un aspetto “fisiologico” di ogni percorso migratorio: l’immigrato ha bisogno di soggiornare illegalmente in Italia... per potervi essere ammesso legalmente per lavoro. Non si può trarre quindi dalla condizione di soggiorno irregolare un pronostico sulla futura attività criminale dello straniero, così come non si può concludere che un adolescente si renderà responsabile di atti di bullismo, combinando con il dato anagrafico l’osservazione che la grande maggioranza di questi atti e’ compiuta da adolescenti. E’ assai probabile che disfacendosi degli immigrati diminuirebbe il numero di criminali. Analoghe diminuzioni si possono ottenere, però, sbarazzandosi di quanti portano la scriminatura a destra, di chi preferisce il mare alla montagna o di chi eccelle nel gioco della lippa.

C’è in atto, quasi per caso, una riappropriazione sociale del problema carceri, una questione che non andrebbe mai lasciata solo agli addetti ai lavori, in quanto è un luogo del territorio e in primis il Comune e gli altri che ne seguono non dovrebbero mai perderlo di vista, per gli innumerevoli problemi di cui è segnato.

Per molti è stato il caso Cucchi a cambiare la percezione di un mondo che si è sempre voluto lasciare isolato, come se le soluzioni ai suoi gravi problemi si potessero ricercare solo al suo interno e senza disturbare nessuno, fuori. Non era così, se un ragazzo è stato sottoposto a gravi violenze che nulla hanno a che fare con il suo presunto reato. Così, ora è anche  quella storia che impedisce di chiudere gli occhi.

Sempre più drammatica, del resto, la situazione del sovraffolla-mento e anche di come per questo stiano aumentando i rischi di contagio di varie patologie, specie di quelle infettive: le statistiche denunciano infatti l’aumento di tubercolosi, hiv, epatiti e di una vasta gamma di malattie dovute a parassiti. I valori sono sicuramente sottostimati, a giudicare dalla denuncia di vari addetti ai lavori, come il garante dei detenuti del Lazio.

E da quanto indicano i detenuti, in modo alquanto generalizzato nel Paese, che  descrivono una cattiva gestione dei “nuovi giunti”, l’area di quelli che, appena arrestati, arrivano in carcere e dovrebbero essere, oltre che sottoposti a visite mediche, accuratamente monitorati. Certamente, a fronte del fatto che negli ultimi 10 anni, per l’ingresso di molti stranieri, si sia avuta una recrudescenza di alcune patologie, più accorte e specifiche avrebbero dovute essere le direttive per la loro gestione.

Così non è stato, evidentemente, se mai in Italia, dal dopoguerra in poi, nello scorso anno si sono verificati tanti suicidi in carcere: 72, per un totale di 175 morti. E se, dall’inizio del 2010 ci sono già stati 7 suicidi e complessivamente 15 morti solo nel mese di gennaio.

Dopo tutto questo sfacelo potremmo lasciare spazio al catastrofismo, ma così non dev’essere.

Passato il temporale e la tempesta esce sempre il sole! Dobbiamo rimboccarci le maniche, socialmente e politicamente parlando, ripartire dai valori che accomunano la maggioranza delle persone, lasciare da parte l’umana tendenza all’egoismo e riprendere a lottare per l’affermazione dei  principi di cittadinanza e il rispetto di alcuni diritti irrinunciabili, quali: l’equa spartizione delle risorse, una giustizia giusta, l’uguaglianza di tutti che è il contrario del privilegio per qualcuno.

“La storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, una frase presa a prestito da Francesco De Gregori, che vuole significare proprio la necessità di riprendere per mano il futuro di questo Paese e dell’umanità intera da parte di ognuno, in quanto ogni persona è protagonista con la sua storia, e nessuna è meno o più importante di altre, ma insieme formano quel quadro inimitabile e strabiliante che compone l’esistenza terrena.

 

 

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Nel 2009, sulle strade della solidarietà

  1. Rovigo – Caritas Diocesana – Lezione “Il volontariato, scelta di vita”
  2. Roma – Ministero della Giustizia – Convegno “Per una migliore qualità della vita nelle carceri”
  3. Padova – Ministero della Giustizia – Convegno “Prevenzione dei suicidi e tutela della vita e della salute delle persone detenute”
  4. Rovigo – Provincia di Rovigo – Incontro-dibattito “L’angelo ferito. Identità manifeste, identità nascoste”
  5. Rovigo – Centro Mariano – Incontro “Serata per operatori della carità e istituzioni di volontariato della città”
  6. Rovigo – Istituto Commerciale “De Amicis” – Lezione “Devianza, giustizia e impegno sociale”
  7. Aosta – Associazione Valdostana Volontariato Carcerario – Convegno “Il volontariato in azione nel contesto carcerario: dalla cultura del dono all’impegno civile”
  8. Rovigo – Coordinamento Volontari Carcere – Manifestazione “Il carcere in piazza”
  9. Roma – Istituto Superiore di Studi Penitenziari – Corso di formazione “Il volontariato in ambito penitenziario”
  10. Rovigo – Centro Francescano di Ascolto – Seminario  “Giustizia, diritti e solidarietà”
  11. Majano (UD) – Parrocchia SS. Pietro e Paolo – Convegno “Per riflettere…fuori e dentro”
  12. Firenze – Associazione Liberarsi – Convegno “La tortura nelle carceri italiane”
  13. Rovigo – Comune di Rovigo – Tavola rotonda “Nella nostra città nessuno è straniero”
  14. Padova – Università agli Studi, Facoltà di Sociologia – Lezione “Impegno sociale, giustizia e diritti dei detenuti, ruolo e figura del Garante”
  15. Mestre (VE) – Associazione Il Granello di Senape – Presentazione del libro “Frontiere nascoste”
  16. Rovigo – Provincia di Rovigo – Presentazione del libro “Il carcere: del suicidio ed altre fughe”
  17. Bolzano – Caritas e Odar – Convegno “Carcere, comunità civile e cristiana”
  18. Adria (RO) – Liceo Bocchi – Assemblea “La situazione all’interno delle carceri”
  19. Padova – Università agli Studi, Master di Criminologia – Lezione “Impegno sociale, giustizia e diritti dei detenuti, ruolo e figura del Garante e del volontariato”
  20. Rovigo – Istituto Commerciale “De Amicis” – Lezione “Carcere, giustizia e volontariato”
  21. Rovigo – Liceo di Scienze Sociali “Roccati” – Lezione “Il volontariato e il ruolo del Garante”
  22. Padova – Associazione Antigone e Ristretti Orizzonti – Incontro-dibattito “Sovraffollamento e violenze in carcere”

 

 

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Il mio abbraccio...

di Rossella Magosso

 

Ognuno di noi ha una storia, la sua storia, intoccabile, ingiudicabile, la vita è un puzzle fatto di tanti tasselli, alla fine tutti i pezzi devono essere incastrati, devono essere al loro posto per dire come sono stato bravo, ci sono riuscito, ce l’ho fatta…ma non sempre è così. Quante storie di ragazze ho sentito, inimmaginabili, ma incredibilmente vere, a volte mi chiedo se quello che sento è realtà o fantasia; realizzo purtroppo che è realtà.

Storie per noi che viviamo la “normalità” che sembrano assurde, eppure per chi vive in un’altra dimensione è storia quotidiana, fatta di droga, rapine, furti, prostituzione, à il loro pane, un vivere che sprofonda nella emarginazione ed intolleranza da parte del mondo “civile”. Non c’è ascolto per conoscere e sapere le condizioni che hanno portato a questo malessere…ascolto negato…questo è il nostro essere civili. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto devono combattere per sopravvivere, ansie paure , terrore nei loro occhi, ragazze allontanate dalla famiglia; il problema si allontana…nella nebbia camminano…e nel buio cadono, non dovrebbero essere i loro compagni di viaggio, ma lo sono. E’ ora, per tutti, di aprire gli occhi, non negargli il l’aiuto, allungare una mano senza chiedersi   il  perché…farlo!

Anche in questo anno ho ricevuto molte lettere da ragazze che ho conosciuto nella Casa Circondariale di Rovigo e che sono state trasferite in altri istituti, che hanno bisogno di conforto e calore, e ne attingono dove sanno di trovarlo.

Vi  parlo di Lara, una signora matura di circa 45 anni, in lei la sofferenza di una vita senza frutti… arida. La  droga è stata la sua compagna di vita, per la  “la signora in bianco“ come lei  la chiama  ha rinunciato all’amore, in primis di sua figlia Alice, a ruota l’amore di un uomo che di fronte alla scelta o lui o la droga lei ha scelto “la signora in bianco”, questa signora le ha anche regalato una malattia che le rimane fino alla fine dei suoi giorni. Questa la sua scelta di vita…lei dice voluta…ma !!! Lei  mi scrive e sfoga le sue pene…sa essere molto profonda e intensa, come in queste righe che fanno parte  di una sua lettera e iniziano con una brano dello scrittore D.W. Emerson: “lo splendore dell’amicizia non è la mano tesa né il sorriso gentile, né la gioia della compagnia, è l’ispirazione naturale e spirituale quando scopriamo che “qualcuno“ crede in noi ed è disposto a fidarsi di noi!”.

Questa mia cara Rossella è diventata la mia filosofia di vita. Adesso mi fermo a guardare il sole che tramonta e pensare che “ogni suo raggio” durante tutto il giorno ha scaldato il mio cuore  e sono felice! Mi sono fatta nuove amiche a cui voglio bene e piano piano sto ritrovando la “fede”...e me stessa…grazie per essermi amica e per quello che sai dare. E ancora: “i migliori auguri e un grazie, che l’anno nuovo ci  porti un po’ di pace e serenità a tutti e che “illumini“ la strada a chi l’aveva persa come me”.

Ho trovato uno straordinario articolo, su una rivista femminile,  che parla del carcere di Milano-Bollate.

Nell’emergenza carceri c’è un tesoro…Bollate la prigione che redime. E’ un penitenziario modello, che non conosce il sovraffollamento, i suicidi, le condizioni disumane che hanno spinto il Governo a varare misure straordinarie.

Qui le celle sono sempre aperte, i detenuti imparano un mestiere, fanno teatro, lavorano l’orto e scrivono giornali e, quando escono, non commettono più reati”. Questo articolo mi ha molto stupito e mi chiedo come mai anche gli altri istituti non funzionano come questo?

Dove sta  il nocciolo della questione?

“Il direttore è una meravigliosa donna, come sono donne il vice direttore e il commissario della polizia penitenziaria, a voi il perché di tutto questo. Il carcere di Bollate si è fatto la fama di carcere che redime, che cambia in meglio le persone.

La recidiva riguarda il 17 per cento dei reclusi mentre di norma supera il 70 per cento. Non è un miracolo ma il risultato di un progetto sperimentale che vuole realizzare quanto previsto dalla Costituzione: il recupero del condannato.

Bollate è una delle carceri più grandi d’Europa, mille detenuti di cui 50 donne, la prima nota innanzitutto il colore: tutte le finestre sono contornate di giallo, rosso e blu, le celle sono aperte, i detenuti si muovono in libertà, alle pareti artistici murales.

C’è chi va a lezione di chitarra, ci sono partite di calcio palleggiando con scarpe chiodate, un clima completamente diverso da quasi tutti gli altri penitenziari dove frustrazione, rabbia e violenza sono la regola di un mondo ormai al collasso. Sovraffollamento, rivolte, suicidi sono ormai  il quotidiano,   ecc.”.

L’articolo è molto lungo ma meriterebbe di essere letto per intero.

Un’oasi, come mai non c’è la volontà per altre oasi ? Questa la mia domanda da fare a chi ci Governa e a chi delle  tante chiacchiere ne hanno fatto il pane per risposte inadeguate!

 

 

 

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Avvocato di strada e per strada

di Francesco Carricato

 

Lo Sportello “Avvocato di Strada” di Rovigo ha continuato nel corso dell’anno appena trascorso la propria attività affrontando principalmente, come per la verità anche negli anni precedenti, casi di persone con problematiche relative al titolo di soggiorno nel nostro Paese: espulsioni, richieste o rinnovo del permesso di soggiorno, riconoscimento dello status di rifugiato; queste pratiche hanno superato in percentuale la metà del totale di quelle seguite.

Inoltre, si sono presentate diverse persone con problematiche inerenti allo sfratto per morosità, probabilmente dovuto alla crisi che ha causato la perdita di molti posti di lavoro e, conseguentemente, l’impossibilità di pagare regolarmente il canone di locazione; in numero meno significativo si sono poi affrontate situazioni di difficoltà legate alla famiglia ed ai minori, all’inadeguata assistenza sociale, al rapporto di lavoro, alla pensione, alla tutela di diritti di credito e ereditari.

Per ciò che riguarda le pratiche di diritto penale, esse sono state relative ad istanze di riabilitazione, alla richiesta di pene alternative alla detenzione, a reati contro il patrimonio e connessi agli stupefacenti.

Lo Sportello ha poi organizzato, su sollecitazione dell’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Rovigo e del Centro Territoriale Permanente, un corso di formazione per detenuti, che si è svolto all’interno del carcere rodigino, strutturato in quattro unità formative.

La prima con oggetto La Costituzione, educazione civica e diritti-doveri dei cittadini, la seconda riguardante I diritti-doveri degli stranieri sul territorio italiano. La disciplina dell’immigrazione, la terza concernente Principi ed elementi di diritto e procedura penale. L’esecuzione della pena e misure alternative, l’ultima ha trattato le Problematiche relative alla famiglia ed ai minori. Il corso si è già svolto per le prime due unità nel 2009, mentre le altre due sono in programma per quest’anno.

Inoltre si è organizzato nel mese di settembre un seminario di riflessione sul tema Giustizia, Diritti e Solidarietà con la presenza di due esperti: Emilio Santoro, dell’Università di Firenze, e il consigliere di Cassazione Giuseppe Magno.

Abbiamo poi partecipato, su invito dell’Assessorato all’Immigrazione del Comune di Rovigo, ad un seminario sui Diritti dei Migranti dopo l’approvazione dell’ultimo, sperando sia veramente tale, “Pacchetto sicurezza”, approvato nel corso del mese di agosto. Si è, infine, partecipato a molteplici incontri del Coordinamento delle associazioni di volontariato che si occupano di carcere e persone senza fissa dimora.

Da tutto questo si può constatare che nonostante i nostri numeri non siano esorbitanti, lo Sportello è ben vivo, attivo ed impegnato, e comincia ad accumulare nei propri aderenti quell’esperienza e quelle capacità che senz’altro all’inizio difettavano e che sono quanto mai preziose per affrontare consapevolmente e con convinzione un’attività di volontariato.

Quest’anno si sono poi avvicinati all’esperienza quattro giovani studenti di Giurisprudenza che, pur non potendo in prima persona patrocinare cause o assistere casi, hanno collaborato attivamente e con entusiasmo alle nostre attività; credo che questa sia la dimostrazione palese che le nuove generazioni danno anche segnali estremamente positivi ed incoraggianti per ciò che riguarda l’attenzione all’altro e a chi ha più bisogno.

Non ritengo di peccare di presunzione affermando che lo Sportello di Rovigo di Avvocato di Strada può iniziare ormai ad essere considerato un punto di riferimento all’interno della realtà sociale locale, sia per le Istituzioni: Comune, Provincia, Direzione della Casa Circondariale, sia per le altre associazioni di volontariato presenti sul territorio che si occupano di disagio sociale e di assistenza ai senza fissa dimora. Quanto affermato non è certamente per elogiarci, ma per acquisire sempre più consapevolezza del nostro ruolo e dell’importanza della nostra, seppur piccola, attività di volontariato.

Di tutto questo e di tutto ciò che siamo riusciti e riusciremo a combinare di buono, non possiamo che ringraziare il Centro Francescano di Ascolto, che ci ha dato e continua a darci l’opportunità di svolgere un servizio così delicato ed importante all’interno della realtà sociale rodigina, nonché la segretaria dello Sportello.

 

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Via Mure Soccorso, 5

di Fulvianna Godino

 

A Rovigo in Via Mure Soccorso, al civico n. 5, una targa indica “Centro Francescano di Ascolto”. È sorto nel 1988, anche attraverso il cuore di Padre Giorgio Cavedale che coinvolse molti dei suoi “giovani francescani” e fu sostenuto dal maestro Luigi Mutterle, responsabile zonale dell’Ordine Francescano Secolare. È da lui che sentii parlare di questa Associazione di volontariato, quando venne a visitare la Fraternità del mio paese, e constatai che rispondeva all’articolo 4 della nostra Regola: “…i francescani secolari si impegnino a passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo”. Quando andai in pensione, affiancai Mutterle in associazione nel compito di accoglienza e ascolto di chiunque si presentasse alla porta o telefonasse.

Il Centro Francescano di Ascolto è stato uno dei primi punti di ascolto della città di Rovigo, poi associazioni e parrocchie ne hanno aperti altri, per andare incontro ai tanti disagi nascosti, nella società apparentemente del benessere. Ma il nostro Centro non ha risentito della “concorrenza”, infatti i giovani volontari, entusiasti di poter essere utili, si sono impegnati a cogliere le nuove forme di disagio per poter dare risposte più appropriate.

Nel corso della mia presenza in sede mi resi conto ben presto che anche il servizio di prima accoglienza non era di poco conto. Mi fu d’esempio Gigi che, col semplice sorriso, rassicurava subito il visitatore di aver trovato un sincero amico fraterno, senza pregiudizi nei suoi confronti. Quanto a me, per problemi di vista e salute, mi limitai sempre solo alla prima accoglienza e un giorno confidai a Livio di sentirmi ormai inutile, ma lui mi fece comprendere come questo non fosse reale in quanto proprio di lì a poco, nei due miei turni successivi di volontariato, si presentarono due persone molto bisognose d’aiuto ma dignitose, alle quali fu possibile dare delle risposte positive, e Livio mi disse:”vedi, se non ci fossi stata tu, forse nessuno avrebbe trovato rimedio alla loro indigenza”.

Uno dei primi luoghi della nostra “attenzione” è stato il Carcere, dal quale il nostro Centro è separato dall’alto muro che costeggia per quasi tutta la sua lunghezza Via Mure Soccorso, la strada stretta che è la continuazione di Via Mure S.Giuseppe, oltre Via Mazzini e sfocia dopo una curva in discesa, nella Piazza della Rotonda. L’alto muraglione della Casa Circondariale, sormontato dalle torrette e camminamenti per le guardie, porta scritto “limite invalicabile”, ma…c’è stato modo e modo per superarlo! Ed ha avuto il suo triste momento di notorietà il 3 gennaio 1982 per l’attentato che costò la vita ad un passante, Angelo Furlan, nel tentativo, riuscito, di liberare tre brigatiste rosse. I volontari che operano all’interno del luogo di pena, sull’esempio di S. Francesco che ha abbracciato il lebbroso e ammansito il lupo di Gubbio, danno un’impronta cristiana all’incontro con le persone ristrette, cercando così di far diventare le prigioni il luogo della riabilitazione.

Non mi ero mai soffermata sull’origine del nome della via; forse vi erano le mura della città e “Soccorso” si riferisce certamente alla Rotonda che è il tempio della Beata Vergine del Soccorso, patrona di Rovigo. Ma mi piace pensare che il nome della via è anche un richiamo al nostro impegno.

In quelle stanze si avvicendano oltre trenta “soccorritori” che con cordialità e competenza, accolgono e ascoltano tutti. Ho spesso toccato con mano, quanto bene questi volontari riescano a svolgere il loro compito verso molte persone emarginate. Il secondo piano di Via Mure Soccorso 5, è una palestra per muovere i primi passi – più o meno spediti – nel cammino di amore fraterno come il samaritano del Vangelo, uno di quei brani che portò Francesco d’Assisi alla conversione, con la quale assaporò la perfetta letizia anche nelle prove più dure.

 

 

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Vivere... senza malinconia...

di Leopoldo Sartori

 

“Vivere non è il vuoto tran tran della vita di ogni giorno” è una frase che ho letto sul bollettino parrocchiale di Villadose di agosto, ed è stata la molla che mi ha fatto decidere di intraprendere, seppure in punta di piedi, la strada del volontariato e la conseguente mia richiesta di collaborare con il Centro Francescano di Ascolto. Sono in pensione, ho due figlie adulte, una moglie che lavora, una discreta tranquillità economica e non mi bastava più informarmi, leggere, ascoltare e magari mugugnare in solitudine o con gli amici sulle ingiustizie del mondo. Non mi basta più tacitare la coscienza con l’elemosina e qualche vestito vecchio donato agli extracomunitari che bussano alla mia porta. Quella “vocina” nella testa che mi diceva “tanta fortuna per te e la tua famiglia, cosa aspetti a fare qualcosa per gli altri”.

Vivere è partecipare alla creazione di qualcosa, è sognare qualcosa di bello, di grande, è credere e sperare in un mondo migliore. Quale miglior occasione di poter collaborare con il Centro di Ascolto dove “belle” persone danno il loro tempo, le loro capacità, il loro amore per alleviare il disagio, superare le difficoltà, lenire le ingiustizie di cui soffrono: i carcerati, gli immigrati, i diversi e gli ultimi; attraverso il loro costante impegno. Di fronte al loro impegno sono tornato a sperare che sia ancora possibile una società più giusta, più umana, anche se il mio scetticismo è ancora molto forte.

“Vivere è spendere la vita per una causa nobile, aperti alla realtà, messaggeri del bene e della pace”.

Lo scopro ogni volta che partecipo alla vita del Centro. In questi primi mesi ho conosciuto lo spirito che ha animato e che anima Livio per dare, mantenere, alimentare tutti quei servizi necessari a migliorare la vita dei carcerati. Ho conosciuto la puntigliosità, l’impegno, la caparbietà a volte estrema di Innocente che vorrebbe salvare tutti. Ho trovato Paolo che è impegnato non solo con il Centro ma è attivo anche con la San Vincenzo. Daniele l’informatico, persona che trasmette naturalmente serenità e tranquillità. Non è meno importante il contributo delle volontarie con le quali ho avuto solo sporadici incontri ma che ho visto molto motivate e concretamente impegnate a risolvere i problemi dei ristretti e delle ristrette in particolare.

“Vivere non è riposare finché nel mondo c’è guerra, odio, fame. Vivere è lottare per un ideale e mai dichiararsi sconfitti.”

La nostra società è malata di giovanilismo: abbiamo paura del dolore, della malattia, paura della povertà e della miseria. Siamo quotidianamente bersagliati da falsi messaggi che le televisioni e i giornali, soprattutto, ci trasmettono insinuando nelle nostre menti modelli di vita irreali e irraggiungibili. Sicuramente amorali.

Telegiornali che passano tranquillamente da un resoconto continuo e ossessivamente ripetitivo di violenze alla persona e alla proprietà, ancor più esageratamente enfatizzati se perpetrati da extracomunitari, per passare poi immediatamente ad illustrarci di come è bella la vita dei “vip”, di come sono belli, bravi, intelligenti, buoni i tronisti, gli attori, i direttori di certi giornali, “Chi” per esempio, i politici, in particolare quelli che sfondano il video. Gli ideali che ci trasmettono sono: diffidenza e paura del diverso, ignoranza dei problemi della gente comune, buona solo a far strappare una lacrima; l’oblio per il povero, per il ristretto, salvo informarci quanto ci costano e quanto è bravo il ministro di turno. Ci fanno vedere e ci illustrano un’Italia che è di pochi, fatta di ferie in posti meravigliosi, di ristoranti alla moda, di chirurgia plastica, di centri benessere, le famose beauty-farm; ci insegnano a fare la spesa: interviste pilotate a seconda del momento, i prezzi aumentano/i prezzi diminuiscono; ci fanno dire dall’ultimo tronista o dall’ultima attricetta come bisogna vivere la coppia, la famiglia, l’emigrato, il diverso.

Ecco allora che la mia elemosina, il donare un vestito vecchio, un cappotto sdrucito, un paio di scarpe dismesse; leggere, ascoltare, documentarmi, discutere non possono essere la risposta a ideali di giustizia, di pace, di soddisfaci-mento dei bisogni primari per tutti, sono un sonnifero per la mia coscienza.

La mia fortuna è stata incontrarvi, ho molto da imparare e forse poco da dare ma seguendovi spero di dare un senso meno egoista al mio vivere quotidiano.

 

 

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Il paradosso del lavoratore (s)contento
di  Alessandro Sovera

 

Sono sempre stato convinto che ai confini della realtà sociale si staglino delle cornici concettuali. Idee, convinzioni, significati, per dirla in termini più semplici: a patto che si svuotino gli stessi da ogni accezione, negativa o positiva che sia. Aleggiano, questi spiriti, al di sopra di quello che è il vivere quotidiano, con il quale non sembrano interagire: anzi, il più delle volte non si ha proprio coscienza del loro esistere.

Eppure, in un dato momento, si finisce per accorgersi di quanto il susseguirsi di determinate azioni venga fatalmente orientato in una direzione, e quanto quest’attrazione magnetica sappia restituire un significato, o quantomeno una funzionalità, anche al gesto apparentemente più semplice e routinario.

Ed è in quel momento che gli spiriti rallentano la loro corsa, smettono di aleggiare e cominciano a cristallizzarsi, fuoriuscendo dal flusso concettuale per trasformarsi in postulati, principi, assiomi. Certo, la maggior parte di loro non può pretendere di sopravvivere all’impeto della storia: tuttavia, essi sono in grado di sostenere l’impalcatura ideologica del nostro vivere per qualche tempo senza che nessuno li metta più in discussione.

Non c’è bontà  né dolo in sé, in tutto questo. Certo è che al moltiplicarsi degli stimoli informativi (non conoscitivi), in contemporanea alla concezione del tempo come risorsa anzitutto economica, il riflettere su chi siamo e sul che cosa vorremmo essere, come uomini e come società, appare sempre più come una perdita di tempo.

Ecco il modo di inquadrare la mia esperienza umana e professionale: il mio lavoro, retribuito o volontario che sia, ha senso solo in una società che non considera produttivo, per dirla con l’abusato linguaggio economico, l’investimento per ridurre l’alea alla vulnerabilità cui l’uomo, nel suo ciclo vitale e sociale, è soggetto. Questo concetto è oramai oltre il postulato: è subdolo fondamento ideologico, talmente politicamente scorretto che nessuno sarebbe così sciocco da farne una pubblica bandiera, il che limita ogni discussione seria in merito. Come si fa con il tradimento, o con la menzogna, mali endogeni dei quali si abusa senza mai confessarli. Quantomeno, però, in quei casi, soddisfatto l’onere della prova, è legittimo attendersi una sanzione: nel caso del disinvestimento umano in corso nella nostra società, invece, la sanzione verso chi lo ha sposato è in qualche modo legittimato a chiederla solo chi ne è palesemente vittima, il quale, nella migliore delle ipotesi, viene curato con qualche boccone caritativo, sempre sintomatico, mai terapeutico. Per il resto, chi insorge è un ingenuo utopista o un provocatore il cui vero fine è la sovversione.

Come dovrei sentirmi, dunque, come operatore di terzo settore? Negli ultimi anni, la Caritas della nostra città è cresciuta enormemente, anche grazie alla collaborazione con la nostra associazione: si vedono un migliaio di persone l’anno al Centro di ascolto, le richieste di Microcredito sono cresciute a dismisura, è nato il Fondo straordinario di solidarietà, al quale in qualche mese sono state inoltrate quasi 400 domande, si sta formalizzando la costituzione di un Fondo di prevenzione all’usura, ai corsi di italiano per donne straniere ci sono sempre più iscritte, e lo stesso può dirsi per i corsi per i rifugiati politici. E soprattutto, è sempre maggiore il numero di persone che si impegnano volontariamente per l’implementazione e la gestione di servizi chiamati a rispondere ad un numero di richieste in continua lievitazione. Come dovrei sentirmi? Fiero di un lavoro che cresce, a tutti i livelli? E’ innegabile, di fronte al frutto del proprio lavoro, un moto d’orgoglio. Ma basta andare poco più a scavare per comprendere il fatto che questa crescita si fonda, ben prima che sui meriti personali, su scelte precise che la nostra società ha compiuto e sta compiendo, sul fondamento di una postulazione informale quanto mai efficiente, che definisce come “spesa”, e non investimento, le magre risorse a bilancio da destinarsi al sociale. Non c’è da stupirsi se, in fronte alla crisi economica, siamo tra i pochi a non subire lo spettro di una riduzione del lavoro (anzi).

Dovrei quindi essere fiero, magari felice, di un lavoro che va a gonfie vele grazie al fatto di vivere in una società che accetta fatalmente l’iniquità sociale come un dato incontestabile, come un male necessario? Come uomo, come cittadino faccio fatica a trovare un punto d’equilibrio. L’unico modo di dare un senso a tutto questo è porsi un obiettivo a lungo termine: lavorare affinché un giorno non ci sia più bisogno di noi. Lottare per sparire. E come lavoratore, nemmeno questo è un gran contributo alla stabilità: quel che consola, è la consapevolezza più o meno conscia che quell’obiettivo è pressoché irraggiungibile.

Almeno una cosa, però, mi permetto di chiedere: che coloro che giorno per giorno avallano con tutte le loro forze quei principi, la finiscano di dirci che siamo bravi. Vorrei spiegar loro che non è difficile, essere bravi come noi: basta guardarci, e ascoltarci. Volere è potere, si suol dire: quello che è difficile, allora, è volere essere bravi, accettando tutto lo squilibrio che ne consegue.

 

 

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Passaggio di testimone... per la luna

di  Irene Rigobello

 

Spesso la quotidianità della vita ci porta ad uno scorrere frenetico come un torrente che scende dal pendio della montagna,  si ha sempre meno il tempo di accorgersi di quanto abbiamo vissuto e di quanto abbiamo costruito. E’ così che anche l’avventura dello Sportello Luna giorno dopo giorno è divenuta una realtà del Centro Francescano di Ascolto un punto di riferimento per molte donne che si trovano in difficoltà. Da quest’anno, però, non ci saremo più solamente io e Alessandro ma sono arrivate delle nuove volontarie che prendono il nostro posto e, come noi abbiamo fatto qualche anno fa, inizieranno la loro avventura. Perciò questa diventa l’occasione di fornire alle nuove arrivate  qualche riflessione sulla nostra esperienza…


Occuparsi di donne in difficoltà è spesso una sfida difficile, ma entusiasmante.

Nel contesto attuale, mi sembra, ci sia  una certa superficialità rispetto a tale realtà; infatti nascono sportelli, numeri verdi ecc. tutte iniziative utili, ma che spesso si esauriscono con l’affissione di cartelloni pubblicitari! “Luna” non è così, è qualcosa che vive all’interno del Centro Francescano di Ascolto, dove prima del servizio e dell’attività c’è la persona che si vuole mettere a disposizione dell’altro; non ci sono solo i volantini dietro al numero di telefono, non c’è una voce registrata, ma c’è una persona che accoglie un’altra persona: l’accoglienza è lo spirito del Centro.

Ricordo che rimasi molto stupita dal fatto che al Centro non ci fosse, e non c’è ancora, un citofono per sapere chi suona alla porta, ma rimasi ancora più stupita dalla risposta che mi diede il direttore: ”Non serve sapere chi è, noi apriamo a tutti, altrimenti che centro di ascolto siamo?”.

Sembrano semplici parole, magari una mania discutibile, ma non è così! Si tratta di molto di più: di un”attitude”, di uno stile che caratterizza tutte le attività dell’Associazione.

Non si può fare ascolto se si mettono barriere, non si può pensare di incontrare l’altro se non porgendogli  realmente una mano dicendo “Piacere, io sono…e tu?”.

Fare ciò non è semplice, perché ognuno di noi ha la sua storia, il suo trascorso e ovviamente la sua personalità e l’incontro con le persone in difficoltà spesso ci sfida e ci interroga su molte cose,  può metterci in crisi.

Sono convinta, però, che non sia bene costruirci degli atteggiamenti “barriera”, da salvatore o da pigmaglione, fatti per proteggerci dalle sollecitazioni che l’incontro con l’altro ci riserva. Dobbiamo semplicemente essere noi stessi, con autenticità e lealtà, cercare di offrire alla persona in difficoltà non tanto il nostro aiuto, ma  la nostra presenza e lasciare a questa la scelta di camminare un po’ con noi o di continuare per la sua strada.

In questi anni ho incontrato diverse persone, soprattutto donne, con storie di vita talmente lontane dalla mia quotidianità rassicurante che non avrei mai potuto immaginare la realtà, quando si parla di dolore spesso riesce a superare la fantasia, e riuscire a trovare un dialogo e la possibilità di costruire insieme a loro dei nuovi progetti di vita.

Nessuno può camminare al posto di un’altra persona, ognuno di noi può semplicemente “farsi prossimo”, come fece il samaritano che non solo si fermò per aiutare il viandante, ma si fece carico di lui dicendo all’oste:” Prenditene cura e se avrai speso di più ti salderò al mio ritorno!” Il samaritano non delega, affronta con la consapevolezza che per rimettere in piedi il ferito ha bisogno anche degli altri.

La comunità deve accorgersi della persona che soffre non dimenticarla, deve farsene carico, non con l’elemosina o con la risoluzione materiale di straordinarie situazioni di emergenza, ma con l’accoglienza e con il recupero di un sentimento di condivisione e di appartenenza  che deve essere proprio di tutti gli esseri umani. Terenzio scrive:” Sono un uomo  e perciò nulla di ciò che è umano mi è estraneo!”.

La società non può non vedere gli esclusi e se non  lo fa è nostro compito risvegliarla perché sia in grado di recuperare chi è in difficoltà, non sentendolo come un qualcosa di altro, ma come una parte del tutto.

Buon servizio a tutte le volontarie/i ed in particolare alle nuove “Lune” perché il vostro percorso sia pieno di incontri e di sfide da cogliere e da vincere!

 

 

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Dall'ascolto all'accoglienza

di  Fabio Furini

 

La nostra storia è nata poco più di ventuno anni fa con un gesto semplice, ma allo stesso tempo coraggioso: ascoltare le persone che bussavano alla porta dell’associazione. Il cammino è proseguito e si è sviluppato in tanti progetti ed esperienze che ci hanno fatto incontrare un numero considerevole di persone, facendoci comprendere quanto il disagio umano abbia necessità di risposte e gesti pronti a far fronte a bisogni diversi e spesso imprevedibili.

Ascoltare è sempre stato, nel nostro stile di volontari, una necessità irrinunciabile, senza la quale ogni idea e rapporto non poteva svilupparsi e produrre interventi concreti nella vita delle persone in difficoltà. Senza ascolto non è possibile né accogliere, né capire, né rispondere al prossimo che cerca aiuto.

Siamo cresciuti ascoltando ed oggi, di fronte ancora a dati e tipologie di richieste sempre più complesse e drammatiche, non possiamo prescindere nelle nostre scelte all’ascolto di tutti, perché il disagio non ha specializzazioni, ma chiede risposte al senso e al progetto di  vita chi si è perso nei meandri dell’emarginazione.

Nel 2009 il servizio ascolto ha assunto ancora di più il ruolo di protagonista delle diverse progettualità della nostra Associazione. Ogni servizio ritrova in sede un luogo e gli strumenti idonei ad ascoltare il disagio e definire percorsi di accompagnamento e di recupero di chi non ha più speranza e fiducia nella vita e nel prossimo.


Dati su cui riflettere

Se guardiamo indietro, il 2009 è stato un periodo di assestamento nei nostri incontri con i bisogni delle persone che sono arrivate a formulare delle richieste di aiuto.

La crisi di cui tutti parlano diventa palpabile e concreta in chi è più povero di mezzi e di strumenti per vivere con dignità la propria vita. Non c’è solo una crisi economica, ma soprattutto vi è una mancanza di valori, di solidarietà, di accoglienza e di risposte a bisogni quotidiani che nessuno riconosce, perché si spera siano solo di una fetta minoritaria della nostra società. I dati segnalano un aumento di disagio familiare, di lavoro che manca, di sostegno a chi non riesce a vivere dignitosamente. A ciò si aggiungono la difficoltà di assistere coloro che sono svantaggiati, perché portatori di handicap, di patologie o per il solo fatto di vivere sole, pensionate ed anziane. Per non parlare di chi bussa, non solo da noi, per chiedere un aiuto economico per sopravvivere.

Tra le realtà del disagio più incontrate emerge il dato delle persone sfruttate sessualmente, di coloro che vivono ai margini di tutto, come spesso accade agli immigrati extracomunitari, privi di un’identità e di diritti che si rivolgono allo sportello di Avvocato di Strada. Dai volontari ricevono un supporto che parte dall’ascolto e si concretizza nell’accoglienza fisica e in risposte che riconoscono la persona degna di dignità e di libertà.

La diversità, ormai esorcizzata come pericolo per le nostre conquiste sociali, o per le comodità raggiunte, crea un senso di paura e di rifiuto di coloro che cercano di migliorare la loro vita in un Paese ricco di risorse e di creatività come è la nostra Italia.

I molti stranieri che chiedono aiuto manifestano questo senso di esclusione e di rifiuto, anche se la maggior parte di loro cerca di integrarsi accettando regole e stili di vita simili ai nostri.

L’aumento dell’ascolto di stranieri con problemi penali conferma il drammatico dato nazionale che leggi inique aggravano inventando reati (la clandestinità) che sono contrari alla nostra cultura cristiana fatta di accoglienza e carità.

In aumento sono le richieste legate al mondo delle dipendenze, segno delle difficoltà di risposta da parte di alcuni servizi pubblici, ma anche di situazioni familiari critiche in cui mancano sostegni a disagi evidenti. Se non s’investe economicamente nella prevenzione, fatta anch’essa di ascolto e di accoglienza, non si può pensare di risolvere situazioni di disagio estremo, ma solo tamponare con interventi fini a se stessi e non risolutori.

Anche la diversificazione delle forme e delle tipologie di assunzione di droghe e la nascita di nuove dipendenze (ad esempio al gioco) producono ulteriori nuove richieste d’aiuto.

Il mondo carcerario veicola molte persone al servizio ascolto. Sia chi ha avuto problemi giudiziari che i familiari e le persone coinvolte in questa problematica usufruiscono del servizio. La presenza dei volontari carcerari in sede continua il lavoro iniziato e condotto nella Casa Circondariale di Rovigo e spesso si aggiungono relazioni e interventi rivolte a persone detenute in altri istituti penitenziari.


Una sede per tutti

La sede dell’Associazione è il punto di riferimento per tutti i volontari. Durante questi anni sono notevolmente aumentate le richieste di informazioni e i contatti con enti pubblici e soggetti del Terzo Settore, segno che il nostro operare incide sempre di più con chi è impegnato nel sociale nella nostra provincia e anche nel resto della regione e d’Italia.

La quotidiana attività di segreteria in sede sede permette di mantenere i contatti con tutte queste realtà, ma soprattutto offre informazioni importanti a chi cerca aiuto o riferimenti adeguati alla propria richiesta.

Nel quotidiano disbrigo di pratiche amministrative, dalla corrispondenza ai contatti telefonici, i volontari ricevono preziose informazioni e importanti conoscenze per rispondere alle richieste degli utenti, dei loro familiari o di chi è in prima linea nell’aiutarli.

La segreteria assicura anche il passaggio quotidiano delle richieste di colloquio, delle attività promosse dall’Associazione, delle informazioni provenienti da altri enti, delle adesioni ad iniziative, convegni, forum, incontri promossi in tutta Italia.

Continuano le richieste di fare volontariato nell’Associazione. Nel 2009 ce ne sono state 30 e molte di loro hanno trovato sbocco nella scelta di iniziare un servizio nella nostra Associazione. Per i nuovi volontari durante l’anno in corso saranno programmati degli incontri di formazione.


Servire in letizia

Ogni giorno il nostro servizio vive di gratuità e di disponibilità. I volontari devono sentirsi degli strumenti di amore e di accoglienza per chi non ha più nessuno su cui porre la propria fiducia. Nulla deve essere dato per scontato, perché ogni giorno volti nuovi si presentano ai noi con problemi sempre più complessi e bisognosi di risposte concrete.

In questo tempo c’è bisogno di maggiore attenzione alle nuove povertà che crescono e si diversificano, segni di una società divisa dalla ricchezza e sempre meno attenta ai bisogni dei poveri.

Ogni volta che si fa un bilancio non ci si deve dimenticare di ripensare, consolidare e inventare realistiche progettualità, coinvolgendo sempre più i volontari nei singoli servizi.

Da sempre lo stile della fedeltà al servizio, sostenuta da una formazione umana e da una conoscenza delle problematiche sociali, è il modo con cui noi costruiamo un futuro di speranza e di accoglienza vera dei bisogni del prossimo.

Il lavoro del volontario è accompagnamento umano ed educativo per chi soffre, è percorrere un tratto di strada con chi è solo e rifiutato, emarginato ed escluso dalla vita normale.

Solo nell’ascolto serio, sincero, empatico, in una dimensione di vera accoglienza della persona per le sue qualità,  potenzialità e diversità si può testimoniare un nuovo modo di progettare e vivere la dimensione sociale in cui tutti sono accettati per quello che sono: persone con dignità e amore per la vita che è stata donata.

 

 

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Lo sportello a colori un anno dopo!

di  Annamaria Visentin e Alessandra Galozzi

 

Al consueto appuntamento annuale con la presentazione del lavoro svolto siamo arrivate un po’ col fiato corto perché ridotte nel numero, ma non per questo meno attive e motivate!

Per occuparci in modo adeguato del complesso mondo della condizione transessuale, attraverso l’attività costruttiva e interessante dello sportello, come era nelle nostre intenzioni abbiamo predisposto un progetto di ricerca sul territorio provinciale di Rovigo e, attraverso la partecipazione al bando del Centro di Servizio per il Volontariato, abbiamo ottenuto le risorse per poterlo espletare.

Obiettivo della ricerca è principalmente quello di rilevare l’entità  della presenza transessuale nel territorio polesano e, allo stesso tempo, raccogliere le opinioni e il “sentire” comune su questa realtà da parte di diverse categorie di soggetti, soprattutto coloro che più dovrebbero averne coscienza e conoscenza.

Per raggiungere tutto questo abbiamo predisposto un semplice questionario, che è stato proposto a coloro che abbiamo considerato come testimoni privilegiati. Soggetti, cioè, che per mansione o professione hanno la possibilità di venire a contatto con  transessuali e trasgender.

La ricerca è ancora in corso e tutte le motivazioni, le spiegazioni e i risultati sono rimandati alla sua conclusione e alla presentazione pubblica del report che seguirà a primavera inoltrata, Una cosa, però, ci viene voglia di dirla già, da ora, un aspetto negativo e sottoculturale: il nostro territorio non ha dato prova di conoscenza, apertura e accoglienza profonde verso la realtà transessuale.

Quando abbiamo iniziato la ricerca non era ancora accaduta la tragica sequenza di avvenimenti che ha sbattuto in prima pagina e nei notiziari televisivi il transessuale come  mostro e genio del male! Tale ribalta non ha certo portato contributi positivi alla conoscenza e alla comprensione della questione transessualità.

Astraendoci da qualunque considerazione politica, non sentendone alcun interesse, sulle vicende accadute, vorremmo fare, però, alcune considerazioni su come tutto questo possa avere influenzato negativamente l’opinione pubblica.

La parola transessuale è sempre stata accompagnata e soprattutto associata a termini quali: prostituzione, droga, ricatto. Questi preconcetti producono e costruiscono nella gente comune una immagine del tutto negativa della persona transessuale. La prostituzione è uno degli aspetti più limitati e settoriali collegati alla transessualità e, nello specifico, ancor più settoriale è la prostituzione straniera.

Una delle prime cose che abbiamo imparato negli incontri di formazione dello sportello con le responsabili del MIT, Movimento Identità Transessuale, di Bologna è quella di non fare mai l’equazione: transessuale = prostituta, anzi, la prostituzione infatti riguarda solo il 20% della popolazione transessuale!

Altri poi sono gli aspetti da mettere in luce per avere una conoscenza veritiera di questa realtà: la complessità dell’identità sessuale. Fra i principali: la libertà di scelta e di autodeterminazione delle persone, il diritto al lavoro e all’accettazione sociale!

Se c’è un concetto che è già apparso chiaro e definito nella nostra ricerca è che la conoscenza della condizione transessuale è piuttosto carente. Purtroppo questi vuoti di sapere, attraverso certe distorsioni dell’informazione, vengono ora “colmati” da quello che si raccoglie da giornali e televisioni, cosa che non può che produrre idee intrise di pregiudizi, luoghi comuni e negative!

Altro aspetto assolutamente ormai chiaro è che il percorso per la conoscenza e l’accettazione del transessuale è assai lungo e contrastato. Nonostante le tante conquiste culturali prodottesi negli ultimi decenni nella nostra società, le diversità continuano ad essere lo zoccolo duro per giungerne ad una accettazione e comprensione. Chi vive queste condizioni subisce tutta una serie di stigmatizzazioni ed emarginazioni, che mettono a dura prova il suo equilibrio e le scelte stesse di vita. Tutto questo diventa per noi uno stimolo e crea motivazioni maggiori, perché è nei luoghi della solitudine e del dolore che la nostra storia di volontari ci conduce, tirandoci su le maniche e proseguendo nel nostro operato.

 

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Immigrati: integrazione possibile?

di Paola Zonzin

 

Quando a scuola mi capita di affrontare il tema dell’immigrazione, dai miei alunni si alza il consueto coro dei “ma perchè non stanno a casa loro?”, “perchè quei ‘talebani’ vengono a rubare il lavoro a noi che già ne abbiamo poco?”, corredato di solito da una serie di aneddoti che testimoniano quanto gli stranieri siano infidi e fannulloni... Naturalmente i miei ragazzi non sono altro che la cassa di risonanza dei discorsi ascoltati a casa, delle parole di adulti a loro volta allarmati dal modo in cui vengono date certe notizie, dall’immagine che del nostro Paese ci viene fornita tutti i giorni. E così viene facile formulare l’equazione immigrato uguale criminale.

I dati che riguardano la popolazione carceraria in Italia sembrano confermare questa teoria: gli stranieri, infatti, non solo rappresentano il 32% dei detenuti nelle nostre carceri, ma è anche facile notare che il rapporto tra popolazione immigrata e percentuale dei detenuti extracomunitari è superiore a quello tra popolazione nazionale e percentuale dei detenuti italiani. Si potrebbe quindi concludere che gli stranieri delinquono di più, avvalorando l’opinione di molti.

In realtà, tali dati, lungi dal confermare l’equazione, ci parlano piuttosto di una condizione di maggior svantaggio e vulnerabilità degli stranieri.

Innanzitutto la legislazione vigente arriva a infliggere la detenzione a chi non è provvisto di permesso di soggiorno. In questa condizione si trova non solo chi è entrato clandestinamente nel nostro Paese, ma anche chi, arrivato regolarmente, ha poi perso il lavoro o ha scoperto che l’impiego promesso non era regolare o, peggio, non c’era.

Inoltre, l’imputato straniero è per più ragioni penalizzato quando affronta l’iter giudiziario, sia a causa della difficoltà a ricorrere ad un avvocato di difesa o dell’impossibilità pratica di accedere ad un gratuito patrocinio, sia a causa dello svantaggio linguistico-culturale che gli rende poco comprensibile ciò che accade durante il processo.

Una volta entrato in carcere, lo straniero, privo di permesso di soggiono o di altri elementi di supporto - come la famiglia, un lavoro e una casa - non potrà godere delle misure alternative alla detenzione.

Infine, scontata la pena, la prospettiva dell’espulsione immediata inibisce qualsiasi effetto rieducativo o reinseritivo della detenzione.

Si profila quindi un trattamento fortemente discriminante nei confronti degli stranieri che spiega la loro forte presenza nelle nostre carceri e, in parte, anche il problema del sovraffollamento.

Eppure la maggior parte degli stranieri è ormai una forza importante in Italia. Essi accudiscono i nostri anziani, si prendono cura dei nostri figli e delle nostre case, svolgono i lavori più umili, dimostrando spesso quello spirito di sacrificio che tra di noi si sta andando perdendo.

Lo noto talvolta nel mio lavoro: sono i ragazzi stranieri quelli più tenaci e caparbi nel voler raggiungere buoni risultati, quelli che più si spendono per dimostrare ciò che valgono.

Certo è che l’integrazione diviene una questione complessa, che richiede pazienza, tempi lunghi, apertura e lungimiranza, volontà da entrambe le parti, disponibilità allo scambio. Bisogna sforzarsi, pure all’interno del carcere, di creare momenti di condivisione, confronto; è importante anche agire e progettare insieme, costruire, insomma, un futuro condiviso, dove ci sia spazio per ciascuno.

Concludendo, vorrei tornare ai miei alunni di cui parlavo all’inizio, per lasciare un messaggio di speranza. I miei intolleranti ragazzi, infatti, pronunciano quelle frasi stando seduti di fianco ai loro compagni immigrati, ma non temono di offenderli. Non tanto perchè sono insensibili e non si curano della loro reazione, ma semplicemente perchè non li vedono come stranieri.

Gli stranieri sono quelli fuori, quelli di cui la televisione fa vedere i misfatti, non i loro amici con cui condividono la scuola o lo sport! É proprio attraverso i bambini italiani e stranieri che cresceranno insieme che si potrà creare una vera integrazione.