ANNO 2007

SOMMARIO anno 2007

  1. Finché ci lasciano la voce (Livio Ferrari)
  2. Nel 2006, sulle strade della solidarietà
  3. Un anno sotto il segno dell’indulto (Rossella Magosso)
  4. I giovani del terzo millennio come il giovane Francesco (Fulvianna Godino)
  5. Incontriamo le culture (Marta Muraro)
  6. Lo sportello Luna e l’impegno “simbolico” (Alessandro Sovera)
  7. Luna ci crede ancora! (Irene Rigobello)
  8. Il nostro cammino quotidiano con chi chiede aiuto (Fabio Furini)
  9. Volontarie, per non lasciarle sole (Paola Zonzin)
  10. Un servizio per i più poveri “Avvocato di strada”

[Sommario]

Finché ci lasciano la voce

di Livio Ferrari

 

Ogni anno che trascorre è uno stupore che si rinnova, per quello che accade e che non si sarebbe preventivato all’inizio.

Il 2006 è stato denso di iniziative e collaborazioni, oltre alla nascita di un nuovo servizio che continua il percorso tracciato sin dall’inizio da questa Associazione, cioè il rinnovarsi in relazione alle richieste che pervengono dal territorio che sono frutto delle modificazioni sociali che negli anni accadono.

Lo sportello Luna, nato lo scorso anno, che è il risultato delle ricerche effettuate e dell’attenzione rivolta alle donne straniere e alle vittime della tratta, da quest’anno ha visto l’instaurarsi di una proficua collaborazione con la Caritas Diocesana, che ha raccolto una nostra proposta in tal senso e ha attivato un apposito ufficio, codificando un interscambio continuo.

Le iniziative realizzate con il Coordinamento dei volontari della Casa Circondariale di Rovigo sono state rivolte soprattutto agli abitanti della nostra zona, per creare informazione e sensibilizzazione nei confronti di persone che è necessario recuperare alla legalità e socialità. Ecco allora la stampa di una cartolina dei detenuti per le feste natalizie, distribuita capillarmente sul territorio. L’organizzazione di un corso di formazione per volontari della giustizia, che ha visto la partecipazione di una settantina di persone, a fronte delle trenta previste, e che ha prodotto l’arrivo di nuovi volontari che hanno ingrossato le esigue fila di chi opera verso i ristretti di via Verdi.

A luglio abbiamo portato il carcere nella piazza centrale della città, attraverso uno spettacolo che ha proposto brani, interventi e musica che richiamavano la questione carceraria con testimonianze e contributi.

Continua pure il progetto, che ha oramai sei anni di vita, che permette a carcerati e persone in detenzione domiciliare di poter usare le giornate per recarsi presso la cooperativa sociale Spazio Elle di Monselice a svolgere attività di formazione al lavoro, in prospettiva del loro futuro reinserimento.

Una nota dolente è invece lo stop alla convenzione decretato dal Centro di Servizio per il Volontariato di Rovigo per lo Sportello Giustizia, un servizio a carattere regionale iniziato nel 2000 e che aveva contribuito a creare progetti e cultura solidale per le associazioni di tutto il Veneto, alimentando la nascita di nuove realtà di volontariato in  territori dove queste erano praticamente inesistenti. Un’esperienza unica in Italia che in sei anni ha cercato di alimentare, attraverso la collaborazione con i Centri di servizio per il volontariato delle province venete, la cultura della collaborazione e del confronto tra le diverse componenti del mondo del volontariato.

Al contrario è invece nato un nuovo tralcio di solidarietà, lo sportello di “Avvocato di strada”. Una realtà nata a Bologna alcuni anni or sono e che si sta spargendo a macchia d’olio in tutta Italia. Il Centro Francescano di Ascolto ha ritenuto di proporre agli avvocati della città questo servizio in quanto dal nostro osservatorio abbiamo verificato come sia in costante aumento la popolazione dei senza dimora e la fascia della povertà più in generale. Anche Rovigo inizia ad essere corrosa da problematiche di emarginazione sociale che ci sembravano lontane e che la globalizzazione ha in un certo senso distribuito nelle varie parti del nostro Paese. Potremmo parafrasare che l’aumento delle ricchezze è simmetrico a quello delle povertà. Infatti nonostante il moltiplicarsi di sportelli bancari in ogni angolo del capoluogo, sempre di più si vedono in giro persone in malarnese, gente che fruga nei cassonetti dell’immondizia, un numero sempre alto di presenze alle due mense dei poveri e l’insufficienza a dare risposte in termini di necessità di posti letto dall’asilo notturno. Purtroppo l’aumento dei problemi sociali non ha visto un conseguente aumento dei soggetti solidali, ma sono sempre e solo le stesse realtà di sempre a cercare di lenire le sofferenze della popolazione in difficoltà.

“...sempre contro, finché ci lasciano la voce” sono parole di un brano di Roberto Vecchioni che ritengo riassumano concretamente l’attuale nostra presenza sul territorio polesano, perchè fare volontariato, anche oggi, nel 2007, è un continuo mettersi contro la cultura dominante. Dedicare parte del proprio tempo al sostegno di persone in difficoltà va contro anche alle politiche di certi partiti che propugnano atteggiamenti xenofobi nei confronti degli stranieri che giungono in Italia, dimenticandosi quanto i nostri connazionali nel secolo precedente abbiano percorso le stesse strade di emigrazione per lo stato di povertà in cui versavano. Altre forze politiche alimentano scelte di privilegi economici per i ricchi e precarietà sociale e lavorativa per i meno abbienti, nella logica di essere forti con i deboli e deboli con i forti.

L’esempio a cui noi ci ispiriamo è quello di san Francesco d’Assisi e probabilmente anche noi come lui siamo derisi per i nostri atteggiamenti, per la scelta di stare accanto a chi soffre e ha meno risorse culturali ed economiche per vivere in modo dignitoso.

Nei tavoli organizzativi ai quali partecipiamo portiamo sempre e comunque proposte di pace e di giustizia, che spesso ci isolano anche all’interno del terzo settore e della pubblica assistenza in quanto anche il mondo della solidarietà è stato intaccato dal virus degli interessi, del denaro per intenderci. Il volontariato invece è l’unico soggetto che non può essere condizionato da interessi di “bottega” e può continuare a  mantenere la coerenza estrema con quanto crede, sia nelle scelte politiche che in quelle di natura pratica.

Perciò una voce libera, forse uno degli ultimi avamposti della nostra società in questo senso, che può continuare a svolgere il suo ruolo di coscienza sociale, rifiutando e denunciando le ingiustizie, le violenze e i fondamentalismi che minano la vita dei territori. Abbiamo poi la fortuna di avere un vademecum che può donarci risposta ad ogni cosa: il santo Vangelo, badando bene a non interpretarlo ma a viverlo.

 

 

[Sommario]

Nel 2006, sulle strade della solidarietà

 

1. Padova – Università, Facoltà di Sociologia – Master di criminologia “Il volontariato nella giustizia”

2. Marghera (Ve) – Centro di solidarietà don Milani – Corso formazione “S.O.S. carcere”

3. Marghera (Ve)Seac Veneto – Seminario “Il volontariato dove va?”

4. Rovigo – Coordinamento Volontari Carcere – Corso formazione “Il volontariato della giustizia”

5. Udine – CRVG Friuli Venezia Giulia – Corso formazione “Identità e valori del volontariato oggi”

6. Lendinara (Ro) – Gruppo scouts femminile – “Il carcere e il volontariato”

7. Mulazzo (Ms)Associaz. Papa Giovani XXIII – Giornata di studio “Dalla solidarietà verso la giustizia”

8. Levico Terme (Tn)Seac – Seminario di studi “Controllati e controllori”

9. Malosco (Tn) – Fondazione Zancan – Seminario di ricerca “Soluzioni alternative al carcere per gli immigrati”

10. Rovigo – Coordinamento volontari carcere – “Il carcere in piazza”

11. Adria (Ro)Csv – Tavola rotonda “Rieducazione e certezze della pena”

12. Roma – Coordinamento Nazionale Magistrati Sorveglianza – Convegno “Difendere Abele e recuperare Caino: una strada comune? Istituzioni e cittadini a confronto”

13. Rovigo – Centro Francescano di Ascolto – “Avvocato di strada a Rovigo”

14. Rovigo – Liceo Socio pedagogico – Lezione “Il carcere e la partecipazione sociale”

 

 

[Sommario]

Un anno sotto il segno dell’indulto

di Rossella Magosso

 

Un altro anno trascorso con frenesia …, impegno, lavoro e battaglie non sono mancati ma la voglia di fare non è venuta meno e nulla può indurci a cambiare il nostro stile. In questo tempo si sono continuate varie iniziative di collaborazione con le istituzioni, tra le quali il tavolo del Got (Gruppo Osservazione trattamentale) presso la Casa Circondariale di Rovigo, composto dal direttore, l’educatrice, la psicologa, il comandante degli agenti di polizia penitenziaria, l’assistente sociale dell’Eupe, il rappresentante del Sert e quello del volontariato. L’attività consiste nel visionare lo stato delle persone detenute che stanno per giungere a fine pena e nell’arco di qualche mese riotterranno la libertà. La verifica serve per appurare se è un soggetto con possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, se ha problemi alloggiativi, i rapporti presenti o assenti con la famiglia, nel caso di tossicodipendenti o alcolisti se c’è ancora necessità che sia seguito dal Ser.T. (servizio tossicodipendenza) dell’Asl, etc.

Il gruppo è ancora in fase sperimentale, ma avere coinvolto anche noi rappresentanti del volontariato è un segnale importante del ruolo che si è assunto nei rapporti istituzionali e nel servizio in carcere. Fa altresì sperare che in futuro ci sia sempre collaborazione fra le associazioni e le istituzioni, in quanto assieme possono essere maggiori le risorse da investire e le risposte da dare per gli ostacoli da superare.

Il mondo carcerario nel 2006 appena trascorso è stato connotato da un evento assai atteso da tutti i detenuti: l’indulto. Atteso da sedici anni è finalmente arrivato questo atto di clemenza da parte del Parlamento italiano, donando la libertà anticipata a molti ristretti, circa diciottomila, svuotando in  modo sensibile gli istituti penitenziari.

Anche il nostro carcere di via Verdi ha visto un “esodo” di circa il 60% della popolazione detenuta, per la gioia sia di chi è uscito che degli operatori, e dando respiro a chi invece è rimasto in quanto gli spazi nelle celle si sono allargati. La necessità di non essere troppo penalizzati dagli spazi di detenzione è un fatto molto importante per poter sopportare meglio la perdita delle libertà.

Anche con l’assessorato ai servizi sociali del Comune di Rovigo è in atto da anni un tavolo di collaborazione, con la presenza, oltre che dei rappresentanti delle associazioni di volontariato, dell’assessore stesso e dei funzionari comunali, della direzione della Casa Circondariale, dell’Uepe di Padova, del Centro Territoriale Permanente e dell’assessore della Provincia. Molte sono le discussioni attorno alle quali si snodano gli incontri, con proposte di iniziative e progetti che spesso però sono di difficile attuazione e il più delle volte rimangono buone intenzioni.

Attraverso la nostra attività di volontariato nella sezione femminile abbiamo promosso diverse iniziative per alimentare momenti di svago e spensieratezza, se tale può assurgere in qualche momento in un luogo del genere. Anche le cose più semplici come il gioco della tombola alimenta entusiasmo e partecipazione da parte di tutte le ragazze presenti. Diventa un momento di condivisione che riesce a distogliere per qualche ora dai tristi pensieri che la carcerazione determina in continuazione. Anche per organizzare momenti così semplici non mancano le difficoltà, spesso causateci dalla custodia, ma niente e nessuno ci smonta nel desiderio di portare momenti di vita in comune. Tanto che continua positivamente il nostro fare “salotto”, condito di risate ed allegria, e poi far stare insieme queste donne, la maggior parte straniere, di varie etnie e culture non è poi cosa da poco, portando loro l’aria del fuori che diventa ossigeno vitale.

Continua pure l’impegno per determinare l’uscita della rivista “Prospettiva Esse”, anche se pure in questo caso non sono assenti le difficoltà, per coinvolgere alla scrittura degli articoli mettendoci dentro le loro storie e i loro sentimenti, in modo da renderlo più vero e più ricco.

In occasione delle feste natalizie abbiamo organizzato uno spettacolo musicale che a sua volta, per poco, ha portato fra quelle mura musica ed allegria, uomini e donne insieme nella cappellina che per l’occasione si trasforma in teatrino.

Solidarietà e sentimento sono alla base per la buona riuscita del nostro operato, per ridare loro dignità, che in fondo è il bisogno più vero e concreto di queste persone, che vivono un periodo della loro esistenza in un luogo sempre troppo isolato e dimenticato.

Il fare parte di un’associazione, cioè di un gruppo di persone, ci aiuta  nei momenti di scoramento a tenere vive in noi le motivazioni iniziali al servizio, il senso dell’amore per il prossimo e il diventare prossimo. L’essere Centro Francescano di Ascolto poi ci da opportunità, come è successo nel 2006, di vivere momenti importanti di fraternità, di condivisione, come è stata l’esperienza delle giornate di Assisi.

Ancora oggi ripenso a quei momenti con molta gioia, per la carica ed energia che mi hanno trasmesso, esperienze da rifare periodicamente per l’aiuto che si determina dentro di noi e ci serve nel nostro operare.

 

 

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I giovani del terzo millennio

come il giovane Francesco

di Fulvianna Godino

 

Mi piace ricordare con emozione e riconoscenza, che a portarmi in Via Mure Soccorso, nei locali dove da poco si era trasferito il Centro Francescano di Ascolto, è stato il maestro Luigi Mutterle, il grande “vecchio” - giovane dentro - che credeva fortemente nei giovani, che li ha appoggiati ed incoraggiati nell’”avventura”del volontariato.

Gigi, che era  Ministro Diocesano dell’Ordine francescano secolare, mi aveva invitato, con altri suoi diretti collaboratori, al martedì mattina, per concordare insieme il programma di impegni OFS e le notizie da pubblicare sull’Angolo Francescano de “La Settimana”.

Ogni tanto eravamo interrotti da una telefonata o una visita; così senza discorsi teorici, ho conosciuto le finalità del Centro Francescano di Ascolto. Ho imparato dal vivo l’accoglienza dell’emarginato: un bel sorriso, una stretta di mano (senza lasciar trasparire il disagio per la mancanza d’igiene...), un ascolto attento e partecipato dei vari problemi e difficoltà del visitatore ed infine la promessa che si farà tutto il possibile per aiutarlo.  E da circa 10 anni, contribuisco all’attività del Centro con la mia presenza settimanale.

Come è stato ricordato in diverse assemblee annuali, il Centro Francescano di Ascolto è nato per la risposta generosa di un bel gruppo di giovani francescani secolari, alla proposta dell’assistente spirituale d’allora padre Giorgio Cavedale.

In questi anni molti di quei primi volontari, non certo per mancanza di entusiasmo, ma per motivi di lavoro ed impegni di famiglia, hanno dovuto rallentare e smettere il proprio servizio. Però ad ogni occasione, si ritrovano sempre con grande gioia e senso di amicizia: insieme all’allegra brigata dei loro bambini, negli incontri di riflessione e preghiera, che si concludono con la cena condivisa fraternamente, ma soprattutto diversi cercano di partecipare al biennale “ritiro” ad Assisi che l’associazione organizza per respirare per qualche giorno la spiritualità francescana, utile per rinfrancare la propria fede ed il proprio carisma.

Intanto però sono entrati altri volontari: giovani pensionati e giovani (per lo più universitari o neo laureati), nessuno proveniente da formazione francescana.

All’inizio mi sono chiesta cosa abbia spinto quei ragazzi a donare in questo modo una parte del loro tempo, perché anch’io, bombardata dall’amplificazione sui mass media di episodi di assenza completa di valori di cui sono protagonisti i giovani, sono stata tentata a pensare che le nuove generazioni siano del tutto vuote di senso. Per fortuna ho a portata di mano la smentita: no! ci sono ancora giovani meravigliosi!

A questo proposito, mi sono ricordata che l’altro anno, agli Esercizi Spirituali del Movimento Francescano, padre Daris Schiopetto ci ha fatto meditare sulla vita di S. Francesco, facendo riflessioni interessanti sul suo periodo giovanile. Nelle biografie di Francesco (le prime un po’ condizionate emotivamente dalla sua fama che lo ha portato a proclamarlo santo a neppure 2 anni dalla morte), i suoi primi 25 anni sono presentati in modo vario.

Ma nel confronto attento degli scritti: di Tommaso da Celano (2 Vite e il Trattato dei miracoli), di S. Bonaventura da Bagnoregio (Leggenda Maggiore e Minore), la Leggenda dei 3 Compagni e dell’ Anonimo Perugino, da studi recenti si è concluso che Francesco giovane lo si può paragonare ai giovani del nostro tempo con un rapporto con Dio occasionale, limitato. Lavora volentieri nel negozio del padre, perché il denaro gli serve per i divertimenti serali che organizza con gli amici, di cui è fantasioso animatore; la famiglia – dice severo il Celano – lo educa “con eccessiva tolleranza” evitandogli fatica e sacrificio, perché, essendo ricchi, pensano sia amore il concedere tutto.

Francesco così cresce ritenendo che è permesso tutto ciò che gli piace.

Però ha anche lati positivi (che non mancano ai giovani di oggi): è generoso e gioviale, ma ancora per sentimenti negativi: orgoglio ed egoismo, cioè per astuzia di commerciante ed in genere per far parlare di sé. Ma Dio parte da queste doti naturali per trasformarlo.

La conversione comincia da due incontri particolari: con un povero che, “contro le sue abitudini” (LegM), scaccia dal suo negozio, e col lebbroso per il quale, superando l’innata repulsione, per “vincere se stesso, scese da cavallo…” (LegM) e lo abbracciò.

Tra le righe delle biografie si legge che Dio può prendere i suoi santi in ambienti di scarsa fede; inoltre – fa notare il Celano - poiché i giovani, quando sono in gruppo “millantano colpe peggiori”, sono spavaldi e si sentono forti, ma da soli sono fragili e insicuri, Dio che conosce come conquistarli, prende Francesco in disparte, cioè nel momento della sua debolezza, ma anche di maggiore genuinità.

La Grazia non cambia la personalità degli individui, ma la orienta verso il bene.

Tutti i biografi notano che Francesco, quando ancora “viveva vita mondana” (1Cel) aveva “un sentimento di generosa compassione verso i poveri” (LegM), ma “una volta mandò via a mani vuote un povero che gli chiedeva l’elemosina per amore di Dio. Ma subito, rientrato in se stesso, gli corse incontro, gli diede con clemenza l’elemosina  e promise che d’allora in poi non avrebbe mai detto di no a chi gli avesse chiesto per amore di Dio.” (LegM). E l’Anonimo Perugino riporta il rimprovero che Francesco rivolge a se stesso: “Se quel povero ti avesse chiesto un contributo in nome di qualche potente, glielo avresti dato. Quanto più avresti dovuto farlo avendoti pregato nel nome del Signore dell’universo?”

Anche nel rapporto con i lebbrosi, in Francesco, un giorno c’è stata una svolta radicale: “Quando ero nei peccati mi sembrava cosa molto amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia” (1Cel). ”Francesco – gli disse Dio in spirito - preferisci le cose amare alle dolci e disprezza te stesso, se vuoi conoscermi. Perché gusterai ciò che ti dico, anche se l’ordine è capovolto.” (2Cel).

Il vedere con quanta naturalezza ed entusiasmo, i miei giovani “colleghi” volontari si impegnano nel cercare di aiutare fraternamente chi ha qualche necessità, è una piacevole sorpresa e noto una loro diversa impostazione nel rapporto con “gli ultimi”, rispetto a chi partecipa a campagne di beneficenza per scopi di per sé nobilissimi, ma ostentando un certo esibizionismo, come Francesco prima della conversione.

Non ho mai intervistato i miei “compagni di strada”, ma esprimo solo mie impressioni. Avranno cominciato ad andare, con la loro gioia di vivere e le loro chitarre, ad animare la Messa festiva in carcere o in qualche reparto d’ospedale. Era un modo per stare insieme, divertendosi spensieratamente come in tanti altri momenti.

Poi però, confrontandosi con quei giovani come loro, ma che sono in situazioni di forti limitazioni, si saranno chiesti: perché io invece sono libero? Perché io sono sano?

Ed è scattato qualcosa che li ha convinti a prendere un impegno più continuo e disinteressato, cioè con l’unico scopo di portare un po’ di serenità e speranza a chi soffre.

 

 

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Incontriamo le culture

di Marta Muraro

 

Passeggiando per le vie del centro non si può non notare quanto sia cambiata la nostra città. E’ diventata un mondo di colori, tante persone che hanno lasciato la loro casa, la loro terra e deciso di provare ad “aver fortuna”.

Cosi l’integrazione sociale è diventata un imperativo, perché anche se non lo vogliamo ci incontriamo, ci parliamo, ci muoviamo… e se è proprio questo ciò che accade, non c’è più una sola cultura che forma l’identità di una persona, ma tutte le culture che incontra contribuiranno a formare la sua identità.

Come importante diventa passare da quel concetto di “multicultura  più volte sentito a quello di  intracultura”, cioè ad una forma nuova, ibrida, e permeabile di culture diverse.

Questo evita che le culture si “schiaccino” tra loro, bisogna valorizzare le differenze e cogliere gli aspetti positivi e i valori che le culture portano con sè.

Società ospitante e migranti devono sedersi al “tavolo del dialogo”, ma non sempre questo è facile e quando accade viene in aiuto il mediatore.

Il mediatore è colui che mette in relazione le parti senza essere ad esse legato per arrivare ad una forma di soluzione del conflitto.

Non è colui che è ha la soluzione pronta, ma una figura capace di vivere bene tra due culture, che potrà, se messa nelle condizioni di operare, aiutare quanti sono incapaci di comunicare e far capire, forse le storie e l’umanità di quei migranti.

 

 

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Lo sportello Luna e l’impegno “simbolico”

di  Alessandro Sovera

 

Ho la sensazione che tra gli effetti perversi di una società in piena crisi d’identità collettiva si annidi un modernismo falso-illuminista, alimentato dal benessere consumistico, volto a sminuire la valenza conviviale ed empatica dei riti solidali tradizionali. Ciò balza all’occhio, in particolar modo, durante le festività natalizie e di fine anno: in  certi ambienti suona maledettamente a la page esecrare con aria annoiata le celebrazioni di rito, evidenziandone polverosità e ipocrisie retrostanti. Strano, vista la fiumana di euro spesi dagli italiani, e soprattutto da questi nichilisti posticci con la puzza sotto il naso, per “festeggiare” qualcosa che a parole interessa pochi. Questo buon viso a cattivo gioco, se da un lato è deprecabile e sciocco, dall’altro evidenzia che tutto sommato il valore dei simboli permane, per quanto il loro contenuto venga rielaborato a seconda delle circostanze storiche e sociali.

Credo che uno dei compiti cui il terzo settore dovrebbe essere chiamato sia proprio quello di lavorare sui simboli. La crisi dell’identità collettiva di cui parlavo prima, in questo periodo storico, rischia di risolversi in senso grossolanamente antitetico. Diversi segnali giustificano una preoccupazione di questo tipo. Anzitutto, l’artificiosità di un dualismo politico interveniente su ogni questione al vaglio della pubblica opinione, il cui esito principale è alimentare una (povera) logica da blocchi contrapposti, inasprendo il dibattito all’esasperazione e perdendo di vista, il più delle volte, i contenuti reali. In secondo luogo l’ondata immigratoria che attraversa il nostro paese, e che in qualche modo è destinata a cambiare il volto della nostra società, mettendoci a diretto contatto con bagagli culturali e relazionali eterogenei. Sia in un senso che nell’altro, il terzo settore, e il volontariato in particolare, è chiamato ad un compito non facile. Sul primo versante, la sfida è la ricomposizione, per quanto possibile, della frattura tra la complessità sociale e un sistema politico che tende a bipolarizzare tutto. Sul secondo, è necessaria un’opera di mediazione continua dei conflitti potenziali, che apra al dialogo e alla conoscenza reciproca: la dimensione degli immigrati non si esaurisce infatti in quella di nuovi e “semplici” indigenti. Per affrontare tutto questo siamo chiamati a investirci, più che mai, di un ruolo propedeutico e non assistenziale. Il che significa, anzitutto restituire un carico semantico “pensato” a quelle rappresentazioni semplicistiche che rischiano di dominare a tutti i livelli. La parola simbolo, etimologicamente, significa “contrassegno”. Un contrassegno, in sé, non è nulla: è necessaria un’opera di attribuzione di contenuto che noi svolgiamo e che abbiamo il diritto di mettere in discussione. Ed è proprio in questo senso che il terzo settore ha l’imperativo di soggettivarsi politicamente: una presa di coscienza che è, anzitutto, un’operazione culturale.

E’ questo uno dei fermi propositi dello Sportello Luna per il nuovo anno, tanto per recuperare il discorso fatto in partenza: è proprio da un simbolo (l’inizio del nuovo anno, che non è altro che questo) che intendiamo percorrere questa strada con coscienza ed esperienza sempre maggiori. La collaborazione con la Caritas diocesana ci ha consentito di allargare il nostro campo di azione, e di orientarci verso la costruzione di un polo importante per la città e la provincia di Rovigo, capace non solo di offrire percorsi di inserimento e risposte di spessore crescente, ma anche di “aprirsi” alla società come laboratorio di significati non asserviti a sottese logiche partitiche, economiche o altro. Certo, si tratta di un percorso non privo di potenziali errori e mistificazioni. Tuttavia credo che la trasparenza negli obiettivi, e non la cooptazione delle problematiche in funzione di secondi fini personali, debba essere lo zenit della nostra attività. E’ in questo modo, infatti, che è possibile confrontarsi e acquisire un legittimo potere contrattuale anche nei confronti di quelle istituzioni e di quelle frange della società che appaiono irremovibili nel proprio operare o pensare. Ma come tradurre nella pratica tutto questo? Ricette pronte non esistono, anche perché così fosse cadremmo immediatamente in quella standardizzazione che invece vogliamo sviscerare. Una cosa, tuttavia, è indispensabile, al di là delle sue modalità di attuazione: la partecipazione competente. Il terzo settore non può chiudersi in se stesso, riducendosi a lavacro delle coscienze individuali. Il suo obiettivo, qualora voglia vantare un minimo di coerenza, è incidere sulla coscienza collettiva, il che impone una piena partecipazione sociale.

Partecipazione, dunque, ma con competenza: bisogna dotarsi di strumenti conoscitivi di primo livello per porsi su un piano di dialogo effettivo con il mondo istituzionale e politico, o il rischio è quello di scivolare nel calderone dell’ideologia moralistica, opinabile e non suffragata dalla realtà. Questo non significa, come molti credono, abiurare l’ispirazione retrostante l’attività di un’organizzazione, ma semplicemente posporla, e non anteporla, all’analisi dei fatti.

In conclusione, il proposito per il futuro è quello di non offrire buoni argomenti a quel cinismo pubblico che vede il terzo settore come un ricettacolo di buonismo, da indorare a parole ma ignorare nelle scelte, per poi correre ad appellarsi ad esso di fronte a problemi in precedenza sottostimati. Sarebbe come dar ragione a coloro che, annoiati dal Natale tradizionale e dal calore familiare, decidono “coerentemente” di ignorarlo con regali sfarzosi e soggiorni esotici o altomontani, a suon di milioni.

 

 

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Luna ci crede ancora!

di  Irene Rigobello

 

La crescita del sommerso nel mondo della prostituzione ha certamente e per l’ennesima volta, modificato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno prostituivo.

E’ veramente incredibile che con i milioni spesi da enti pubblici e privati in campagne di sensibilizzazione, di informazione ecc., alla comunità sociale non passi ancora il messaggio che quando si parla di prostituzione non si parla di extraterrestri ma di esseri umani! Di donne, di bambini, di uomini: con un volto, con due gambe, due braccia proprio come noi.

Con questo, non voglio dire che non si parli del fenomeno prostituivo anzi…, i nostri giornali più o meno autorevoli, amano scoop a luci rosse, in televisione ci sono spesso trasmissioni che approfondiscono il tema, ma in generale si tratta di una atteggiamento di attenzione-curiosità, che rischia di trasformare la prostituzione in un fenomeno da baraccone.

Un pericolo reale dal momento che l’attenzione nei confronti della prostituzione si accende, soprattutto quando esistono problemi di ordine pubblico, di emergenza sociale, senza il clamore del popolo, lo sfruttamento degli esseri umani può continuare indisturbato a crescere e a svilupparsi come un morbo capace di stroncare vite sempre più giovani. Basta dare un occhiata ai dati relativi alle baby prostitute presenti nei paesi meta di  turismo sessuale: in Thailandia i minori sfruttati sessualmente sono 300.000, in Brasile 500.000, in Cina 600.000, in India 575.000, non si tratta certo di poche persone, anche se  rispetto alla prostituzione non esistono mai numeri precisi. Tentare di tradurre le dimensioni di un fenomeno complesso e articolato all’interno del quale ci sono in ballo  vite e non unità è sempre difficile.

Il mercato del sesso a pagamento in Italia si sta diversificando e ampliando con una sempre più forte connessione con l’uso e il consumo di sostanze stupefacenti. Il prodotto sul mercato diventa sempre più adeguato alle richieste di una clientela a caccia del  “pacchetto all inclusive”, ed ecco che la combinazione di prestazioni sessuali e uso di stupefacenti è, attualmente, il prodotto più completo che si possa offrire. Questa è un’alchimia molto pericolosa per due ordini di ragioni: uno sanitario e uno umano.

In breve tempo hanno ripreso a diffondersi malattie e infezioni sessualmente trasmissibili, che fino a qualche tempo fa erano assolutamente scomparse, come la sifilide che nel Veneto ha avuto un incremento elevatissimo e l’aids che continua a diffondersi pericolosamente, dal momento che, molti clienti sono padri di famiglia che mettono a rischio mogli, compagne e  fidanzate.

Donne che si trovano a fare i conti con malattie  che rischiano di durare per tutta la vita e  che del contagio non ne sono neppure state artefici. Appare, dunque, evidente che la prostituzione è una realtà  che riguarda tutte le donne e tutti gli uomini, non è un emergenza un terremoto, uno Tsunami. No! E’ qualcosa di radicato e profondo e che nella dimensione della tratta si trasforma in una sorta di  attentato costante alla dignità della persona umana. Credo che le società attuali a caccia di mille definizioni dovrebbero in qualche modo prendere coscienza delle crepe che hanno nei muri per evitare un crollo improvviso e inaspettato. Ma se alla società non interessa noi perchè ci investiamo il nostro tempo? Per chi lo facciamo?

Sono interrogativi ai quali è difficile trovare risposta, ma Luna c’è, esiste e faremo di tutto perchè continui ad essere un punto di riferimento per  quelle donne che durante la notte sono “merce” ambita  e ricercata, ma che al levarsi del sole diventano solo rifiuti da eliminare dalle strade di una “civile” società borghese piccola piccola.

 

 

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Il nostro cammino quotidiano

con chi chiede aiuto

di  Fabio Furini

 

Un altro anno di ascolto è passato, volti vecchi e nuovi si sono affacciati e hanno bussato alle porte della nostra Associazione carichi di speranze e bisognosi di risposte.

I volontari hanno offerto, in sede, un segno importante nel loro servizio: la fedeltà alla presenza e all’ascolto di tutti. I volontari che si interscambiano e che sono presenti durante la settimana hanno permesso una continuità nell’apertura e copertura dei turni di servizio, assicurando una presenza viva e attiva, capace di rispondere alle richieste e di perseguire i progetti di solidarietà promossi e attuati dall’Associazione.

 

Il nostro lavoro quotidiano

Dai dati in tabella emerge su tutti quello delle numerose richieste di informazione e di contatti con enti pubblici e privati. Spesso sono legati alla progettualità promossa dal centro e sempre più sono legati alla buona rete di contatti che in questi anni si è realizzata con persone e associazioni presenti nel territorio. Ciò porta l’Associazione ad essere un importante punto di riferimento per problematiche specifiche quali il carcere e la giustizia.

Il lavoro di segreteria permette ogni giorno di mantenere i contatti con tutte queste realtà che operano con noi, ma soprattutto offre informazioni importanti a chi cerca aiuto o riferimenti adeguati alla propria richiesta. Infine c’è tutto il lavoro di collegamento tra le varie attività svolte nei vari servizi da tutti i volontari del Centro.

Parallelamente c’è il disbrigo di pratiche amministrative (dalla corrispondenza ai contatti telefonici) senza le quali i volontari mancherebbero di preziose informazioni per poter avere le conoscenze necessarie a rispondere alle richieste degli utenti e dei loro familiari.

La segreteria assicura anche il passaggio puntuale e preciso delle richieste di colloquio, delle attività promosse dall’Associazione, delle informazioni provenienti da altri enti, delle adesioni ad iniziative (convegni, forum, incontri) promossi da diversi soggetti.

 

Un anno di ascolto

Anche nel 2006 numerose sono state le richieste di aiuto di persone che vivono il loro disagio negli ambienti più diversi della loro vita sociale. I contatti coi volontari si sono concentrati maggiormente nei primi mesi dell’anno con una stabilizzazione di presenze che da alcuni anni fa si che i servizi svolti dal Centro si indirizzino verso specifiche problematiche sociali.

Il problema detenzione registra i maggiori interventi sia di ascolto che di sostegno e proposta di percorsi di reinserimento sociale, lavorativo ed abitativo.

Ha avuto continuazione l’attività dei volontari con progetti di aiuto e di inserimento lavorativo attraverso il progetto “Il carcere della speranza” e l’impegno di promozione regionale dello “Sportello Giustizia”, oltre all’annuale presenza nella Casa Circondariale di Rovigo. Questi progetti ricevono quotidiano sostegno nel servizio ascolto sia in ambito informativo che nel mantenimento dei contatti con gli enti che partecipano all’esperienza.

Si nota un inasprirsi delle problematiche legate al disagio familiare e all’emarginazione. Esso si coglie nei vari bisogni legati all’aiuto psicologico (solitudine e perdita dei riferimenti affettivi), nelle necessità economiche e nel costante manifestarsi di problemi legati all’emarginazione che vivono gli extracomunitari.

Il Centro ha offerto a queste persone un sostegno psicologico fornendo poi informazioni chiare che mirano alla loro integrazione sociale nel territorio.

Il maggior aumento di richieste di aiuto si sono concentrate attorno allo sportello “Luna”, condiviso durante l’anno 2006 con la Caritas Diocesana.

Quasi scomparse sono le richieste legate al mondo delle dipendenze e al sostegno dei malati di Aids, segno di un ulteriore specificazione dei nostri servizi a scapito di altri già seguiti da altri enti ed associazioni.

Un dato assai interessante è l’aumento di richieste pervenute per fare volontariato nell’Associazione. Nell’analisi c’è da tener conto del corso di formazione per volontari della giustizia della scorsa primavera e alle varie iniziative di informazione e sensibilizzazione svolte in ambito pubblico con incontri, dibattiti e confronti su tematiche sociali che hanno fatto conoscere maggiormente il nostro lavoro nel territorio.

 

Il futuro: promuovere il quotidiano

Gli interventi posti in atto in questo anno hanno cercato d’integrarsi con le esigenze del nostro territorio per dare risposte d’aiuto chiare e pertinenti. Il sistema di rete con gli altri protagonisti sociali si sta continuamente consolidando dando luogo a nuove progettualità condivise con i soggetti che lavorano nei nostri stessi ambiti di servizio.

L’obiettivo futuro è di mantenere i progetti esistenti coinvolgendo sempre più i volontari nel servizio facendolo diventare un impegno quotidiano che permette di ascoltare, accompagnare e sostenere i percorsi di uscita dal disagio di tante persone che bussano alla nostra porta.

Nella fedeltà al servizio, sostenuta da una formazione umana e conoscenza competente delle problematiche sociali, si può costruire un futuro fatto di speranza e di impegno.

L’impegno del volontario deve continuare a volgersi sempre più nell’attenzione partecipata a chi soffre, percorrendo un tratto di strada insieme, per riaccendere le speranze di una vita che ritrovi dignità e significato.

 

 

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Volontarie, per non lasciarle sole

  di Paola Zonzin

 

“Quando tornate la prossima volta?”, ci chiedono le donne detenute nella sezione femminile del carcere di Rovigo mentre ci avviamo verso l’uscita. Siamo appena state lì, un piccolo manipolo di volontarie, per fare un po’ di festa nel più classico dei modi, la tombola. Attorno al tavolo, ognuna intenta ad abbassare le finestrelle, eravamo una strana famiglia, multietnica e tutta femminile. Eppure aleggiava un entusiasmo quasi bambino: l’esultanza per i premi ottenuti, l’attesa per il numero che non esce, l’ironia di chi non vince niente.

È stato per molte un ritorno all’infanzia, a gesti familiari compiuti chissà quante volte in Natali più felici. E si percepisce quanto bene faccia a chi è lontano da casa e dagli affetti ripetere quei gesti, ricreare, anche se solo per un’ora, l’atmosfera di festa e di famiglia e sapere che qualcuno tiene a te, che sei oggetto delle sue attenzioni. Anche semplici iniziative dei volontari hanno per i detenuti questo valore aggiunto, sono una boccata di aria fresca che rinnova il legame con la vita che scorre là fuori, che aiuta a far memoria della propria storia, al di là della condizione di carcerati, e che fa sentire che non si è tagliati fuori del tutto.

I volontari propongono attività, forniscono assistenza materiale, alleggeriscono la monotonia della giornata reclusa, portano notizie da fuori, ascoltano, ma sempre incontrano persone, uomini e donne. Ciò che stupisce infatti, quando ti si sono chiusi alle spalle i sei cancelli che separano dalle Sezioni e ti ritrovi di fronte a chi è recluso, è che ciò che accade tra volontario e detenuto è un incontro tra persone, senza altri aggettivi. Scrive Daniela de Robert, giornalista Rai, da vent’anni volontaria a Rebibbia: “In carcere ci sono persone normali, uomini e donne come noi, ed è questo che colpisce subito nell’entrare per la prima volta. È uno schiaffo che arriva violento, quando pensi di trovare criminali e trovi degli uomini e delle donne, quando cerchi qualcosa di straordinario e incontri l’ordinario. A volte è talmente difficile da accettare che qualcuno, entrato in occasione di un’iniziativa culturale, uscendo ha detto: - Certo, sembrano proprio come noi -. Il fatto che fossero come noi non era concepibile”. Entrando in carcere scompaiono le categorie di buoni e cattivi e, se una parola affiora alle labbra, è semmai “ferita”. I volti dei reclusi – anche questo colpisce entrando le prime volte - portano le stimmate della sofferenza, sono vite segnate dalla povertà che non è solo mancanza di beni materiali, ma prima di tutto di opportunità, di amore, di capacità di discernimento.

Nonostante le paure e i pregiudizi che circondano il carcere, d’altra parte comprensibili vista l’informazione parziale e talvolta distorta su tale tema, in quest’ultimo anno la nostra città ha risposto attivamente alle iniziative proposte dal Coordinamento Volontari del Carcere.

Il Corso di Formazione per “Volontari nella Giustizia”, organizzato nella primavera scorsa dall’Associazione Portaverta, dalla Caritas, dal Centro Francescano di Ascolto, dalla San Vincenzo de Paoli con il sostegno del Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Rovigo, è stato seguito da oltre settanta iscritti. Il corso si è articolato in dieci lezioni tenute da chi, a vario titolo, conosce profondamente il carcere: direttore, magistrato di sorveglianza, psicologo e assistente sociale, medico e cappellano; ognuno ha fornito il suo punto di vista permettendo di costruire un quadro che mostra tutta la complessità della realtà carceraria, le sue contraddizioni, i gravi problemi che la affliggono e che richiederebbero tempestivi interventi istituzionali. Risulta chiaro infatti che la finalità di recupero del detenuto è disattesa e che spesso il carcere più che un luogo in cui rinchiudere i delinquenti, è l’unica istituzione che “accoglie” gli emarginati (tossicodipendenti, immigrati, persone affette da psicopatologie) che la società non ha potuto o saputo aiutare. Per i partecipanti il corso non ha solo fornito conoscenze giuridiche e pratiche, ma è stato anche una chiamata all’ impegno civile, dentro e fuori dal carcere per un volontariato che non solo assista i detenuti, ma si impegni anche a sensibilizzare ed attivare la società di chi è libero verso chi è emarginato prima ancora che recluso.

Ha avuto lo scopo di portare il carcere fuori, di ricordare che fa parte della nostra città, la serata organizzata il quattordici luglio in piazza Vittorio Emanuele II. Condotta dalla giornalista Daniela de Robert, ha visto alternarsi momenti di riflessione e musica alla lettura da parte di giovani attori di brani tratti dal libro della stessa de Robert Sembrano proprio come noi, narrazione acuta, lucida ma allo stesso tempo umana della vita in carcere. È stato bello vedere le persone che, passeggiando con il gelato, si fermavano attratti da una canzone di De Andrè, ma poi restavano, incuriositi e interessati, per farsi avvicinare anch’essi dalle storie di reclusione.

Le iniziative dell’anno appena trascorso hanno già dato importanti frutti: si sono uniti al Coordinamento nuovi volontari: Chiara, Laura, Maria Luisa, suor Edda, suor Giuseppina e Armando già entrano in carcere, ciascuno portando il proprio personale e prezioso contributo.

 

 

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Un servizio per i più poveri

“Avvocato di strada”

 

Il servizio è stato pensato con l’intento di fornire cura, assistenza e tutela alle persone senza fissa dimora, attualmente “Avvocato di Strada” è concretamente uno sportello costituito prevalentemente da avvocati e laureati in giurisprudenza che forniscono gratuitamente consulenza ed assistenza legale, sia giudiziale che stragiudiziale, ai soggetti privi di fissa dimora.

Un gruppo di avvocati e di praticanti avvocati del Foro di Rovigo, venuti a conoscenza dell’iniziativa, hanno accolto l’invito di questa associazione di farsi promotori dell’esperienza di “Avvocato di Strada” nel territorio di Rovigo, con l’apertura del relativo sportello con sede in Rovigo, Via Mure Soccorso n. 5.

Successivamente è stato chiesto un parere preventivo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo che ha manifestato pieno favore ed appoggio all’iniziativa con nota del 31.8.2006, prot. 67/06.

Lo sportello è aperto al pubblico: il martedì e il giovedì dalle ore 14,30 alle ore 16,30.

Gli avvocati al servizio dei senza fissa dimora sono legali che lottano contro l’esclusione sociale e per l’affermazione e la difesa dei diritti della persona, attraverso uno strumento al servizio delle fasce più svantaggiate della società. Persone che non possono permettersi un aiuto legale oggi sono difesi dagli avvocati volontari appartenenti agli sportelli di varie città italiane.

Oggi gli Avvocati di Strada sono presenti a Bologna, Bolzano, Ferrara, Verona, Padova, Bari, Foggia, Pescara, Rovigo, Taranto, Trieste, Lecce e Venezia. Domani si spera che queste città possano essere molte di più.

Il progetto “Avvocato di strada”, realizzato per la prima volta nell’ambito dell’ Associazione Amici di Piazza Grande, nasce a Bologna alla fine del 2000. Sin dall’inizio il progetto è stato appoggiato dall’associazione bolognese “Nuovamente – persone e progetti per la città”, che ne ha discusso la fattibilità, ne ha curato la presentazione pubblica, e ne ha facilitato la concreta realizzazione, partecipandovi fattivamente tramite gli avvocati iscritti all’associazione.

Il progetto ha come obiettivo fondamentale la tutela dei diritti delle persone senza fissa dimora. L’esperienza nasce dalla necessità, sentita da più parti, di poter garantire un apporto giuridico qualificato a quei cittadini oggettivamente privati dei loro diritti fondamentali. La tutela legale viene prestata presso un ufficio, il cosiddetto “sportello” organizzato come un vero e proprio studio legale nell’accoglienza, nella consulenza e nella apertura delle pratiche.

Tra le prospettive del progetto vi è quella di aprire sportelli di “Avvocato di Strada” nelle principali città italiane ove risiedono persone senza fissa dimora.

All’attività degli sportelli partecipano a rotazione avvocati che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale ai cittadini privi di dimora, oltre a volontari che si occupano della segreteria e della conduzione dell’ufficio.

Altri avvocati, inoltre, pur non partecipando direttamente all’attività dello sportello, danno la loro disponibilità a patrocinare gratuitamente uno o due casi l’anno riguardanti persone senza fissa dimora. Gli sportelli legali di Avvocato di Strada sono legati da una struttura di Coordinamento Nazionale, pensata per cercare di favorire una crescita comune delle esperienze.

A Rovigo la costruzione di questo servizio, dopo alcuni mesi di preparazione ed incontri tra gli avvocati promotori, si è realizzata anche con il plauso del Consiglio dell’Ordine che ha invitato una lettera in cui apprezzava l’iniziativa e ne coglieva i valori profondi etici e sociali.

A fine ottobre c’è stata la presentazione ufficiale al territorio e alla città attraverso un incontro pubblico alla Pescheria Nuova e dai primi di novembre lo sportello è entrato in funzione e le richieste di consulenza legale e amministrativa, in questi primi mesi, non sono mancate e pure il numero di avvocati aderenti è sensibilmente aumentato arrivando agli attuali ventitrè.