ANNO 2003

SOMMARIO anno 2003

  1. Il tempo è galantuomo (Livio Ferrari)
  2. Nel 2002, sulle strade della solidarietà
  3. Ma chi te lo fa fare? (Claudio Zennaro)
  4. Un anno, al femminile (Michela Sasso)
  5. La cultura e i valori (Davide Belluco)
  6. Un servizio d’accoglienza quotidiano (Fabio Furini)
  7. Cosa ho fatto per loro? (Christian Malanchin)
  8. Partire da noi (Massimo Guglielmo)

 [Sommario]

Il tempo è galantuomo

di Livio Ferrari

 

“Il tempo è galantuomo” è una frase che ho sentito spesso ripetere durante l’infanzia, oggi forse non si usa più anche perchè coloro che conoscevo e la pronunciavano hanno lasciato questo mondo e insieme si sono portati una fetta di cultura che passava attraverso i cosiddetti proverbi dei vecchi. La frase in questione si addice molto bene nel pensiero e riflessione relativi al fatto che la nostra associazione è entrata nel suo quindicesimo anno di vita e più ci si gira indietro a rivedere quanto è stato e maggiore è lo sbigottimento per tutto quello che si è riusciti ad alimentare in tre lustri. Sia a livello locale, come regionale, che nazionale. Un dispiego di energie, progettualità e iniziative che guardarle a posteriori ti fanno proprio dire che “il tempo è galantuomo”.

L’anno 2002 appena trascorso è stato pure contrassegnato da attività ed interventi attraverso i quali ancora di più si è evidenziato come il Centro Francescano di Ascolto abbia spostato il proprio baricentro verso i servizi relativi alla giustizia in generale e al carcere, diritti e legalità in particolare.

Purtroppo continuano ad essere troppi i luoghi di emarginazione e infinitamente tante le persone che ogni giorno vedono calpestati i propri elementari diritti: alla vita, alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’affettività, etc. Tutta l’economia si piega a logiche che aumentano ogni giorno di più il divario tra chi sta bene e chi sta male. Il dramma di tante donne, uomini e ragazzi si incrocia perciò con le nostre semplici e piccole storie di volontari. Dietro le sbarre del carcere cittadino o nei vicoli e nei portici di una Rovigo che fa della nebbia il suo simbolo, nell’attutire ogni problema sociale e disperderne i rumori, facendo finta non ci fossero.

Ed invece drammaticamente e sempre più forti si stanno imponendo realtà di emarginazione e sfruttamento che sino a qualche anno addietro ci sfioravano appena. Lo spaccio di droga e la prostituzione sono mercati che nel capoluogo polesano sono in continua espansione e, a parte qualche piccolo incidente di percorso  che trova posto nelle sdrucite cronache quotidiane della carta stampata, questi commerci filano lisci in pieno centro tra generi alimentari e abiti in sconto. Il nostro particolare osservatorio ci segnala tanti altri “guasti” che si stanno producendo in un tessuto sociale messo sempre più a dura prova dalla mancanza di valori e da una mercificazione della vita, con il denaro ad essere l’unico vero arbitro dei rapporti padri e figli, mestieri e braccia umane, tempo libero e divertimento.

C’è anche da considerare un aumento considerevole di presenza straniera, nonostante l’altrettanto costante uso dell’espulsione che viene attuato dalle forze dell’ordine, soprattutto per chi esce da via Verdi ed è clandestino. Il ricordo mi va a Ines, una ragazza colombiana, che dopo qualche anno nel carcere cittadino, diversi permessi premio usufruiti, un corso di formazione al lavoro in atto e tutta una importante e faticosa riappropriazione del proprio vissuto, fatto di sfruttamento e violenza, nonostante il suo raccontarsi per essere aiutata a non rivedersi rimandata nella propria terra, dove l’attende il ritorno alla precedente situazione, di notte è stata fatta salire in fretta su un cellulare e portata all’aeroporto e rimpatriata.

Tutte queste vite a scomparsa che incontriamo nel nostro varcare la soglia di quel muro, che si staglia accanto al tribunale e che si vuole togliere dagli occhi della gente per farne uno più grande e distante, sono una faccia della medaglia della nostra società che non sa perdonare. Che parla di solidarietà ma alimenta la xenofobia e il razzismo, con leggi che consentono la presenza per necessità di bottega ma che creano le condizioni per una integrazione fasulla e fittizia.

Percorrere le strade del servizio volontario oggi significa incontrare tante forme di emarginazione che sono il frutto dell’ingiustizia che è sancita anche dal diritto, quello scritto negli ordinamenti e nei regolamenti della nostra civiltà. Ecco che di fronte a questi soprusi, che in tanti casi si trasformano in violenze e delitti, il nostro spirito di carità non può più essere sufficiente e bastare. Ecco che il volontario dalle mani nude si trasforma in un’agenzia di denuncia sociale, e diventa veramente presenza profetica, come si diceva qualche anno fa voce di chi non ha voce.

Gli ultimi volontari che si sono inseriti nei servizi di questa associazione hanno scoperto una situazione e una realtà sociale che per loro era impensabile. Pur nella nostra dimensione di minori o piccoli, in sintonia con la radice francescana che segna il nostro impegno e l’attenzione al povero, siamo persone inserite nella palestra della vita. Ed è una esperienza alle volte di solitudine, perchè è abissale la distanza con chi vive  nella normalità.

Ma anche da questa esperienza ha origine la progettualità del Centro, quale quella di organizzare momenti pubblici di confronto e proposizione. Per coinvolgere, a qualsiasi titolo, tutti coloro che intendano saperne di più su certe angolature, sfaccettature e tematiche che la quotidianità pone all’attenzione, e rispetto alle quali non è automatico avere una vera comprensione e un atteggiamento conseguente.

Ecco, tra l’altro, un motivo che ci ha spinto ad organizzare, per l’anno in corso, una serie di incontri seminariali. Per capire con quali risorse ed energie affrontare problematiche quali: la bassa offerta o mancanza di opportunità lavorative che diventano veicoli di emarginazione; le abitudini della popolazione giovanile e il consumo di droghe con i riti e le conseguenze nefaste; la tratta di giovani che provengono dall’Africa e dall’Europa dell’Est e vengono sbattute su strade di violenza e prostituzione; il senso del tempo e la cattiva e frustante psicosi del suo trascorrere; etc.

Allora possiamo affermare che il tempo è veramente galantuomo per il Centro Francescano di Ascolto, perchè oggi come nel 1988, nell’interscambio di volti ed atteggiamenti, nel modificarsi di costumi e culture, il senso della nostra presenza continua ad avere le stesse connotazioni ed obiettivi. Sempre dalla parte degli ultimi sull’esempio di san Francesco d’Assisi e in nome del Signore.

 

 

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Nel 2002, sulle strade della solidarietà

 

      1. Belluno – Centro di Servizio per il Volontariato – Seminario “Volontariato in carcere: impegno responsabile” - 2. Trento – ATAS – Convegno “Dignità come priorità – Riflessioni su percorsi di legalità e detenzione straniera” - 3. Cagliari – Sardegna Solidale – Seminario nazionale “Volontariato e impegno per la legalità e la giustizia” - 4. Iglesias (CA) – Sardegna solidale – Convegno “Occhi aperti per costruire la giustizia” - 5.     Lamezia Terme – SEAC regionale Calabria – Incontro di formazione “Il volontariato della giustizia” - 6. Padova – Liceo Scienze Sociali – Corso formazione “Biografie dietro le sbarre…il carcere tra pena e promozione” - 7.           Gorizia – Comunità Arcobaleno – Corso formazione “Pene alternative, alternative alle pene: la giustizia riparativa” - 8. Padova – Centro di Documentazione Due Palazzi – Giornata di studi “Carcere: salviamo gli affetti” - 9. Firenze – Istituto Poggio Imperiale – Seminario “Oltre il muro dell’indifferenza che fa del carcere una realtà invisibile” - 10. AnconaCaritas Diocesana – Convegno “Recluso…escluso” - 11. Zugliano (UD) – Associazione Icaro – Convegno “Dal carcere al reinserimento sociale: quali percorsi possibili?” - 12. Roma – Istituto Superiore di Studi Penitenziari – Tavola rotonda “La nuova organizzazione del DAP, tra riforma della pubblica amministrazione e mandato istituzionale” - 13. Roma – Comune di Roma – Convegno internazionale “Contesti migratori, diritti umani e prigioni nell’Europa allargata del terzo millennio” - 14. Portoferraio (LI)Caritas Diocesana – Tavola rotonda “Il lavoro nella detenzione: dignità personale e pace sociale” - 15. San Felice del Benaco (BS) Seac – XXIV seminario di studi “Un’unica città” - 16. RomaSeac – 35° Convegno nazionale “Giustizia e società: volontariato oggi” - 17. Torino – Gruppo Abele – Incontro “Ripartire dal carcere” - 18. Treviso – Associazione Per Ricominciare – Corso formazione “L’opera del volontariato” - 19. Padova – Fondazione Lanza – Convegno “Verso una carta etica per il carcere. Temi e domande” - 20. VicenzaCaritas Diocesana – Corso di formazione “Il volontariato penitenziario” - 21. Reggio Calabria – Centro di Servizio Sociale per Adulti – Seminario “La collaborazione del volontariato e della cooperazione nell’esecuzione penale esterna” - 22. Napoli – Associazione Il Pioppo – Incontro “Il volontariato nella giustizia” - 23. Cerignola (FG) – Confraternita San Leonardo Abate – Convegno regionale “Volontariato e giustizia sociale” - 24. Rovigo – Centro Francescano di Ascolto – Corso per insegnanti “Progetto Papillon” - 25. Rovigo – Coordinamento Volontari Carcere – Tavola rotonda “Il volontariato sui percorsi della giustizia” - 26. Modena – Centro Servizi Volontariato – Seminario “Occhio per occhio rende il mondo cieco – Strumenti e soggetti per una giustizia senza vendetta” - 27. Parma Caritas Parmense – Corso di formazione “Il volontariato carcerario” - 28. Venezia – Sportello Giustizia – Convegno regionale “Dietro le sbarre e dietro la lavagna…quando i percorsi scolastici incontrano la devianza” - 29. Cagliari – Associazione Solidarietà Universitaria – Incontro-dibattito “Volontariato, che senso ha?” - 30. Serdiana (CA) – Comunità La Collina – Incontro culturale “Volontariato, che senso ha?” - 31. Bologna – Villaggio del fanciullo – Corso di formazione “Volontari, perché?” - 32. Matera – Centro Servizio Volontariato – Convegno “Volontariato e carcere – Solidarietà senza barriere”

 

 

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Ma chi te lo fa fare?

di Claudio Zennaro

 

Sono passati ormai quattro anni da quando misi piede per la prima volta nel carcere di Rovigo come volontario. “Ero in carcere e sei venuto a visitarmi”. E’ questa esortazione di nostro Signore che mi ha spinto a fare questo passo e a dare del mio tempo per quel Cristo sofferente.

“Ma chi telo fa fare?” - “Io non ce la farei a dare una mano a quelli lì”. Erano queste le considerazioni della gente che mi conosceva quando hanno saputo che avevo deciso di impegnarmi in questo servizio di volontariato, e tra queste anche persone della comunità cristiana.

Una comunità cristiana che non ha un pensiero unitario sulla pena e sul carcere, sull’immigrazione e sulle disuguaglianze. A volte, purtroppo, prevale il non pensiero, non c’è una riflessione su queste tematiche fatta in misura sufficiente e il tutto viene affrontato con estrema superficialità.

Non essendoci una elaborazione propria, il pensiero di tanti credenti coincide in genere con la mentalità comune. Quella di chi pensa che l’unica realtà venga elargita attraverso i telegiornali, nel salotto di Bruno Vespa o sulle pagine dei quotidiani.

Cosa si sa delle carceri e di quello che si vive all’interno? Si sa, più o meno, da chi sono abitate e chi vi opera, eppure questa parola - carcere - ci coglie sempre di sorpresa. Forse non si può sostenere che si tratti di una dimensione completamente sconosciuta, ma di certo è accantonata.

Le mure degli istituti poste nel cuore di tante città, compresa la nostra, sembrano stadi a cingere il vuoto. E invece al di là vive un intero universo, il vuoto probabilmente è al di fuori, nell’indifferenza. Ci vogliono ragioni eclatanti perchè i riflettori si puntino sulle carceri. E’ successo nel periodo di tangentopoli con l’arresto di imputati eccellenti, se ne parla in questo tempo per l’invito che il Papa ha rivolto ai parlamentari italiani perchè venga dato un segnale di clemenza.

Questa attenzione intermittente dei mass-media e società tutta a cosa porta? Muta qualcosa? L’informazione usa e getta non produce risultati concreti; ad un impatto emotivo deve seguirne un altro ed il carcere, come altre tragiche realtà, è presto dimenticato.

C’è anche chi cerca di non dimenticare coloro che vivono lì dentro. Di fronte ad una società non pensante, ve n’è però una parte che si sforza di capire e cerca alacremente di trovare soluzioni alle disuguaglianza esistenti.

Per noi credenti l’oggetto del nostro agire è sviluppare il bene nel cuore dell’uomo e, allo stesso tempo, liberarsi dal male che è la massima delle povertà. La conversione del cuore non può essere imposta, ma solo vissuta in prima persona e poi trasformata in amore verso gli altri. Si tratta, allora, di convertirci ogni volta, perchè il rischio che corriamo è il desiderio di raggiungere un risultato concreto, di riuscire a cambiare l’altro, di convertirlo ai nostri valori.

Fondamentale per noi è scoprire Cristo in tutti gli uomini, indipendentemente dalle virtù o dalle deviazioni morali e sociali in cui sono caduti. Non dobbiamo giudicare ma amare il fratello, condividere la sua vita, ma anche aiutarlo ad intraprendere un cammino diverso da quello che lo ha portato a violare la legge.

E’ questo tipo di amore a fondo perduto che spesso fa nascere dei rapporti veri e profondi; perchè l’altro sente che non c’è nessun secondo fine, neppure nobile, ma si è lì solo per amare.

 

 

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Un anno, al femminile

  di  Michela Sasso

 

E’ trascorso un anno dalla prima volta che sono entrata in carcere, era il 14 gennaio, lo ricordo bene, come potrei scordare quanto ero agitata, come mi batteva forte il cuore, l’impazienza e la curiosità di vedere e conoscere questa realtà che mi sembrava così lontana, così diversa dalla mia.

Entro nella sezione femminile il giovedì pomeriggio e sono Michela “del giornalino”, con alcune ragazze detenute infatti ci ritroviamo per preparare gli articoli che poi verranno pubblicati nel giornalino del carcere,”Prospettive Esse”, dove “Esse” sta per speranza; con le ragazze scriviamo, discutiamo e commentiamo ciò che di nuovo è accaduto fuori e dentro il carcere. A seconda dei periodi ci ritroviamo più o meno numerose, ora siamo in tante, quasi una decina, non era mai accaduto ed è molto importante perchè segno che si ha voglia di ritrovarsi, anche se non è poi tanto l’iniziativa del giornalino a suscitare interesse, quanto il fatto di stare insieme, di riunirci quasi dimenticando dove siamo, come si ritrovano un gruppo di amiche per parlare e scherzare.

Forse questo mio pensiero è un pochino azzardato, non si può dire che ci si dimentica di essere in un carcere...certo insieme ridiamo e scherziamo ma la sofferenza, la rabbia, la rassegnazione, la paura, la preoccupazione e la nostalgia emergono in ogni discorso fatto, in ogni storia raccontata. Le ore “del giornalino” diventano momento di sfogo, di riflessione, di evasione...Ogni volta che entro nella saletta e incontro le ragazze mi sembra di sentirle più libere...almeno in quelle due ore, ho come l’impressione che aspettino con impazienza di stare insieme. Arrivano sorridendo, mi abbracciano e soprattutto mi chiedono come sto, mi riempiono di domande, riescono sempre ad anticiparmi, vorrei essere la prima a chiedere come stanno... Ho ricevuto tanto da ogni persona incontrata in questi mesi, anche le più “chiuse”, ciò mi riempie di gioia ma nello stesso tempo mi fa sentire così impotente... Stiamo bene in quelle due ore, il tempo vola e non ce ne accorgiamo, ma sono solo un piccolo ritaglio di tempo, tutto il resto è ozio, a parte qualche corso o incontro con volontari, le giornate trascorrono inutilmente. Le carceri dovrebbero essere luogo di rieducazione, di attività, dove chi ha sbagliato possa espiare la sua pena rendendosi utile, invece e nonostante tanto vociferare sull’argomento, sono un luogo di punizione, di segregazione e basta... Quando sono con le ragazze il giovedì mi sento tra amiche, è giusto? Semplicemente immagino un realtà diversa, ci credo e continuo a sperare, ognuno di noi può sbagliare. Le scelte che facciamo nascono dalla ragione ma a volte anche dalla necessità, dalla mancanza di alternative, per amore o per odio c’è sempre qualcosa che ci spinge a comportarci in un certo modo e allora perchè continuare a condannare senza voler capire... Rispettandoci rendiamo omaggio alla vita, in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso.

 

 

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La cultura e i valori

di Davide Belluco

 

 

La nostra associazione opera dal 1988 a Rovigo e nasce come punto di ascolto del disagio sociale mettendo al centro della propria attività la promozione e la tutela della persona nella sua individualità. Le strutture sociali sono considerate derivazioni dell’individuo, al servizio dello stesso che diviene cittadino. Anche nel rapporto con lo straniero il Centro pone in primo piano l’individuo con le sue necessità. La sovrastruttura culturale e ideologica non è mai condizione discriminante ed escludente. L’appartenenza ad “altre” culture ed ideologie è motivo di ricchezza e di interscambio che offre ad ogni volontario nuove opportunità di confronto ed analisi. Come evidenzia il nome dell’associazione l’insegnamento di San Francesco di Assisi è l’asse portante che guida ogni operatore volontario nello svolgimento delle attività e dei servizi che vi si svolgono. Nel corso degli anni il Centro Francescano di Ascolto ha più volte cambiato fisionomia ed ha adattato il proprio ambito di servizio sulla base delle necessità che esprime il territorio  e della sensibilità di ogni singolo operatore volontario che attraverso la propria presenza porta un contributo culturale unico ed originale. Ogni volontario che arriva è una presenza che arricchisce l’associazione di nuova linfa, di un rinnovato spirito di servizio, di un complesso originale di idee e di stimoli verso il disagio che è in continuo divenire, trasformandosi e mutando il rapporto con la società, ma mantenendo, invece, immutate le proprie caratteristiche di privazione spirituale. Ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente sano, ed avere relazioni affettive ed interpersonali. La tutela della famiglia e dei gruppi primari è lo strumento che il Centro promuove per arrivare all’educazione, alla partecipazione e all’inserimento sociale dell’individuo disagiato, attraverso il sostegno e la presenza attiva della famiglia e dei gruppi primari.  Il Centro si è inserito nel corso degli anni nei due ambiti del disagio sociale, quello primario, in cui l’individuo è privato delle condizioni essenziali per lo svolgimento di una vita biologica sana e quello secondario, in cui l’individuo è privato delle condizioni essenziali per lo svolgimento di una vita psicologica piena ed appagante. In quest’ultimo caso ci si vuole riferire ad ambiti che pur garantendo la vita biologica dell’individuo non offrono possibilità di realizzazione di interessi ed espressioni personali. In particolare la privazione della libertà e la privazione del lavoro spesso conducono a situazioni di forte disagio, ancor più evidente se manca la rete solidale della famiglia e dei gruppi primari. L’associazione attraverso le proprie attività di servizio, promozione e tutela si inserisce nella rete sociale pubblica e privata senza mai divenire assistenza e ponendo l’individuo sempre come unico protagonista delle proprie scelte. Si ritiene che le azioni di contrasto al disagio sociale debbano essere condotte svolgendo un ruolo attivo di promozione e tutela dell’individuo che deve essere “reso libero” di scegliere il proprio futuro e non assistito in un percorso obbligato.

Per l’anno 2003 il CFA organizza un ciclo di otto incontri culturali, i quali partendo dal disagio vogliono arrivare al piacere. I termini, che possono sembrare equivoci, ma non sono per niente provocatori perchè utilizzati nella loro accezione etimologica. Il filo conduttore è “La società tra disagio e piacere”, ma disagio dove e come, piacere dove e come. Gli spunti argomentativi sono numerosi ed ampi sia nell’ambito del disagio che in quello del piacere, vi è quindi la necessità di scegliere riducendo la vastità ad un’area circoscritta che dia senso e relazionalità agli otto incontri che proponiamo. L’obiettivo è quello di disegnare una linea vettoriale che conduca i fruitori da una visione reale del disagio ad una visione sperabile, ma questo dipende, in primo luogo, da ognuno di noi, del piacere.

“Sentirsi a disagio”. Il primo chiarimento necessario riguarda il termine “disagio” inteso come “non agio” sia nella sua dimensione materiale sia nella sua dimensione spirituale. Il “non agio” come condizione individuale e non relazionale, ovvero come condizione della persona decontestualizzata dai condizionamenti degli altri, la famiglia e i gruppi primari, o dell’altro, la società.

“Trovare piacere”. Il secondo chiarimento riguarda il termine “piacere” inteso come il riuscire gradito all’altro da sé. Il piacere ha come condizione operativa la dimensione del servire. Come si può riuscire gradito all’altro da sé, come si può piacere se non c’è il servire? Il servire ha come dimensione apologetica la relazione madre-figlio. La madre che serve il figlio trova il piacere. Recuperare la dimensione del piacere nella società e quindi nel lavoro, nella famiglia, nella scuola vuol dire ripristinare la dimensione del servire e quindi del servizio. Ogni madre: capoufficio, direttore, insegnante, amministratore potrà recuperare la dimensione del piacere solo se riuscirà a ripristinare la dimensione del servire.

 

 

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Un servizio d’accoglienza quotidiano

di  Fabio Furini

 

Un altro anno del servizio di ascolto, visto e consumato attraverso la posizione privilegiata della segreteria, è trascorso nel segno dell’accoglienza e dell’informazione.

Nel 2002 si è continuato a recepire i bisogni ed accompagnare le persone che bussando alla nostra porta chiedevano aiuto manifestando in modo più o meno chiaro il loro disagio e le loro difficoltà.

La presenza continua in sede di una quindicina di volontari ha permesso di coprire i turni di servizio per tutti i giorni della settimana, escluse le eccezioni, assicurando una presenza viva ed attiva capace di rispondere alle richieste e di mantenere e perseguire il lavoro espresso nei progetti attuati dall’associazione.

L’attività in sede

Le numerose richieste di informazioni accanto alla promozione di iniziative e progetti di aiuto hanno permesso di consolidare ed estendere la rete di rapporti e collaborazioni con gli enti pubblici, Comune di Rovigo, aziende ULSS 18 e 19, Centri di Servizio per il Volontariato, associazioni di volontariato e cooperative sociali e con i cittadini.

Si è anche consolidata la progettualità esistente resa più efficace dalla promozione di iniziative dirette ad allargare il movimento delle persone che si avvicinano al mondo del volontariato (corsi di formazione) che assicurano al Centro una maggior capacità di attività in risposta ai problemi del disagio offrendo così servizi più qualitativi e puntuali.

Nella tabella della pagina successiva si evidenzia questo aumento di rapporti di rete che hanno permesso all’associazione di essere un importante punto di riferimento nel territorio in ambito sociale.

Il lavoro di segreteria permette ogni giorno di mantenere i contatti con le varie realtà che operano e collaborano con l’associazione, di offrire informazioni utili a chi cerca aiuto o riferimenti adeguati alla propria richiesta e di informare e collegare tra loro le attività e i servizi dei volontari.

Parallelamente c’è il disbrigo di pratiche amministrative (lettura e protocollo posta, telefonate, risposta alla corrispondenza, informazioni) senza le quali i volontari sarebbero privi di quelle informazioni e conoscenze necessarie per  rispondere alle esigenze e necessità degli utenti e dei loro familiari.

La segreteria assicura anche il passaggio puntuale e preciso delle richieste di colloquio, delle attività promosse dal Centro, delle informazioni che pervengono da altri enti, delle adesioni ad iniziative (convegni, forum, incontri) promosse da altre associazioni e da enti pubblici e privati.

Infine, in questi anni, si è consolidata la collaborazione con il Laboratorio Studi che permette non solo una maggiore copertura dei turni di servizio, ma anche di condividere le reciproche attività scambiandosi idee ed informazioni riguardanti i progetti promossi dall’associazione.

Accoglienza e ascolto

Nel 2002 i contatti con l’utenza si sono concentrati maggiormente nei mesi invernali ed autunnali. Rispetto all’anno 2001 si nota un discreto incremento dei contatti ed incontri con le persone dalle richieste ed esigenze più varie.

Sono in aumento le problematiche che riguardano la detenzione. Qui la domanda d’aiuto si è concentrata nelle richieste di ascolto, sostegno e successivamente di possibilità di lavoro e di avere una casa.

Lo sviluppo e il sostegno dei progetti d’inserimento lavorativo di detenuti “Il Carcere della città” e dello Sportello Giustizia, il consolidarsi dell’impegno dei volontari nella Casa Circondariale di Rovigo, trovano nel servizio Ascolto un ambito informativo e di mantenimento dei contatti con gli enti partecipanti all’esperienza.

Rimane accentuato il disagio familiare che si coglie nei vari bisogni legati alla richiesta di aiuto psicologico (solitudine) e di necessità economica, specie nelle situazioni di emarginazione delle persone straniere. Il loro passaggio è raddoppiato anche in assenza di progetti di aiuto e sostegno specifici per i loro principali problemi: la casa e il lavoro. Il Centro ha fornito loro per lo più informazioni e riferimenti per una integrazione sociale nel territorio.

In calo invece sono state, rispetto agli anni precedenti, le richieste di aiuto legate alle problematiche delle dipendenze e al sostegno dei malati di Aids.

Un dato molto interessante è l’aumento di richieste per fare volontariato nell’Associazione. Nel 2002 si sono incrementate anche grazie al corso di formazione dell’autunno e alle varie iniziative di informazione e sensibilizzazione svolte in ambito scolastico e pubblico che hanno ulteriormente fatto conoscere la nostra presenza.

Il futuro: i volontari

Gli interventi posti in atto in questi ultimi anni hanno cercato d’integrarsi con le esigenze del nostro territorio per dare risposte puntuali alle varie richieste d’aiuto.

Si è ulteriormente rafforzato il sistema dei rapporti di rete tra il Centro e le varie realtà sociali del nostro territorio e ciò domanda di continuare in futuro ad ottimizzarli attraverso nuove progettualità tra pubblico e privato sociale.

Mantenere i progetti esistenti con l’innesto di nuovi volontari deve permettere di impiegare in modo ottimale tutte le risorse umane ed esperienziali accumulate in questi 15 anni di servizio nel territorio. Sono proprio loro l’esigenza e il futuro vero dell’associazione, coloro che anche nei servizi più nascosti permettono agli altri di servire il prossimo e i suoi bisogni.

 

 

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Cosa ho fatto per loro?

di Christian Malanchin

 

Come ogni lunedì pomeriggio dopo aver salutato i detenuti, esco dalla cella ove ci si riunisce solitamente per discutere del giornalino e per quei lunghi corridoi mi affiora una domanda: “Cosa ho fatto oggi per loro?”. Scendo rapidamente le scale che mi portano all’uscita della sezione maschile, preso tra la fretta di vedermi restituita quella libertà che, per un istante mi sento quasi di aver perduto pure io e l’amarezza di dover lasciare quelle persone amiche e mi si impone di nuovo, ma con più forza, la medesima domanda: “ma cosa ho fatto per loro?”.

Superato quel percorso disseminato di porte sbarrate che pare quasi stare lì a simboleggiare la triste agonia dei divieti e dei limiti della vita carceraria, mi trovo finalmente fuori dell’istituto: con un rapido sguardo d’insieme su ciò che mi circonda, mi accorgo di essere ritornato in un mondo totalmente diverso da quello appena lasciato, dove anche il cielo sembra differente, l’aria più leggera e i rumori della città e della gente lungo la strada mi immergono in un clima di normale serenità, perché anche quei fastidi che a volte logorano o complicano la vita quotidiana di ognuno  appaiono immensamente piccoli, se non addirittura insignificanti di fronte alla perdita della libertà.

Ma, mano a mano che procedo lungo la via del ritorno a casa, un martello mi continua ad assillare: “Cosa ho fatto e cosa avrei potuto fare per loro?”. E quando tento di darmi una riposta mi sale nel cuore l’angoscia di dover registrare ancora una volta che quanto ho potuto offrire a questi detenuti è veramente poco, poco più di niente.

All’entusiasmo carico di buona volontà all’ingresso dell’istituto corrisponde allora la delusione del ritorno, forse perché fondamentalmente nulla appare cambiato, te ne esci e tutto rimane come prima, loro rimangono lì, non possono seguirti, chiusi in una dimensione che ha dell’irreale, che vorresti ma non riesci a comprendere.

Spesso la mia mente, quasi per sollevarsi da un peso, arriva ad immaginare che quanto ho vissuto tra le celle del carcere sia soltanto un film, in cui ciascuno finge un ruolo impersonificando perfettamente la propria parte, chi fa quella del “guardiano” e chi invece quella del sorvegliato, come in un interminabile gioco privo di alcun senso alla fine del quale nessuno potrà dire di avere vinto, ma tutti si sentiranno perdenti.

Ma quando mi percepisco totalmente disarmato davanti a quel dramma che lungi da ogni finzione teatrale è invece dura realtà non posso che riconoscere che è veramente poco ciò che ho potuto dare a quelle persone e l’esigenza di fare bilanci su quanto è passato diviene a questo punto spontaneo.

Nell’anno appena trascorso la redazione di “Prospettiva Esse”, a cui ho collaborato, ha conosciuto fasi alterne di sviluppo nel proprio cammino, da momenti di sollecita ed entusiastica attività a periodi bui di rallentamento se non di stasi. Il veloce turn over che ha visto nel corso dei mesi un continuo rinnovarsi del gruppo dei detenuti coinvolti ha comportato spesso la necessità di dover ricominciare “tutto daccapo”, dispersione di energie, di competenze e conoscenze acquisiste.

Tuttavia, anche la precarietà di alcune situazioni che lasciano il segno della delusione, mi hanno insegnato a non disperare mai, a non perdermi d’animo, confidando nella capacità, spesso inaspettata, di mutare che hanno le cose; e ciò non per fiducia in un vago processo naturale di compensazione che vedrebbe immancabilmente il rincorrersi sul grande scenario della vita di momenti positivi e negativi, in cui ad una ripresa dovrebbe per necessità seguire un declino e viceversa, ma per adesione ad un Mistero d’Amore che mi sorpassa, tanto è infinitamente più grande dei miei miseri pensieri e preoccupazioni, un Mistero che sa esaltare e portare a compimento tutti i germi, per quanto piccoli, di bontà che stanno dentro all’uomo e nelle sue azioni o iniziative, attraverso forme che, a volte, appaiono non immediatamente comprensibili, anzi contrarie alle nostre attese, ma che non mancano poi di rivelarsi, con sorpresa, generosamente apportatrici di motivi di speranza, di spiragli di soluzione nuova e meravigliosa.

E’ illuminante allora scoprire come anche il carcere possa essere un simbolo che rimanda ad una verità profonda, una sorta di paradigma esemplare che mostra come la croce ed il dolore nelle sue poliedriche manifestazioni non costituiscano l’ultima parola ma rappresentino anzi la via che conduce a quei cieli nuovi e terra nuova che già pregustiamo qui nelle realtà terrene ogni volta che abbiamo saputo spenderci per amore, senza riserve e senza pretendere che tutto quanto giunga ad un successo immediato.

 

 

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Partire da noi

di Massimo Guglielmo

 

In tutto il tempo che mi sono occupato di attività culturali all’interno del carcere, ho sempre sentito parlare e commentare da tutti gli addetti ai lavori di tutto quello che succede e della qualità della vita all’interno delle mura carcerarie. Da qualche anno mi occupo, per quanto posso, dello “Sportello Giustizia” gestito per l’appunto dal Centro Francescano di Ascolto in convenzione con il Centro di Servizio per il Volontariato. Un ulteriore modo di occuparsi di penitenziario ma dal di fuori del carcere. Nei vari appuntamenti pubblici sul tema della giustizia sentivo sottolineare da più parti dell’importanza che riveste il territorio per l’istituzione carceraria. Forse però il reale peso che riveste la cittadinanza per la popolazione carceraria l’ho scoperta solamente rivolgendo il mio lavoro al mondo esterno. Ora posso certamente affermare che il volontario impegnato nel settore giustizia non è altro che un cittadino responsabile che si fa carico di altri cittadini che la giustizia la vedono e la vivono dall’altra parte. Il lavoro dello sportello, che si rivolge alle associazione di volontariato impegnate in questo settore, è un lavoro culturale, che si esplica a livello formativo e informativo, al fine di sensibilizzare il territorio al senso della equità sociale. Il vero e proprio reinserimento sociale non viene eseguito da operatori sociali, giudici, poliziotti o qualsivoglia elemento istituzionale, ma dalla società, dalla comunità locale. In questa direzione il lavoro da svolgere è propedeutico all’accoglienza: più un territorio è capace di accogliere e curare i propri mali maggiore è il livello di giustizia sociale. Il tentativo è diretto al cambiamento dell’atteggiamento nei confronti di colui che in qualche modo ha offeso e leso i valori nei quali si fonda la società stessa. Il salto culturale di apertura e risposta progettuale che si chiede è certamente molto alto e in troppi casi utopicamente irraggiungibile, ma di certo rimane l’unico traguardo di speranza per dare una risposta preventiva anche in termini di sicurezza sociale. Una società che accoglie, è una società che non teme e che educa alla solidarietà, è una società che sa prendersi cura dei propri errori e sa come porre riparo con modalità e servizi preventivi volti a categorie più svantaggiate e quindi più a rischio.

Sono convinto che la sicurezza sociale non si ottenga con l’aumento del numero di poliziotti, ma con l’aumento di progetti, di iniziative e di investimenti economici ad indirizzo sociale. Per invertire la rotta è necessario partire da ognuno di noi, dal nostro atteggiamento, dalla nostra disponibilità, da quello che noi per primi siamo disposti a mettere in gioco per rendere la nostra vita più vivibile e solidale: Noi… io quanto sono disposto ad accogliere? Quanto di me stesso sono disposto a mettere in gioco? Partire da noi, dalle nostre motivazioni e dalla nostra attenzione a tutto quello che sta ai margini e quindi poco visibile agli occhi di tutti. In questa direzione uno degli obiettivi dello “Sportello Giustizia” è quello di mantenere accesi i riflettori su tutte le problematiche che riguarda l’istituzione carceraria nel tentativo di sensibilizzare e promuovere iniziative attraverso corsi formativi ed informativi, incontri pubblici e consulenze rivolti a tutti i volontari della regione Veneto e a tutti coloro che in qualche misura vuole saperne di più. Il lavoro non è certo facile, le prime resistenze le abbiamo riscontrate nel coordinamento con i centri di servizio delle altre province, parlare di carcere e di giustizia non sempre da la possibilità di trovare interlocutori disponibili. Nonostante tutte le difficoltà nel 2002 sono state attivate diverse iniziative tra le quali un progetto pilota “Dalla certezza al dubbio. Dietro le sbarre e dietro la lavagna...quando i percorsi scolastici incontrano la devianza” rivolto agli insegnanti delle scuole medie superiori di Rovigo. Il progetto si è esplicato in alcuni incontri formativi ed informativi sulle tematiche del carcere e della giustizia, con la realizzazione di una dispensa di ausilio rivolto a tutti gli insegnanti che volessero farne uso, distribuito nelle scuole della regione Veneto. Il tema della scuola è stato trattato anche in un convegno regionale organizzato sempre dallo “Sportello Giustizia” a Venezia nel mese di dicembre scorso. Per dare maggior enfasi e forza all’azione di sensibilizzazione, per un’associazione è importante non perdere il collegamento e il confronto con altre realtà presenti nel territorio locale, regionale e nazionale. Il Centro Francescano di Ascolto aderisce al SEAC - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, un Organismo che accoglie associazioni di tutta Italia che operano nel settore carcere. Partecipare ad una organizzazione nazionale ci da la possibilità di mettere in rete più risorse possibili per poter migliorare l’azione pubblica anche in un confronto politico. E’ importante e fondamentale per il volontariato non disperdere le energie ma raccogliere più forze possibili al fine di far sentire la voce di un mondo molto spesso relegato o peggio ancora delegato. La solidarietà sociale non deve però essere delegata solo al volontariato ma partire da ognuno di noi per dare forza al significato profondo della parola giustizia.